Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16724 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16724 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COMO ALFONSO N. IL 05/10/1964
avverso la sentenza n. 1784/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
17/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
Udito il Proc
sre Generale in pei1012a-del-Dott.
che ha c eluso per

Udito, per la pa
ifensor Avv.

, l’Avv

Data Udienza: 30/03/2016

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott.ssa M. Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso. Udito altresì per il ricorrente l’avv. A. Melucco, in sostituzione dell’avv. G.
Paoluccci, che si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata in data 17/07/2014, la Corte di appello di

sentenza del 19/01/2012 con la quale il Tribunale di Pesaro aveva dichiarato
Como Alfonso responsabile dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale
ascrittigli ai capi A) e C) (limitatamente, per quest’ultimo, alle somme prelevate
dal conto corrente n. 300138 presso la Banca Popolare dell’Adriatico tra il
07/10/2013 e il 30/12/2013) e documentale (capo D, in esso assorbita
l’imputazione sub B) in relazione a Costruzioni Como s.r.I., dichiarata fallita il
21/07/2004 e, applicata la circostanza aggravante della pluralità dei fatti di
bancarotta, lo aveva condannato alla pena di giustizia.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto
ricorso per cassazione Como Alfonso, attraverso il difensore avv. G. Paolucci,
articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia, con riferimento all’attribuzione all’imputato della
qualifica di amministratore di fatto, inosservanza degli artt. 216 e 223 I. fall. e
vizi di motivazione. La sentenza impugnata non si fonda su una prova certa e
inconfutabile del ruolo dell’imputato di effettivo imprenditore o amministratore o
direttore della fallita: illegittimamente il giudice di appello ha ritenuto che la
prova del ruolo di amministratore di fatto del ricorrente fosse rappresentata dalle
sue dichiarazioni non smentite da dati probatori contrari, trasformando, in
questo modo, una presunzione in prova, laddove il teste Fagiani si è limitato a
riferire che la documentazione contabile gli veniva fornita da Como, il che non
implica un ruolo dirigenziale o gestorio della società. L’assenza di un
accertamento tecnico sulle firme apposte sui titoli oggetto di distrazione
costituisce una lacuna del quadro probatorio, né è sufficiente che l’imputato si
sia attribuito il ruolo di amministratore di fatto, poiché tale ruolo deve esplicitarsi
in maniera qualificata attraverso l’effettiva ed esclusiva gestione delle singole
operazioni, il che non è stato provato.
Il secondo motivo denuncia violazione di legge in ordine alla condanna per i
fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione. Quanto ai fatti distrattivi relativi

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Ancona, rideterminata in melius la pena irrogata, ha, nel resto, confermato la

all’incasso di assegni intestati a Costruzioni Como s.r.I., i relativi pagamenti sono
stati versati sul conto corrente della società e non vi è prova né dei successivi
prelievi, né del fatto che li abbia effettuati Como. Il ragionamento della Corte si
fonda su un’indebita inversione dell’onere della prova, incentrata sull’assenza di
giustificazione da parte dell’imputato in ordine al mancato reperimento del
denaro. Quanto alle ulteriori distrazioni indicate al capo C), non si può sopperire
alle lacune probatorie con motivazione fondata su presunzioni, tanto più che
sarebbe stato sufficiente verificare presso l’istituto bancario l’autore delle

Il terzo motivo denuncia violazione di legge in ordine alla condanna per i
fatti di bancarotta fraudolenta documentale. Non è stata motivata la deliberata
intenzione dell’imputato di arrecare pregiudizio ai creditori: l’irregolare tenuta
delle scritture (che, peraltro, non competeva a Como) avrebbe potuto, al più,
configurare gli estremi della bancarotta semplice, proprio perché non risulta
accertato lo scopo dell’omissione. La Corte di appello non ha risolto la
contraddizione per cui, da un lato, si è sostenuto, che le risultanze di “cassa” non
devono essere considerate attendibili (avendo la fallita utilizzato fatture
inesistenti), mentre, dall’altro, le eventuali false fatture sarebbero state utilizzate
per abbattere i ricavi portando in diminuzione i costi, ma, così facendo, la società
non avrebbe potuto avere una cassa positiva per importi elevati. La Corte di
appello non ha considerato che i comportamenti contestati possono essere
riconducibili a soggetti diversi, succedutisi come amministratori della società,
come risulta dalla sentenza del 25/11/2011 di condanna di Como Alfonso,
Cortese Angela e Como Giuseppe per reati tributari. Erroneamente la Corte di
appello ha ritenuto che le affermazioni del consulente della fallita Fabiani si
riferissero ai soli profili formali della contabilità sociale, in quanto la fallita era
una s.r.I., che approvava il bilancio e lo depositava e sulla base di esso
effettuava le denuncia dei redditi e IVA, circostanze mai contestate neppure dalla
Guardia di Finanza. Inoltre, il patrimonio era costituito dall’immobile acquistato e
poi ristrutturato in albergo, mentre le operazioni sono documentabili e
supportate dai documenti bancari, laddove se risultasse la falsità di alcune
fatture ciò integrerebbe la violazione della legge n. 74 del 2000, già contestata in
altro procedimento in corso.
Il quarto motivo denuncia, con riferimento al diniego dell’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche, violazione di legge e vizio di motivazione. La
Corte di appello non ha tenuto conto del comportamento processuale
dell’imputato, limitandosi a confermare il diniego sulla base dell’unico precedente
penale sullo stesso gravante.

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operazioni bancarie contestate e in quale veste o con quali poteri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo è inammissibile, per plurime, convergenti, ragioni. La
Corte distrettuale ha rilevato che dall’interrogatorio reso dall’imputato, acquisito
– come precisa la sentenza di primo grado, che si salda a quella conforme di
appello – ex art. 513 cod. proc. pen. (profilo, questo, non oggetto di censure da

amministratore di fatto, sollevando da qualsiasi responsabilità la moglie,
amministratore di diritto succeduta al marito in tale carica: in particolare, Como
ha riferito che, dopo aver presenziato dal notaio, la moglie non si era più in alcun
modo occupata della gestione della società, ma lo stesso ricorrente, titolare
dell’intero capitale, aveva avuto la procura speciale e si era occupato di tutta
l’attività

(acquisti, vendite,

assegni,

rapporti con clienti e fornitori).

L’interrogatorio reso dall’imputato, ha osservato ancora il giudice di appello, ha
trovato conferma nella testimonianza di Massimo Fabiani, che, tra l’altro, ha
riferito di aver seguito la contabilità della società sulla base della
documentazione fornitagli da Como, laddove la procura rilasciata al ricorrente,
concernente anche la negoziazione degli assegni, rende ragione, da una parte,
della circostanza che le operazioni di prelievo venivano effettuate da persona
diversa dall’amministratore formale e, dall’altra, del ruolo di amministratore di
fatto assunto da Como, che non si limitava ad effettuare le operazioni, ma
disponeva concretamente del denaro, dopo l’incasso dei titoli emessi da
Palazzetti s.p.a. ed il prelievo degli importi corrispondenti a quelli degli assegni
versati dai clienti. A fronte della diffusa motivazione resa dalla Corte di merito, il
ricorso svilisce la centralità che, con argomentazioni coerenti ai dati probatori
richiamati e immuni da vizi logici, è stata attribuita all’ammissione resa
dall’imputato del ruolo rivestito in seno alla fallita, ammissione riferibile al
complesso dell’attività gestoria («tutta l’attività», secondo le testuali
affermazioni dell’imputato) e in termini tali da escludere qualsiasi co-gestione in
capo all’amministratore di diritto (la moglie, prosciolta dal G.u.p. per non avere
commesso il fatto sulla base di quanto riferito da Como), sicché, sotto questo
profilo, le doglianze risultano manifestamente infondate. Nel quadro in sintesi
delineato, va collocato il richiamo della sentenza impugnata, per un verso, alle
dichiarazioni di Fabiani congruamente valorizzate dal giudice di appello (e
oggetto, invece, di una lettura, da parte del ricorrente, disgiunta dalla
valutazione del complessivo compendio probatorio), e, per altro verso, alla
procura relativa anche alla negoziazione degli assegni di cui disponeva Como:

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parte del ricorrente), risulta che lo stesso Como ha ammesso il ruolo di

riferimenti, questi, che rendono ragione della manifesta inidoneità dei rilievi
difensivi circa la testimonianza di Fabiani a scalfire le argomentazioni dei giudici
di merito, congruamente correlate alla valutazione del compendio probatorio (e
non alla considerazione atomistica dello stesso) e della complessiva carenza di
correlazione, rispetto alle argomentazioni della sentenza impugnata, delle
censure basate sulla mancanza di un accertamento tecnico sulle firme apposte
sui titoli oggetto di distrazione, censure che trascurano il dato relativo alla

3. Il secondo motivo è infondato. In premessa, mette conto segnalare, in
estrema sintesi, che i fatti distrattivi sub A) si riferiscono alla somma di circa 154
mila euro corrisposta, nel corso del 2004, alla fallita da Palazzetti s.r.I.: dai
documenti acquisiti è risultato che i vari assegni erano stati consegnati a Como e
successivamente posti all’incasso, senza alcuna dimostrazione in ordine alla
successiva destinazione del denaro. I fatti distrattivi sub C) erano stati ricostruiti,
in parte, sulla base delle risultanze del conto economico della società, ritenuto,
tuttavia, inattendibile (sicché, in parte qua, il primo giudice aveva assolto
l’imputato), e, in parte, in virtù dell’esame dei conti correnti intestati alla società
poi fallita (segnatamente, del conto corrente n. 300138 acceso presso la Banca
Popolare dell’Adriatico): dall’esame di tale documentazione è emerso il prelievo
delle somme puntualmente descritte nell’imputazione nelle date pure
specificamente indicate, somme, queste, rimaste prive di qualsiasi giustificazione
quanto all’impiego e alla destinazione. Ciò premesso, le doglianze del ricorrente
sono infondate: a fronte delle risultanze documentali relative ai prelievi bancari
(rispetto alle quali le censure del ricorrente sono del tutto generiche), la
successiva distrazione delle relative somme è argomentata dalla Corte di merito
sulla base non già di inversioni dell’onere probatorio, ma del principio di diritto,
del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale, in
tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei
beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata
dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti
(Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014 – dep. 07/03/2014, Ghirardelli, Rv. 262740;
conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013 – dep. 27/05/2013, Zanettin,
Rv. 255385; Sez. 5, n. 3400 del 15/12/2004 – dep. 02/02/2005, Sabino, Rv.
231411).

4. Il terzo motivo è del pari infondato. La Corte di merito ha rilevato, in
primo luogo, che dalla testimonianza del curatore era emersa l’inattendibilità
della contabilità, dalla quale risultava una disponibilità di cassa non credibile

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procura rilasciata all’imputato.

anche in ragione delle difficoltà in cui si trovava la società, e l’utilizzo di fatture
disconosciute dagli apparenti emittenti (puntualmente indicati). Quanto alla
prospettata “contraddizione” tra la ritenuta inattendibilità delle risultanze di
cassa e l’utilizzo di false fatture per abbattere i ricavi, la sentenza impugnata ha
esaminato il punto, osservando che il dato storico ricostruito dal primo giudice
non è smentito dall’inserimento in contabilità delle fatture per operazioni
inesistenti in considerazione dell’utilizzabilità delle fatture stesse per “scaricare”
una cassa gonfiata in maniera eclatante: rilievo, questo, immune da vizi logici e

deduzioni circa il diverso procedimento nel quale sono state contestati gli illeciti
tributari risultano, in radice, inidonee ad inficiare le valutazioni delle concordi
sentenza di merito. Le doglianze relativa alla successione degli amministratori
della società poi fallita investono il ruolo di amministratore di fatto attribuito al
ricorrente, sicché, sul punto, valgono le conclusioni cui si è pervenuti in ordine al
primo motivo. Quanto alla testimonianza del consulente Fabiani, la Corte di
merito, con motivazione incensurabile e non inficiata dalle deduzioni del
ricorrente (sostanzialmente riproduttive della doglianza formulata con l’atto di
appello), ha rilevato che la sua affermazione circa la regolare tenuta della
contabilità si riferiva ai profili formali della stessa, essendosi egli limitato ad
inserire le fatture in contabilità senza verificarne la loro veridicità. Le ulteriori
doglianze (in ordine, in particolare, al patrimonio immobiliare della fallita)
deducono, al più, questioni di merito, volte a sollecitare una rivisitazione delle
valutazioni operate dalle concordi pronunce di primo e di secondo grado
coerentemente ai dati probatori richiamati e in assenza di vizi logici.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha
motivato la conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti
generiche richiamando i precedenti dell’imputato, che ha già riportato una
condanna per bancarotta fraudolenta continuata e per bancarotta semplice. Nei
termini indicati, la motivazione non è inficiata dai rilievi del ricorrente, posto che,
secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, nel
motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario
che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri
disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 – dep.
03/07/2014, Lule, Rv. 259899).

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non oggetto di specifica censura da parte del ricorso, laddove le ulteriori

6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 30/03/2016.

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