Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16694 del 14/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16694 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NABISSI CLAUDIO N. IL 08/03/1958
avverso la sentenza n. 1385/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
12/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 21, 4,■,m,
che ha concluso per ),1
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. 92ii-Jr1A’ dgz-, CeàcbuiLACA

Data Udienza: 14/01/2016

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Ancona,
in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Ancona, in

principale ed accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati
di cui agli artt. 416 bis, co. 1, 2, 3, 4, 5 ed ultimo, c.p. (capo a);
110, 81, co. 2, 629, co. 2, in relazione all’art. 628, co. 3, n. 1) e
n. 3), c.p., 7, I. n. 203/91 (capo f) e 110, 628, co. 1 e 3, n. 1) e
n. 3), c.p. (capo I), dichiarava non doversi procedere nei confronti
del suddetto Nabissi in relazione al reato di cui al capo I), perché
estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione in
senso più favorevole al reo del trattamento sanzionatorio,
confermando nel resto la sentenza impugnata.
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Giancarlo
Giulianelli, del Foro di Macerata, lamentando: 1) violazione di
legge, in relazione agli artt. 16, 21 e 24, c.p.p., spettando la
competenza per territorio al tribunale di Macerata e non di
Ancona.
In particolare, ad avviso del ricorrente, tenuto conto delle plurime
contestazioni formulate nei confronti dell’imputato, il giudice
competente per territorio andava individuato nel tribunale nel cui
circondario era stato commess o il primo dei reati più gravi,
costituiti dalle estorsioni unificate sotto il vincolo della
continuazione di cui ai capi f); g) ed h), reato identificato
nell’estorsione di cui al capo f), commessa a partire dal 1987 sino
al 3.4.1990 e fini al 28.9.1991 in Piediripa di Macerata, e non in

data 18.9.2009, aveva condannato Nabissi Claudio alle pene,

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quella di cui al capo h), che erroneamente il giudice di primo
grado, nel rigettare la relativa eccezione già formulata in quella
sede, ha ritenuto essere il reato più grave, in quanto, da un lato
lo stesso tribunale, nel calcolo della pena, aveva individuato

continuazione, dall’altro di tale reato non poteva minimamente
tenersi conto ai fini della determinazione della competenza per
territorio, trattandosi di reato già prescritto nel 2002; allo stesso
modo, evidenzia il ricorrente, anche volendo applicare le regole
disciplinanti la determinazione della competenza per territorio in
caso di connessione tra reati, come interpretate dalle sezioni unite
della Corte di Cassazione nella sentenza n. 40537 del 16.7.2009,
mai la competenza per territorio può essere attribuita al tribunale
di Ancona, in quanto l’ultimo dei reati connessi era ed è quello di
cui al capo I dell’imputazione (rapina aggravata) commessa il
22.9.1987 in Sant’Elpidio a Mare, rientrante nella competenza per
territorio del tribunale di Fermo, senza tacere che non è possibile
risolvere le questioni in tema di competenza territoriale ex post,
vale a dire, come ha fatto la corte di appello di Ancona,
utilizzando le dichiarazioni rese nel corso dell’istruttoria
dibattimentale, e che, comunque, il giudice di secondo grado ha
omesso di motivare in ordine alla eccezione relativa alla
impossibilità di individuare il giudice competente per territorio
sulla base di un reato estinto per prescrizione;
2) violazione di legge, in relazione all’art. 192, co. 3, c.p.p., e
vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni
rese dal coimputato Paoletti Sauro, chiamante in correità, non
avendo la corte territoriale fornito un’adeguata motivazione in
ordine ai parametri che devono essere rispettati ai fini della

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nell’estorsione di cui al capo f), il reato più grave tra quelli in

corretta valutazione della chiamata di correo, in ordine alla
credibilità personale del dichiarante, alla attendibilità intrinseca
delle sue dichiarazioni ed alla attendibilità estrinseca delle stesse
(difetto di adeguati riscontri esterni, sia con riferimento

di un locale notturno, sia in relazione alla partecipazione
dell’imputato al sodalizio criminoso in contestazione), dovendosi
individuare la vera motivazione che ha spinto il Paoletti a
collaborare in un mero interesse a godere dei benefici premiali; 3)
violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al reato
di cui al capo f), in quanto la corte territoriale ha omesso di
considerare che né il Giuggioloni, né il suo socio Campetelli hanno
mai riferito di avere consegnato la somma di 800.000 lire versata
settimanalmente a titolo di tangente estorsiva al Nabissi ovvero
che quest’ultimo ne pretendesse il pagamento, difettando, inoltre,
al riguardo anche una specifica chiamata in correità del Paoletti;
4) compiuto decorso del termine intermedio di prescrizione,
eccezione formulata nei motivi di appello su cui la corte ha
omesso di rispondere.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4. Manifestamente inammissibile appare il primo motivo di ricorso.
Come è noto, infatti, la competenza per territorio per i
procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono
ugualmente competenti per materia, a norma dell’art. 16, co. 1,
c.p.p., appartiene al giudice competente per il reato più grave e,
in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato. In
proposito dovendosi considerare che, al fine di stabilire quale sia il
reato più grave, deve farsi riferimento all’imputazione contestata
dal pubblico ministero, determinando la “gravità” del reato in

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all’estorsione continuata in danno di Giuggioloni Luciano, titolare

ragione della pena più elevata nel massimo o, in caso di parità,
della pena più elevata nel minimo; con l’ulteriore precisazione
che, poiché occorre avere riferimento esclusivo alle sanzioni
edittali, resta priva di rilevanza, nel caso che queste si

provocato dalle singole condotte criminose (cfr. Cass., sez. IV,
28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. II, 05/10/2011, n. 39756, rv.
251190)
Orbene a tali principi si è puntualmente attenuta la corte
territoriale, che correttamente ha individuato nelle estorsioni
aggravate contestate nei capi f) ed h), i reati più gravi in
considerazione della entità del trattamento sanzionatorio edittale
per esse stabilito, con conseguente applicazione della norma di
chiusura prevista dall’art. 16, co. 1, c.p.p., in conformità alla
quale, ai fini di determinare l’autorità giudiziaria competente per
territorio, il giudice di secondo grado ha fatto riferimento al reato
commesso per primo – l’estorsione aggravata continuata in danno
di Cesaroni Mauro e di Guerrieri Fausto, commessa in Ancona a
partire dal 1987, di cui al capo h) – in quanto le condotte
estorsive in danno di Giuggioloni Luciano, “contitolare occulto” del
locale notturno “Oasi”, di Pierdiripa di Macerata, di cui al capo f),
risultano poste in essere successivamente all’inizio dell’attività
estorsiva di cui al capo h), non essendo emerse condotte
estorsive in pregiudizio del titolare del suddetto locale notturno
per l’anno 1987 e fino ai primi mesi dell’anno 1988.
Nulla impedisce, peraltro, al giudice di secondo grado, chiamato a
pronunciarsi sulla eccezione di incompetenza per territorio, di
valorizzare, ai fini dell’accertamento del tempus commissi delicti,
funzionale all’individuazione dell’autorità giudiziaria competente

4

equivalgano, la maggiore o minore entità del danno in concreto

per territorio nel caso di reati di pari “gravità”, le risultanze
processuali, come ha fatto nel caso in esame la corte territoriale,
che ha utilizzato le dichiarazioni del coimputato Paoletti Sauro e le
testimonianze delle persone offese Giuggioloni e Campetelli, per

condotta estorsiva (cfr. p. 30 della sentenza oggetto di ricorso).
Ciò in quanto, una volta investito della eccezione relativa ad una
erronea interpretazione dell’art. 16, co. 1, c.p.p., il giudice di
secondo grado ha il dovere di procedere ad una compiuta
ricostruzione dei fatti-reato, che vada oltre la semplice lettura
dell’imputazione, proprio per accertare, nel caso di concorso di più
reati di uguale gravità, quale sia stato il reato commesso per
primo.
Manifestamente infondato risulta essere anche il rilievo sul
preteso errore in cui sarebbe incorsa la corte di appello nel non
accorgersi che lo stesso giudice di primo grado avrebbe
considerato il reato di cui al capo f) più grave, ai fini del calcolo
della pena inflitta al Nabissi, in quanto il ricorrente omette di
considerare, come rilevato dal giudice di secondo grado, che ciò è
avvenuto solo perché l’imputato è stato assolto dal reato di cui al
capo h), ai sensi dell’art. 530, co. 2, c.p.p., per insufficienza della
prova raccolta, con statuizione divenuta, sul punto, definitiva,
perché non impugnata dal pubblico ministero.
Quanto al rilevo difensivo sulla prescrizione, non solo ne va
rimarcata la genericità, ma va anche rilevato come l’eventuale
compiuta estinzione per prescrizione del reato di cui al capo h),
peraltro non rilevata né dedotta innanzi al giudice di primo grado,
non avrebbe inciso sul profilo (di natura processuale) riguardante
la determinazione del giudice competente a procedere in sede /___

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individuare il luogo (Ancona) della consumazione della prima

dibattimentale, che, in quanto giudice al quale è devoluta la
cognizione dell’intera vicenda, è legittimato ad adottare tutti i
provvedimenti in cui si sostanziano i diversi epiloghi decisori del
giudizio, ivi compresa l’eventuale pronuncia di non doversi

prescrizione (cfr., in questo senso, Cass., sez. VI, 04/05/2006, n.
33435, secondo cui in tema di competenza per territorio, le
vicende processuali successive ai limiti temporali di rilevazione
della questione, anche con riferimento ai provvedimenti conclusivi
adottati sul merito dal giudice, non incidono sulla competenza già
affermata, che si radica in attuazione di una ben precisa

regula

iuris, i cui effetti non sono provvisori ma danno attuazione, sin dal
momento in cui si producono anche in sede di udienza
preliminare, al principio della

perpetuatio jurisdictionis

e

legittimano il potere decisorio del giudice al quale è devoluta la
cognizione della vicenda).
5. Inammissibili appaiono i rilievi difensivi sintetizzati sub n. 2) e
n. 3).
Con essi, infatti, il ricorrente espone censure che si risolvono in
una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di
logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi,
ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di
giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv.
255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass.,
sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. III,
27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).

6

procedere per estinzione del reato conseguente ad intervenuta

Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera
della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata

unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
rv. 234148).
Sicché il sindacato della Cassazione resta quello di sola legittimità,
esulando dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche
laddove venga prospettata dal ricorrente, come nel caso in
esame, una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze
processuali (cfr. Cass., sez. II, 23.5.2007, n. 23419, rv. 236893).
In aggiunta al precedente argomento, va, altresì, rilevata, in
relazione al contenuto delle dichiarazioni rese dai testi Giuggioloni
e Campetelli, la violazione, da parte del ricorrente, del principio
della cd. autosufficienza del ricorso, secondo cui anche in sede
penale, allorché venga lamentata l’omessa o travisata valutazione
di specifici atti processuali, è onere del ricorrente suffragare la
validità del proprio assunto mediante la completa allegazione
ovvero la trascrizione dell’integrale contenuto di tali atti,
dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame
diretto, salvo che il “fumus” del vizio dedotto non emerga
all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr. Cass., sez.

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pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente

I, 17/01/2011, n. 5833, G.; Cass., sez. IV, 10.11.2015, n. 46979,
rv. 265053), circostanza non sussistente, in tutta evidenza, nel
caso in esame.
Va dato, atto, infine, che a differenza di quanto affermato dal

con motivazione approfondita ed immune da vizi, ha proceduto ad
una specifica valutazione della credibilità personale del
collaboratore di giustizia Paoletti Sauro, nonché della attendibilità
intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese da quest’ultimo
(cfr. pp. 31-32 della sentenza oggetto di ricorso).
6. Manifestamente infondato deve ritenersi anche l’ultimo motivo
di ricorso.
Va, innanzitutto premesso, che in relazione ad entrambe le
fattispecie di reato per cui il Nabissi è stato condannato, trova
applicazione la disciplina della prescrizione antecedente la novella
intervenuta con la I. n. 251 del 2005, trattandosi di normativa più
favorevole al reo, in quanto non prevede il raddoppio dei termini
di prescrizione attualmente sancito dall’art. 157, co. 6, c.p., per i
reati di cui all’art. 51, co. 3 bis, c.p.p., tra cui rientrano, per
l’appunto, sia il delitto

ex art. 416 bis, c.p., che quello di

estorsione aggravata dall’art. 7, I. n. 203 del 1991.
Ciò posto, con riferimento al delitto di cui al capo a), trattandosi di
associazione a delinquere che ha cessato di esistere alla data del
28.9.1991 (come da contestazione), la pena massima, tenuto
conto della formulazione precedente alla riforma dell’art. 416 bis,
intervenuta con la I. 5 dicembre 2005, n. 251, nonché del fatto
che il Nabissi risponde del reato in questione in qualità di semplice
partecipe, cui è stata contestata la circostanza aggravante ex art.
416 bis, co. 4, c.p., era di dieci anni.

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ricorrente, la corte territoriale, al pari del giudice di primo grado,

Di conseguenza il termine di prescrizione ordinario, al netto, cioè,
degli atti interruttivi, in applicazione della previgente formulazione
dell’art. 157, co. 1, n. 2), c.p., era pari a quindici anni, venendo a
scadenza il 28.9.2006.

intervenuti, prima di tale scadenza, due atti interruttivi del
relativo decorso: la richiesta di rinvio a giudizio del 15 giugno
2006 ed il provvedimento di rinvio a giudizio del giudice per le
indagini preliminari presso il tribunale di Ancona del 19.9.2006.
Con riferimento al reato di estorsione pluriaggravata, contestato
nel capo f) come commesso “dagli anni 1987/1988 al 3 aprile
1990 e fino al 28 settembre 1991”, la pena edittale, nel massimo,
è sempre stata pari a venti anni di reclusione, in conseguenza
dell’aumento previsto dall’art. 629, co. 2, c.p., che si configura
come circostanza ad effetto speciale, comportando un aumento
superiore di un terzo sulla pena base di dieci anni di reclusione di
cui all’art. 629, co. 1, c.p.
Di conseguenza, tenuto conto della ulteriore circostanza
aggravante ad effetto speciale ex art. 7, I. 203/91 del pari
contestata (e ritenuta), la pena da prendere in considerazione ai
fini della determinazione del relativo termine di prescrizione, pur
in presenza del limite agli aumenti di pena previsto in caso di
concorso di più circostanze ad effetto speciale dall’art. 63, co. 4,
c.p., non risulta inferiore ai ventiquattro anni di reclusione, che
rappresenta la soglia oltre la quale, ai sensi della previgente
formulazione dell’art. 157, co. 1, n. 1), c.p., il tempo necessario a
prescrivere è pari a venti anni.
Ed invero, poiché l’art. 63, co. 4, c.p., stabilisce che nel caso in
cui concorrano più circostanza aggravanti ad effetto speciale si

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Tuttavia la prescrizione non può dirsi compiuta, essendo

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applica soltanto la pena stabilità per la circostanza più grave, ma
il giudice può aumentarla, non essendo determinato per legge
l’entità dell’aumento, deve trovare applicazione il principio fissato
dall’art. 64, c.p., secondo cui quando ricorre una circostanza

aumentata fino ad un terzo.
Pertanto, essendo più grave la circostanza aggravante di cui
all’art. 629, co. 2, la pena per essa prevista, pari a venti anni di
reclusione, può essere aumentata sino ad un terzo, giungendo, in
tal modo, ad una pena edittale che supera nel massimo i
ventiquattro anni di reclusione.
Ne consegue che, attestandosi sui venti anni il termine ordinario
di prescrizione per il reato di cui al capo f), partendo dal dies a
quo del 1988, per le ragioni in precedenza indicate, nel momento
in cui sono intervenuti gli atti interruttivi in precedenza indicati il
suddetto termine non era perento.
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della
cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che
l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non
consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.

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aggravante e l’aumento non è determinato dalla legge, la pena è

Così deciso in Roma il 14.1.2016.

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