Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16709 del 16/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16709 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Erraroui Mohammed, nato in Marocco il 01/01/1973

avverso la sentenza di applicazione di pena del 19/07/2017 del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso.

Data Udienza: 16/02/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza ex art. 444 cod. proc.’pen. del 19 luglio 2017, il G.u.p. del
Tribunale di Bergamo ha applicato a Mohammed Erraroui (alias Mohamed
Erraoui) la pena concordata di anni tre, mesi dieci di reclusione e 14.000 Euro di
multa per il contestato reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.p.r. 9 ottobre
1990, n. 309, per aver detenuto a fini di spaccio sostanza stupefacente tipo

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato
deducendo violazione di legge ed erronea motivazione in ordine alla
qualificazione giuridica del fatto, che sarebbe riconducibile all’ipotesi di cui all’art.
73, comma 5, T.U. stup.

3. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

3.1. Secondo il più rigoroso orientamento di questa Corte, è inammissibile il
ricorso per cassazione proposto nei confronti della sentenza di patteggiamento e
diretto a far valere asseriti vizi afferenti a questioni incompatibili con la richiesta
di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione
giuridica risultante dalla contestazione, poiché l’accusa, come giuridicamente
formulata, non può essere rimessa in discussione, in quanto l’applicazione
concordata della pena presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di
nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di
patteggiamento ed al consenso ad essa prestato (Sez. 5, Sentenza n. 21287 del
25/03/2010, Legari e a., Rv. 247539; Sez. 2, 14 gennaio 2009, n. 5240, non
massimata).

3.2. Secondo un orientamento meno rigoroso, in tema di patteggiamento, la
possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto
contenuto in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai
casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in un
accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa
qualificazione presenti margini di opinabilità; inoltre, anche in questo caso, la
verifica sull’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444, comma 2, cod.
proc. pen. deve essere compiuta esclusivamente sulla base dei capi di
imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel
ricorso (Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, Bisignani, Rv. 254865).

2

cocaina e hashish.

Nel caso di specie, la diversa qualificazione giuridica prospettata è
all’evidenza priva di qualsiasi fondamento anche soltanto in base alla lettura del
capo di imputazione, essendo stata contestata la detenzione di panetti di hashish
per un peso complessivo netto di oltre 1,6 kg. e di 55,78 netti di cocaina (con
una percentuale di principio attivo fino al 78,9%). In motivazione, il giudice ha
inoltre espressamente motivato l’impossibilità di ricondurre i fatti all’ipotesi di
reato di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. valorizzando, appunto, il quantitativo
di droga detenuto e la pluralità delle sostanze, con ciò facendo corretta

predetta disposizione configurava, con gli stessi presupposti contenuti nella
norma oggi vigente, una circostanza attenuante, secondo cui la fattispecie del
fatto di lieve entità può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività
penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli
altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze
dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli
indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Sez.
U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e aa., Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del
24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv.
256610; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco e aa., Rv. 264491).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza
Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non
sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a
norm a dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese
del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle
Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 16/02/2018.

applicazione del consolidato principio di diritto, affermato sin da quando la

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