Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 167 del 19/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 167 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
STRACQUADAINI GIANFRANCO N. IL 19/06/1975
avverso la sentenza n. 745/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
PERUGIA, del 06/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 19/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia
rigettava la domanda di Stracquadaini Gianfranco di accertamento della
collaborazione inesigibile o impossibile.
Secondo l’istanza, Stracquadaini non avrebbe potuto offrire una
collaborazione per il reato di associazione mafiosa giudicato con sentenz orte
di Assise di Siracusa del 1999, trattandosi di semplice “avvicinato”, mentre le

di Reggio Calabria erano state interamente chiarite in conseguenza delle
dichiarazioni dei pentiti; nessuna collaborazione, infine, poteva essere richiesta
con riferimento al delitto di porto di un’arma in luogo pubblico giudicato dal
G.I.P. del Tribunale di Ragusa con sentenza del 9/4/1997.
Secondo il Tribunale di Sorveglianza, al contrario, vi era un ampio spazio per
la collaborazione di Stracquadaini, come si evinceva dalla lettura delle sentenze
concernenti gli omicidi di mafia. Il richiedente faceva parte del clan Carbonaro Dominate diretto da Dominate Carmelo, detenuto nel carcere di Brucoli e che da
tale istituto faceva pervenire all’esterno le sue direttive concernenti la guerra
intrapresa contro il clan Nigito. Stracquadaini era stato ritenuto responsabile di
due dei sei delitti più gravi commessi nel corso della guerra: egli avrebbe potuto
chiarire definitivamente le circostanze dell’omicidio di Scaretti Emanuele, di
quello di Foresti Rosario e del tentato omicidio di Gianni Mattia.

2. Ricorre per cassazione Gianfranco Stracquadaini, sottolineando che il
quadro della ricostruzione dei due delitti era definitivo e che egli non poteva
aggiungere alcunché.
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione. In primo
luogo il ricorrente contesta la valutazione incidentale compiuta dal Tribunale di
Sorveglianza secondo cui tutta la pena detentiva era attribuibile a reati ostativi
“di prima fascia”.
Secondo il ricorrente una eventuale sua collaborazione con riferimento
all’omicidio Scaretti non avrebbe alcuna utilità, poiché Cascino Carmelo e Giudice
Roberto erano stati definitivamente assolti dall’imputazione né potrebbero essere
giudicati nuovamente.
La collaborazione sarebbe inutile anche con riferimento all’omicidio Foresti e
al tentato omicidio Mattia: in effetti, tre persone indicate da alcuni pentiti erano
state definitivamente assolte, mentre il coinvolgimento di altri soggetti non era
stato ipotizzato dai collaboratori di giustizia.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2

vicende concernenti gli omicidi di mafia giudicati dalla Corte di assise di appello

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In materia di benefici penitenziari, non costituisce ipotesi di inesigibilità della
collaborazione a norma dell’art. 4 bis, comma primo bis, della legge 26 luglio
1975, n. 354, l’impossibilità di rendere una collaborazione processualmente
rilevante determinata da una condotta volontaria, poiché la disposizione che

eccezione alla regola generale della ostatività del titolo del reato, è soggetta al
principio di stretta interpretazione.
Secondo il dato testuale della L. n. 354 del 1975, art. 4 bis, comma 1 bis, la
impossibilità di collaborazione, quale condizione equipollente alla collaborazione
positivamente prestata ai fini dell’accesso ai benefici penitenziari, deve
necessariamente derivare “dall’integrale accertamento dei fatti e delle
responsabilità operato con sentenza irrevocabile”, ovvero dalla “limitata
partecipazione al fatto criminoso” nel senso che il ruolo marginale svolto dal
condannato nella realizzazione del fatto delittuoso gli ha precluso l’accesso ad
informazioni spendibili ai fini collaborativi.
La tipizzazione normativa della nozione di collaborazione impossibile o
inesigibile, soggetta al principio di stretta interpretazione in quanto disposizione
che fa eccezione alla regola generale della ostatività del titolo di reato, comporta
che non possa ricomprendersi nella collaborazione inesigibile la situazione del
soggetto che versa nella attuale impossibilità di rendere una collaborazione
processualmente rilevante a causa di una condotta volontaria (la mancata
collaborazione in pendenza del processo celebrato anche nei confronti di altri
soggetti) con la conseguenza che dichiarazioni astrattamente rilevanti che egli
potrebbe rendere interverrebbero solo quando la possibilità di ricostruire fatti e
responsabilità precedentemente non accertati è processualmente preclusa
(assoluzione definitiva, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., di due
coimputati).

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

3

prevede la nozione di collaborazione impossibile o inesigibile, in quanto

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 19 novembre 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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