Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16729 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16729 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Pizzoleo Angelo, nato a Taranto il 03/05/1975

avverso l’ordinanza emessa il 15/05/2015 dal Tribunale di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Giuseppe Campanelli, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 21/10/2014, il Tribunale di Lecce annullava un
provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dal Gip dello stesso
Tribunale nei confronti di Angelo Pizzoleo, sottoposto a indagini per i reati di

Data Udienza: 12/11/2015

detenzione e porto di arma clandestina, nonché per ricettazione e riciclaggio
della medesima arma (che, secondo l’ipotesi accusatoria, il Pizzoleo aveva
custodito su incarico di Nicola De Vitis, e che poi aveva consegnato, su richiesta
di quest’ultimo, a Cosimo Buzzacchino: l’arma in questione, una pistola cal. 7,65
recante matricola abrasa, era stata poi utilizzata da altri soggetti per l’omicidio di
tale Antonio Santagato). Ad avviso del Tribunale, adito ex art. 309 del codice di
rito su richiesta di riesame avanzata dalla difesa, non emergevano elementi di
sufficiente spessore indiziario per ritenere che il soggetto chiamato “Angelo” in

intendersi il detentore della suddetta pistola – dovesse identificarsi nel Pizzoleo:
veniva perciò ordinata la rimessione in libertà dell’indagato, se non altrimenti
ristretto.
Tuttavia, a seguito di ricorso per cassazione avanzato dal Pubblico Ministero,
la Prima Sezione di questa Corte annullava la richiamata ordinanza, con
decisione del 07/04/2015. La Prima Sezione, in particolare, osservava che da una nota della Questura di Taranto del 04/12/2013, allegata al ricorso del
P.M. e già versata in atti – risultavano evidenziati gli intestatari delle utenze
interessate dalle conversazioni

de quibus: fra questi, vi era la moglie del

Pizzoleo, il quale, a riscontro della sua vicinanza ad ambienti criminali, era stato
anche vittima di un tentato omicidio nell’agosto 2012.

3. Decidendo in sede di giudizio di rinvio, il Tribunale di Lecce pronunciava
l’ordinanza indicata in epigrafe, recante la conferma del provvedimento
restrittivo iniziale.
I giudici di merito rilevavano che:
– da una intercettazione del 25/05/2013, risultava l’incarico dato dal De Vitis al
Buzzacchino affinché andasse a prendere da un certo Angelo una “macchina per
fare avanti e indietro” (espressione con cui gli inquirenti sostenevano si volesse
descrivere una pistola, tanto più che, in altre conversazioni intercettate, alcuni
soggetti avevano commentato l’omicidio del Santagato indicando proprio in
“Pippo Baudo”, soprannome del Buzzacchino, la persona che aveva procurato
l’arma utilizzata per il delitto);
– da ulteriori colloqui captati, intercorsi direttamente fra il De Vitis ed il Pizzoleo,
si ricavava la conferma che quest’ultimo aveva la disponibilità di un’arma,
giacché alcuni mesi prima il De Vitis (da considerare figura di vertice di un
sodalizio mafioso) aveva richiesto all’indagato di procurare un “motorino” ad un
certo “Franco Capagrossa”, e l’altro aveva risposto di esserne solo
momentaneamente sprovvisto;

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alcune conversazioni intercettate – e che, dal tenore di quei colloqui, doveva

- nel corso delle indagini non era stato identificato un secondo soggetto di nome
Angelo.
In punto di esigenze cautelari, il Tribunale reputava che sussistesse un
concreto ed attuale pericolo di recidiva specifica, visto che le modalità di
commissione del fatto in rubrica apparivano «indicative sia di un’elevata intensità
del dolo, sia della professionalità criminale del prevenuto, essendo emerso che
egli era in stretto contatto con il boss De Vitis» e che «deteneva e custodiva armi
mettendole a disposizione dello stesso De Vitis su sua semplice richiesta». Il

consorteria criminale, in rapporto fiduciario con un soggetto apicale all’interno
del sodalizio, e persona in grado di approvvigionarsi di armi clandestine:
rapporto e ruolo logicamente destinati a protrarsi nel tempo, anche oltre i due
anni trascorsi rispetto alla commissione dei fatti contestati. I numerosi e gravi
precedenti penali del Pizzoleo confermavano la valutazione negativa ex art. 274,
lett. c), cod. proc. pen., e rendevano impronosticabile che egli potesse disporsi
spontaneamente a rispettare le eventuali prescrizioni da correlare a misure
coercitive di minore afflittività rispetto alla custodia in carcere.

4. Propone ricorso il difensore del Pizzoleo, che lamenta violazione di legge e
vizi della motivazione dell’ordinanza impugnata, in punto di ritenuta sussistenza
di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.
Le conversazioni intercettate, valorizzate dai giudici di merito in chiave
accusatoria, si collocavano infatti a distanza di circa quattro mesi l’una dall’altra:
a gennaio del 2013 il Pizzoleo e il De Vitis si erano intrattenuti sul “motorino” da
procurare ad una terza persona, e solo a fine maggio il suddetto De Vitis aveva
incaricato il Buzzacchino di recarsi da Angelo per prelevare una “macchina”. Ne
deriverebbe l’impossibilità logica di ritenere che la presunta pistola forse in
possesso del Pizzoleo a gennaio (comunque, mai rinvenuta) servì per
commettere l’omicidio del Santagato oltre quattro mesi più tardi.
Inoltre, la difesa segnala che:
– dagli atti curati nel corso delle indagini preliminari, diversamente da quanto
rappresentato dal P.M. e ribadito nell’ordinanza oggetto di ricorso, emerge un
ulteriore Angelo (tale Angelo Di Carlo);
– dopo pochi giorni dal colloquio con il Buzzacchino, già ricordato, il De Vitis si
intrattenne nuovamente con lo stesso interlocutore, lamentandosi con lui proprio
sul conto dell’ignoto Angelo, descritto come una persona che non era più quella
di una volta e che lo aveva deluso sino a non volerci più avere a che fare (sì da
dover escludere che si potesse affidare a un soggetto del genere compiti delicati
come quello di procurare una pistola per sopprimere qualcuno);

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Pizzoleo risultava dunque in collegamento, ancorché non organico, con una

- le persone che avevano discusso dell’omicidio Santagato, indicando come fatto
noto che l’arma utilizzata nell’occasione era stata fornita dal Buzzacchino,
avevano comunque parlato di una pistola cal. 9×21, mentre il delitto venne
commesso con una cal. 7,65.
In ogni caso, nell’interesse del ricorrente si deduce l’impossibilità di
ravvisare nel caso di specie il delitto di riciclaggio: mentre, in astratto, la
detenzione di un’arma con matricola abrasa comporta un contestuale addebito di
ricettazione, non altrettanto è a dirsi per il diverso reato ex art. 648-bis cod.

provenienza. Atteso che la finalità del delitto di riciclaggio è quella di “ripulire”,
ovvero rimettere in circolo il bene, è assolutamente da escludere che un’arma
con matricola abrasa, dunque di evidente provenienza delittuosa, possa
integrare anche gli estremi del delitto di riciclaggio».
La difesa del Pizzoleo censura l’ordinanza impugnata, ancora sotto il duplice
profilo della violazione di legge e dei vizi di motivazione, in ordine al giudizio di
proporzionalità e adeguatezza della custodia in carcere: si fa presente, in
particolare, che «anche la misura gradata degli arresti domiciliari, con
imposizione del dispositivo elettronico, permetterebbe la piena salvaguardia delle
esigenze di cautela contestate».

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Deve premettersi che, nel caso di specie, il significato delle conversazioni
captate risulta esposto dal Tribunale di Lecce in termini lineari e logici, all’esito di
una analisi diffusa e congruamente motivata: a riguardo, è necessario ricordare
che in materia di intercettazioni «l’interpretazione del linguaggio e del contenuto
delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del
giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in
conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza» (Cass., Sez. VI,
n. 11794 dell’11/02/2013, Melfi, Rv 254439; v. anche, già in precedenza, Cass.,
Sez. VI, n. 35680 del 10/06/2005, Patti. Tale consolidato orientamento ha
ricevuto recente e definitivo avallo anche da parte delle Sezioni Unite di questa
Corte: v. Cass., Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar). Applicando i
principi appena richiamati alla fattispecie concreta, deve quindi prendersi atto
che il Tribunale spiega in termini più che plausibili come le espressioni
“motorino” o “macchina”, nel frasario utilizzato dal De Vitis o da persone
comunque coinvolte nelle attività di indagine, dovessero intendersi riferite ad

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pen., giacché «l’abrasione della matricola evidenzia, e non elide, l’illecita

armi: a pag. 4 dell’ordinanza impugnata, si chiarisce infatti che il termine
“motorino” viene impiegato anche in altri colloqui, financo con la precisazione
che la “moto” (a dispetto del significato letterale della parola) sarebbe un
qualcosa da dare solo a persone fidate, e che “non stanno in mezzo alla strada”.
Ne deriva che, muovendo dal ragionevole presupposto che i colloqui de
quibus avessero per oggetto delle armi, l’obiezione difensiva che sottolinea la
distanza temporale fra le due conversazioni non vale ad inficiare la gravità degli
indizi di colpevolezza a carico del Pizzoleo. In vero, egli era sicuramente

avevano parlato di un “motorino”, e ciò dimostra semplicemente che l’indagato
era una persona in grado di disporre di pistole (mentre non è affermato, e
neppure sottinteso all’ipotesi accusatoria, che quel “motorino” fosse proprio la
stessa arma che il De Vitis, mesi dopo, avrebbe chiesto al Buzzacchino di andare
a prendere presso lo stesso Angelo).
Che il De Vitis si fosse intrattenuto proprio con il Pizzoleo, su un “motorino”
da procurare a Franco “Capagrossa”, è dimostrato dalla comprovata circostanza
che il numero chiamato dal primo fosse intestato alla moglie dell’odierno
ricorrente, e l’ordinanza oggetto di ricorso segnala che – stando agli
accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria – il Pizzoleo utilizzava in effetti
due utenze, entrambe intestate alla coniuge. A questo punto, appare assodato
che il De Vitis, dovendo procurarsi un’arma o dovendo fare in modo che altri ne
potessero entrare in possesso, aveva nel Pizzoleo il proprio punto di riferimento:
e, come parimenti chiarito dal collegio leccese, non rileva che in quella specifica
circostanza il ricorrente se ne fosse dichiarato sprovvisto, essendosi egli limitato
a ribattere al De Vitis che al momento “non ne teneva” (piuttosto che stupirsi
della richiesta, o rispondere che per quel genere di articoli sarebbe stato
necessario rivolgersi altrove).
L’ulteriore passaggio logico utilizzato dal Tribunale è parimenti lineare ed
ineccepibile: se Angelo Pizzoleo era colui che normalmente custodiva armi per
conto del De Vitis, od al quale quest’ultimo chiedeva di attivarsi per averne, la
sollecitazione al Buzzacchino di andare a prendere una “macchina” da Angelo
non poteva che avere l’identico significato. L’Angelo in questione non poteva
che essere il Pizzoleo, giacché era l’unica persona con quel nome di battesimo
associata a questioni di armi nei colloqui già intercettati (il richiamo della difesa a
tale Angelo Di Carlo, come soggetto che emergerebbe dalle indagini, non è in
alcun modo circostanziato); e l’arma era senz’altro quella che, praticamente in
pari tempo, il De Vitís aveva raccomandato ai fratelli Pascalicchio di procurarsi,
onde organizzare la “spedizione punitiva” ai danni del Santagato, come
altrettanto ben evidenziato nell’ordinanza impugnata, a pag. 3. Mentre, per

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l’Angelo che era stato interlocutore del De Vitis quando, a gennaio del 2013,

converso, il fatto che il De Vitis potesse esprimere risentimento o delusione sul
conto di Angelo (parlando ancora con il Buzzacchino, il 27 maggio 2013), non
esclude affatto che, due giorni prima, l’argomento della conversazione fosse
stato quello sopra evidenziato.
Il Tribunale, peraltro, ha già chiarito anche la irrilevanza dei riferimenti – da
parte di chi aveva commentato il delitto, dimostrandosi comunque certo che la
pistola de qua fosse stata consegnata ai Pascalicchio proprio dal Buzzacchino,
alias “Pippo Baudo” – al calibro dell’arma impiegata per quell’omicidio: si trattava
de

relato, e sulle quali era certamente plausibile che fosse stato impreciso chi gliele
aveva fornite, od egli stesso nel ricordarle.
Quanto alla contestata ravvisabilità del delitto di riciclaggio, deve notarsi che
nel caso in esame l’addebito sub 3) riguarda l’avere il Pizzoleo – in concorso con
il Buzzacchino e il De Vitis – ricevuto una pistola “di sicura provenienza
delittuosa, a cui cancellavano il numero di matricola al fine di ostacolare
l’individuazione della suddetta provenienza”: allo stato delle acquisizioni
istruttorie, pertanto, il reato ex art. 648-bis cod. pen. può essere configurabile.
Si assume infatti che l’arma fosse stata (quanto meno) oggetto di furto in
circostanze imprecisate, e che proprio l’abrasione dei dati identificativi,
indipendentemente dal costituire ex se reato, ai sensi dell’art. 3 della legge n.
110 del 1975, e dal determinare così i presupposti minimi per ipotizzare una
ricettazione (v. Cass., Sez. VI, n. 45903 del 16/10/2013, Tengo), fosse stata
strumentale ad impedire la verifica su quando e dove la pistola fosse stata
rubata.
In punto di adeguatezza della misura cautelare applicata, il Tribunale ha
correttamente posto in risalto la sussistenza, a carico del Pizzoleo, di «pessimi
precedenti penali, fra i quali spiccano ben quattro specifici in materia di armi,
oltre a quelli per rapina, estorsione e tentato omicidio»; ciò, unitamente alla
dimostrata vicinanza dell’indagato con un soggetto ritenuto di spicco nell’ambito
delle dinamiche di criminalità organizzata in quel territorio, può senz’altro
giustificare la valutazione negativa operata dai giudici di merito sulla personalità
dell’indagato, anche in punto di inaffidabilità in vista del rispetto delle
prescrizioni da correlare ad eventuali restrizioni di minor rigore, quand’anche
disposte con strumenti elettronici di controllo a distanza (v. pag. 6 della
motivazione del provvedimento in epigrafe).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Pizzoleo al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

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infatti di indicazioni che uno dei conversanti, tale Ricciardi, aveva avuto

Dal momento che alla presente decisione consegue l’esecuzione del
provvedimento restrittivo emesso nei confronti del ricorrente, la Cancelleria
dovrà curare le comunicazioni di cui all’art. 28, comma 1, disp. reg. cod. proc.
pen.

P. Q. M.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti conseguenti.

Così deciso il 12/11/2015.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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