Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 167 del 22/09/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 167 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBANESE MARIA PASQUA N. IL 05/04/1947
avverso la sentenza n. 6580/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/05/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/09/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI
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Udito il Procuratore Generale in persona del ott.c
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che ha concluso per -12 i z; 41~-1
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Data Udienza: 22/09/2016

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza dell’11/5/2015, confermava la
sentenza del Tribunale della stessa città che il 2/7/2013 aveva riconosciuto la
penale responsabilità di Albanese Maria Pasqua in ordine ai delitti di
appropriazione indebita pluriaggravata di somme di denaro di cui aveva il
possesso in qualità di subagente della società Mas Consulting per un importo di
almeno 80.000 euro, e di falsità in scrittura privata per aver formato false
ricevute di pagamento, riproducendole mediante copie con le stesse

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Albanese
deducendo:
2.1. la nullità della sentenza per omessa rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale con l’esame del teste Rossi, come invocato dalla ricorrente, e
pertanto per essersi formato il libero convincimento del giudice sulle deposizioni
di dieci testimoni indicati dal Pubblico Ministero e tre indicati dalla difesa, così
violandosi la parità tra le parti.
2.2. l’eccessiva quantificazione della pena e la mancanza di motivazione in
ordine all’aumento di pena per la recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di impugnazione addotti a sostegno del ricorso sono
inammissibili, in quanto si discostano dai parametri dell’impugnazione di
legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen., ma la sentenza impugnata va
annullata in relazione al reato di cui all’art. 485 cod. pen., a seguito
dell’abrogazione della norma incriminatrice ad opera del d.lgs. n. 7 del
15/01/2016.
1.1. Inammissibile, in particolare, è il primo motivo di impugnazione, in
quanto ripropone le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del gravame, sicché deve ritenersi non specifico. La mancanza di specificità del
motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di specificità conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c) cod. proc. pen., all’inammissibilità (Cass. sez. 4, n. 5191 del
29/3/2000, Rv. 216473; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Rv. 230634; sez. 4, n.
34270 del 3/7/2007, Rv. 236945; sez. 3, n. 35492 del 6/7/2007, Rv. 237596).

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caratteristiche e dimensioni dell’originale.

La Corte territoriale, infatti, ha adeguatamente argomentato sul punto,
evidenziando che il Tribunale aveva revocato l’ammissione del teste Rossi, al
quale il Pubblico Ministero aveva rinunciato, perché ritenuto superfluo, ex art.
495 comma 4 cod. proc. pen., sulla base delle prove già acquisite, attese anche
le sostanziali ammissioni dell’imputato e la deposizione del teste Orlando,
ritenuta dalla Corte territoriale, con argomentazioni prive di vizi logici, in linea
con la tesi accusatoria, dovendosi ritenere smentita dalle deposizioni testimoniali
acquisite la tesi difensiva di accordi compensativi tra la ricorrente e l’agenzia

impugnata ha correttamente evidenziato che la valutazione in ordine alla
rinnovazione dell’istruttoria va fondata sulla qualità ed il contenuto del materiale
probatorio acquisito, piuttosto che su un raffronto tra il numero dei testi indicati
dall’accusa e quelli indicati dalla difesa.
E’ principio ormai consolidato, infatti, quello che indica la rinnovazione
dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza
dell’istruttoria espletata in primo grado, come istituto di carattere eccezionale al
quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua
discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (sez. U. n. 12602 del
17/12/2015, Rv. 266820), sicché la stessa è subordinata alla verifica
dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione
del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione
istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito,
incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata, come nel caso di
specie (sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620).
1.2. Inammissibile è anche il secondo motivo di impugnazione, in quanto la
graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni
previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità
del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base,

in

aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione di congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico (sez. 5 n. 5582 del 30/9/2013, Rv. 259142),
ciò che – nel caso di specie – non ricorre, atteso che la Corte territoriale, nel
confermare il trattamento sanzionatorio disposto dal primo giudice, ha
sottolineato la gravità “sia soggettiva che oggettiva della condotta dell’imputata”,
rilevando come il querelante avesse rivelato di essere stato costretto a vendere
una casa e l’ufficio in conseguenza del reato e come, anche in considerazione dei

2

presso cui lavorava. Anche alla luce di tali elementi, peraltro, la sentenza

precedenti penali della ricorrente, non ricorressero ragioni giustificative dell’allora
invocata concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della
sospensione condizionale della pena, del quale l’Albanese aveva già usufruito due
volte. Si tratta di motivazione che rende conto del trattamento sanzionatorio in
modo congruo ed esaustivo, sicché deve riconoscersi l’inammissibilità del
secondo motivo di impugnazione; peraltro, in relazione alla specifica doglianza in
merito all’asseritamente omessa motivazione in ordine all’aumento di pena per la
recidiva, deve anche rilevarsi che tale aumento di pena non risulta essere stato

pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince
dall’atto di appello.
2. Nelle more del giudizio, però, il d.lgs. n. 7 del 15/01/2016 ha abrogato la
norma incriminatrice di cui all’art. 485 cod. pen., sicché la sentenza impugnata
va annullata senza rinvio, in relazione a tale reato, perché il fatto non è più
previsto dalla legge come reato, a seguito dell’abrogazione della norma
incriminatrice ad opera del d.lgs. n. 7 del 15/01/2016, che questo Collegio deve
rilevare anche d’ufficio, per il disposto di cui all’art. 609 cod. proc. pen., comma
2, che regola l’ambito della cognizione del procedimento attribuito alla Suprema
Corte di Cassazione. Trattandosi, peraltro, di reato unificato dal vincolo della
continuazione con il delitto di cui all’art. 646 cod. pen., ed essendo stata
determinata la pena base, per il reato continuato, in considerazione della
maggiore gravità del delitto ormai abrogato, la rideterminazione della pena va
rimessa alla Corte di Appello di Milano.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui
all’art. 485 cod. pen. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Milano per la
rideterminazione della pena.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di
responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 646 cod. pen.

Così deciso nella camera di consiglio del 22 settembre 2016

Il Consigliere estensore
Dott. L

pedali

previamente contestato come motivo di appello, secondo quanto è prescritto a

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