Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16702 del 18/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16702 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Camara Vito, nato in Gabon il 03/08/1997,

avverso l’ordinanza del 06/10/2017 del Tribunale di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Vito Camara ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del
06/10/2017 del Tribunale di Torino che, accogliendo l’appello cautelare del PM
avverso l’ordinanza del 25/05/2017 del G.i.p. di quello stesso Tribunale, ha
applicato nei suoi confronti la misura coercitiva personale della custodia
cautelare in carcere perché gravemente indiziato di aver reiteratamente ceduto a

Data Udienza: 18/01/2018

più acquirenti sostanze stupefacenti del tipo eroina e cocaina nel periodo che va
dal mese di settembre dell’anno 2015 al mese di agosto dell’anno 2016.
1.1.Con unico motivo, deducendo che la lieve entità del fatto non può essere
esclusa in base alla reiterazione delle condotte e che il tribunale ha confuso il
concetto di “azione” di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, con
quello di “disegno criminoso” di cui all’art. 81, cpv., cod. pen., lamenta la
mancata qualificazione dei fatti ai sensi degli artt. 81, cpv., cod. pen., 73, comma
5, d.P.R. n. 309 del 1990 ed eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod.

motivazione manifestamente illogica sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è infondato.

3.Con ordinanza del 25/05/2017 il G.i.p. del Tribunale di Torino, ritenuta la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato continuato di cessione di
singole dosi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed eroina di cui agli artt.
81, cpv., cod. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in considerazione del
pericolo di reiterazione del reato, ha applicato nei confronti del ricorrente la
misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Torino. Si ipotizza, in
particolare, che nell’arco di tempo che va dal mese di settembre dell’anno 2015
al mese di agosto dell’anno successivo il Camara ha venduto a dieci diversi
clienti singole dosi di sostanza stupefacente, del tipo eroina e cocaina, con
frequenza, qualità e quantità diverse per ciascuno di essi; in particolare: un paio
di volte la settimana a due clienti (cocaina), uno dei quali avrebbe acquistato
ogni volta due dosi di sostanza; una volta a settimana, e ogni volta dalle tre alle
quattro dosi, ad un altro (cocaina); da due a cinque volte al mese, ed ogni volta
una o due dosi, ad un assuntore di eroina; tre volte al mese e comunque non più
di trenta volte nell’intero arco di tempo considerato a favore di un altro cliente
(cocaina); due/tre volte a settimana, e ogni volta una o due dosi, a favore di un
altro cliente (eroina), con cadenza quotidiana a favore di un altro cliente (eroina
e cocaina), quattro volte alla settimana, ed ogni volta due dosi, a favore di un
ulteriore cliente (eroina), due/tre volte a settimana o cinque/sei volte al mese a
favore di un altro cliente (cocaina), due volte a settimana nei confronti di un
ultimo cliente (eroina). Secondo il G.i.p., la ripetuta cessione di piccole quantità
di sostanze stupefacenti non esclude di per sé la lieve entità del fatto, così come
non la esclude la diversa tipologia di sostanza detenuta qualora le peculiarità del
caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell’attività

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proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione di dette norme e il vizio di

svolta dallo spacciatore. Nel caso in esame, in particolare, l’unico dato certo è
che il Camara costituiva il punto di riferimento di non più di una decina di clienti
abituali ai quali cedeva complessivamente circa quattro dosi al giorno. Non sono
stati acquisiti elementi di prova dai quali poter desumere che le dosi cedute
costituissero parte di un maggior quantitativo di stupefacente ogni volta
detenuto, né che l’indagato avesse disponibilità finanziarie che gli consentissero
di acquistare tali “scorte”. Non sono emersi dati, inoltre, dai quali poter
desumere che il Camara svolgesse l’attività di cessione in maniera professionale

l’attività, avvalendosi solo occasionalmente dell’aiuto di un soggetto non
identificato.
3.1.Accogliendo l’appello cautelare del Pubblico Ministero il Tribunale del
riesame ha osservato quanto segue: a) il Camara, considerando una media di
quattro cessioni giornaliere di sostanze stupefacenti (due dosi di cocaina al
prezzo di C 35,00 ciascuna e due dosi di eroina al prezzo di C 15,00 ciascuna),
incassava settimanalmente dai suoi clienti abituali circa 700/900,00 euro, per un
totale di 3.000/3.600,00 euro mensili; b) l’elevatissimo numero di contatti
telefonici accertati corrobora l’ipotesi che i dieci clienti identificati non fossero gli
unici; e) l’attività di spaccio era continuativa e ben organizzata e per il suo
svolgimento il Camara si avvaleva in modo non occasionale dell’ausilio di un altro
soggetto che si qualificava come suo fratello e che talvolta si presentava al posto
suo per la consegna dello stupefacente; d) tale attività, infatti, è proseguita
anche durante la detenzione in carcere del Camara posto che la sua utenza
telefonica aveva continuato ad essere raggiungibile ed era stata utilizzata da una
persona che si era qualificata come suo fratello; e) oggetto di cessione erano
sostanze stupefacenti diverse (eroina e cocaina); f) il Camara si trova
irregolarmente sul territorio nazionale, non svolge alcuna attività lavorativa ed è
dedito in modo continuativo alla commercializzazione di sostanze stupefacenti,
attività dalla quale trae in via esclusiva i propri mezzi di sussistenza; g) il
Camara risulta ampiamente e stabilmente introdotto (ancorché come ultimo
anello di una catena di distribuzione) nell’ambiente delittuoso dedito allo spaccio
di sostanze stupefacenti. A fronte di questi dati, il Tribunale ha escluso la lieve
entità dei fatti

«con riferimento alle condotte delittuose (…) unitariamente

considerate».
3.2.1 fatti non sono contestati dal ricorrente. Le sue censure si limitano alla
loro qualificazione giuridica, rilevante ai fini della applicazione della più grave tra
le misure cautelari. Sostiene a tal fine che il Tribunale ha erroneamente escluso
la lieve entità del fatto in base alla valutazione non dei singoli episodi (l’azione),
bensì della loro sommatoria (il disegno criminoso). In caso di reato continuato il
fatto di lieve entità deve essere apprezzato in relazione a ciascun episodio

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posto che egli usava un’unica utenza telefonica ed effettuava da solo quasi tutta

criminoso riconducibile all’unitaria ideazione. Opinare diversamente significa
confondere il concetto di “azione” di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, con quello di “disegno criminoso” di cui all’art. 81, cpv., cod. pen. Risulta
inoltre poco scandagliato il tema della compatibilità della lieve entità del fatto
con lo svolgimento di attività si spaccio non occasionale ma continuativa, tema
imposto dallo stesso dato normativo che, contemplando espressamente
l’associazione per delinquere costituita per commettere i fatti descritti dal
comma 5 dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, non la esclude. Ne consegue,

attività di spaccio non osta alla qualificazione del fatto in termini di lieve entità.
3.3.Nel disattendere la tesi difensiva il Tribunale ha valutato congiuntamente
i seguenti elementi di fatto: a) la reiterazione delle cessioni; b) la pluralità di
acquirenti, che dimostra l’esistenza di un giro di affari niente affatto modesto e
non limitato a quelli identificati; c) la professionalità e continuità dell’attività,
unica fonte di reddito, posta in essere con l’ausilio di un complice; d)
l’eterogeneità delle sostanze cedute. Ha quindi applicato il criterio di giudizio già
affermato da questa Suprema Corte con sentenza Sez. 3, n. 6871 del
08/07/2016, Bandera, Rv. 269149 secondo il quale la reiterazione nel tempo di
una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo
automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in
considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall’art.
73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che è legittimo il
mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una
quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di
una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non
episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione
della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità
volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che
coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (nello stesso
senso, Sez. 4, n. 40720 del 26/04/2017, Rv. 270767).
3.4.In termini generali, la lieve entità del fatti di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. n. 309 del 1990 «può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima
offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e
quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi,
modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici
previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
resta priva di incidenza sul giudizio» (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico,
Rv. 247911; così anche Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera; Sez. 4, 29
settembre 2005, n. 38879, Frank, Rv. 232428; Sez. 6, 14 aprile 2008, n. 27052,
Rinaldo, rv. 240981, richiamate in motivazione da Sez. U, 35737/2010, cit.). Non
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prosegue il ricorrente, che la natura organizzata e professionale della piccola

v’è dubbio che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art 73, comma 5, cit., non
può essere esclusa per il sol fatto che l’attività venga posta in essere in modo
organizzato e quantitativo, ostandovi il chiaro disposto dell’art. 74, comma 6,
d.P.R. n. 309 del 1990, che sanziona meno gravemente l’associazione per
delinquere costituita per commettere i fatti di cui all’art. 73, comma 5 (Sez. F, n.
39844 del 13/08/2015, Bannour, Rv. 264678; sul punto già Sez. 6, n. 6615 del
14/02/1994, Greco, Rv. 199198). Ne ha tratto recentemente spunto Sez. 6, n.
28251 del 09/02/2017, Mascali, Rv. 270397, per affermare il principio di diritto

quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 non è di per sé incompatibile con lo svolgimento di
attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un’attività
criminale organizzata o professionale. La lettura della motivazione rende più
chiara la portata del principio. Si afferma che «deve, pertanto, ammettersi che
il piccolo spaccio può essere anche “organizzato” e gestito con modalità
professionali, spettando al giudice l’apprezzamento in fatto del livello di
offensività della condotta complessiva. In questo modo, la giurisprudenza
individua una nozione realistica di piccolo spaccio cui si riferisce il comma 5
dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990, destinando questa norma incriminatrice a
colpire quelle attività di carattere abituale e anche professionale realizzate da
figure secondarie nella catena della commercializzazione della droga – spesso
tossicodipendenti o consumatori abituali -, facendo riferimento anche alla
redditività dell’attività di spaccio (Sez. 6, n. 41090 del 2013, cit.), così
riconoscendo che la vendita al dettaglio di piccole quantità può giustificare sia la
reiterazione delle condotte vietate, sia l’esigenza di un minimo di organizzazione
(…) il mutamento di qualificazione giuridica dell’ipotesi lieve, da mera circostanza
attenuante a fattispecie autonoma di reato, risponde alla logica di tenere ben
distinte due realtà criminologicamente eterogenee, quelle del grande traffico e
del piccolo spaccio, impedendo anche che il bilanciamento delle circostanze
possa azzerare tale ontologica diversità».

In quel caso si trattava della

condotta di tre imputati che, spiega la Corte, «per quanto “organizzata”,
rientra nell’ambito del piccolo spaccio come sopra individuato. Nessun elemento
evidenzia un inserimento degli imputati nelle attività del crimine organizzato uno di loro risulta essere anche tossicodipendente – e le stesse sentenze di
merito hanno riconosciuto la piena autonomia con cui veniva gestito lo spaccio,
un’attività “fatta in casa”, sebbene con strumenti funzionali a tentare di ridurre il
rischio di essere scoperti; tuttavia, l’aver utilizzato tali strumenti non fa venir
meno il carattere di piccolo spaccio, carattere che viene desunto dalla vendita al
dettaglio di piccoli quantitativi di cocaina, come dimostrato dal sequestro
operato». Il fatto che ha generato il principio di diritto affermato con la
sentenza appena citata dimostra che non v’è alcun contrasto con quanto stabilito

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secondo il quale la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma

con sentenza Sez. 3, n. 6871, cit., essendo evidente che la questione non può
essere risolta con formule valide in ogni circostanza di tempo e di luogo bensì in
base a variabili che devono essere valutate dal giudice di merito caso per caso.
E’ opportuno riportare in questa sede quanto già affermato con sentenza Sez. 3,
n. 6871, cit.: «i parametri: “mezzi, modalità o circostanze dell’azione”
impongono una valutazione non atomistica della singola condotta, che deve
invece essere contestualizzata e considerata, appunto, nel suo concreto divenire
e non quale fotogramma estraneo alla (e strappato dalla) realtà viva che
Se la singola cessione costituisce

manifestazione effettiva della ben più ampia (e comprovata) capacità dell’autore
di diffondere in modo non episodico né occasionale sostanza stupefacente, la
valutazione della sua offensività non può essere ancorata al solo dato (statico)
della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere frutto di un giudizio più
ampio che coinvolga, appunto, ogni aspetto del fatto nella sua dimensione
oggettiva. Anche l’utilizzo di altre persone (e in generale il concorso nel reato),
quale specifica modalità della condotta, può essere utilmente valutato quale
espressione del maggior potenziale offensivo del fatto. La condotta insomma non
può essere valutata quale frammento di vita avulso dalla realtà; quando i dati a
disposizione lo consentono, il giudice deve utilizzarli per valutare in modo
complessivo la potenzialità offensiva che il fatto esprime, senza arrestarsi al dato
ponderale. Si pensi, per fare un esempio, a singole, ripetute cessioni di piccole
quantità di sostanza stupefacente, poste in essere a favore di uno o più
consumatori. Se, in base alle informazioni che possiede, il giudice può trarre dai
mezzi, modalità e circostanze dell’azione, la certezza che la droga di volta in
volta ceduta costituisce sola una frazione di più consistenti quantitativi detenuti
per la vendita, il fatto non può essere considerato lieve perché attua quella
maggior capacità di penetrazione nel mercato che la detenzione di non modiche
quantità di stupefacente è in grado di esprimere da sola. Se l’azione del singolo
spacciatore che vende una dose di sostanza stupefacente costituisce il terminale,
l’ultimo anello di una catena di distribuzione che sistematicamente si alimenta di
ben più ampi quantitativi di droga immessi sul mercato, costituendone la fase
che rende concreta la strategia della più ampia e capillare diffusione della
sostanza di volta in volta ceduta in vista del maggior profitto possibile, il fatto
(che quel profitto concorre ad alimentare) non può essere contraddittoriamente
considerato di lieve entità.

Sicché sostenere che la pluralità di condotte di

cessione della droga reiterate nel tempo non è incompatibile con una valutazione
di lieve entità del fatto, non equivale ad affermare il contrario. E’ pur sempre
necessaria la valutazione congiunta di tutti i parametri dettati in proposito
dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 (in quest’ultimo senso, Sez. 6,

6

rappresenta e alla quale appartiene.

n. 21612 del 29/04/2014, Villari, Rv. 259233; Sez. 6, n, 29250 del 01/07/2010,
Moutawakkil, Rv. 249369)».
3.5.E del resto, osserva ulteriormente il Collegio, fissare l’attenzione sulla
sola “azione”, come preteso dal ricorrente, è giuridicamente sbagliato. L’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 impone la valutazione del “fatto” («uno dei
fatti»), non dell’azione. Il “fatto” del cedere o vendere una modica quantità di
sostanza stupefacente non è di per sé sufficiente a qualificare il reato in termini
di lieve entità. Il dato ponderale può essere di per sé ostativo alla qualificazione
del reato in termini di lieve entità, ma non è mai stato affermato il contrario:

dato ponderale, quando minimo, non determina di per sé la qualificazione del
reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Occorre appunto
avere riguardo ai mezzi, alle modalità e alle circostanze dell’azione, onde
affermare che il “fatto” esprima una minima offensività. Sicché, se si ipotizza che
una persona, in un arco temporale ristretto, ceda singole dosi della medesima o
di più sostanze stupefacenti a più persone, fermare l’attenzione alla singola
cessione, senza considerare quelle immediatamente successive o precedenti
comporta la assurda conseguenza che, se l’autore delle cessioni venisse trovato
nella disponibilità (per esempio) di 100 grammi di cocaina di buona qualità, il
fatto della detenzione non potrebbe essere ritenuto di lieve entità, ostandovi il
dato ponderale; se, invece, per scelta investigativa, dovessero essere assunti a
sommarie informazioni i 100 acquirenti della giornata, senza ulteriori atti di
indagine, ogni singola cessione dovrebbe integrare il reato di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, magari in continuazione con le altre. Sicché il
medesimo fatto verrebbe qualificato e sanzionato in modo diverso in base a
scelte investigative opposte; è evidente che la qualificazione del fatto in termini
di minima offensività non può risentire di scelte investigative ispirate a logiche le
più diverse (con l’opportunità, magari, di non compiere atti che determinano una
discovery anticipata). Dunque il fatto o è minimamente offensivo o non lo è. Ma
quel che più conta in questa sede è ribadire l’attitudine dei singoli fatti, ognuno
costituente reato, ad essere valutati congiuntamente quali sintomatici della non
minima offensività della condotta. La relativa valutazione è affare del giudice e
se sorretta da motivazione non manifestamente illogica è insindacabile in questa
sede.
3.6.Da questo punto di vista, anche la disponibilità di sostanze di diversa
tipologia può essere utilmente valutata. Sul punto si registra un contrasto
interpretativo sorto intorno alla rilevanza del dato ponderale delle diverse
sostanze.
3.6.1.Un primo e più risalente indirizzo sostiene che l’attenuante del fatto di
lieve entità, di cui all’art. 73, comma quinto, del d.P.R. n. 309 del 1990, non è
configurabile nel caso di detenzione di sostanze di differente tipologia,
7

a

il

prescindere dal dato quantitativo,

trattandosi di condotta indicativa della

capacità dell’agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso,
di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno
non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice (Sez.
3, n. 47671 del 09/10/2014, Cichetti, Rv. 261161; Sez. 3, n. 26205 del
05/06/2015, Khalfi, Rv. 264065; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv.
264491; Sez. 4, n. 6624 del 15/12/2016, Bevilacqua, Rv. 269130).
3.6.2.11 secondo, più recente indirizzo sostiene, invece, che

in caso di

della sostanza non può di per sé costituire ragione sufficiente ad escludere
l’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, qualora
le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore
portata dell’attività svolta dallo spacciatore (Sez. 6, n. 46495 del 19/09/2017,
Rachadi, Rv. 271338; Sez. 4, n. 22655 del 04/04/2017, Ben Ali, Rv. 270013;
Sez. 6, n. 14882 del 25/01/2017, Fonzo, Rv. 269457; Sez. 4, n. 48850 del
03/11/2016, Barba, Rv. 268218; Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016, Tropeano,
Rv. 268171).
3.7.La risoluzione di tale contrasto non ha rilevanza nel caso di specie
perché è comunque chiaro, in base a entrambi gli indirizzi, che la detenzione di
quantità non rilevanti di diverse tipologie di sostanza stupefacente se di per sé
non esclude l’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, ciò nondimeno non la impedisce affatto ed anzi può utilmente essere
valutata a questo fine.
3.8.0rbene, nel caso di specie, il Tribunale, con motivazione non
manifestamente illogica, ha tratto dalla valutazione complessiva di fatti materiali
non contestati l’impossibilità di valutare i singoli episodi di cessione alla stregua
di azioni minimamente offensive. Il punto, sul quale il ricorrente non si concentra
affatto, è la natura manifestamente illogica o meno della motivazione alla luce
dei dati di fatto disponibili come esposti nel provvedimento impugnato. E dunque
non è manifestamente illogico trarre un giudizio di non minima offensività delle
singole condotte dalla loro quotidiana reiterazione a favore di più assuntori (molti
dei quali non identificati), dalla diversità delle sostanze detenute, dal costituire
l’attività l’unica fonte di reddito professionalmente perseguito, dal loro
inserimento in circuiti criminali più ampi di cui costituiscono il terminale.
3.9.Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti esecutivi di cui all’art. 28, reg.
esec., c.p.p.

Così deciso in Roma, il 18/01/2018.

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