Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16693 del 14/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16693 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FINAZZI DANILO N. IL 14/11/1964
FINAZZI DEBORAH N. IL 11/04/1984
avverso la sentenza n. 1819/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
09/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO
Or\ rPi■
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 4
che ha concluso per il, /
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,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 14/01/2016

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Brescia,
in qualità di giudice di appello, in parziale riforma della sentenza

condannato Finazzi Danilo e Finazzi Deborah, alle pene ritenute di
giustizia, in relazione ai reati di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale, nonché di omessa presentazione
della dichiarazione dei redditi per l’anno 2004, nelle qualità di
amministratori di diritto della società “Tecnocostruzioni s.r.l.”,
dichiarata fallita dallo stesso tribunale, dichiarava non doversi
procedere nei confronti dei predetti imputati, in ordine al reato
tributario, perché estinto per prescrizione; assolveva entrambi gli
imputati dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in
relazione all’episodio della distrazione, nell’anno 2004, della
somma di euro 1.062.671,20, perché il fatto non sussiste,
rideterminando in senso più favorevole ai rei l’entità del
trattamento sa nzionatorio.
2. Avverso la sentenza di secondo grado, di cui chiedono
l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione
entrambi gli imputati, con due distinti atti di impugnazione,
entrambi a firma del difensore di fiducia, avv. Carlo Ravasio, del
Foro di Bergamo.
2.1. In particolare, nel ricorso presentato nell’interesse di Finazzo
Deborah, il difensore lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione, per avere la corte territoriale confermato la sentenza
di condanna nei confronti dell’imputata, senza considerare che
quest’ultima ha assunto il ruolo di mera prestanome del vero
dominus Zanardini Fabio, nel breve periodo in cui, a solo 19 anni,

con cui il tribunale di Bergamo, in data 22.11.2010, aveva

ha svolto il ruolo di amministratrice di diritto della società fallita
(dal 4.9.2003 al 12.11.2004), per cui non può essere chiamata a
rispondere né del reato di bancarotta fraudolenta documentale, in
relazione al quale, rileva, peraltro il ricorrente, all’atto del

Danilo), “tutta la documentazione della “Tecnocostruzioni s.r.l.”
era esistente o tenuta in conformità alle leggi vigenti in materia”,
né del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione, in ordine al quale occorre sempre dimostrare che
l’amministratore di diritto, mero prestanome, fosse consapevole
degli eventi distrattivi e della loro natura, non potendosi ritenere
sufficiente una mera presunzione di conoscenza determinata dal
solo fatto di avere accettato di svolgere il ruolo di prestanome.
2.2. Nel ricorso presentato nell’interesse di Finazzi Danilo, il
difensore, da un lato, reitera le medesime doglianze in
precedenza indicate, rilevando come il Finazzi fosse solo un
prestanome del vero gestore della società fallita, Zanardini Fabio,
il quale era dotato di competenze ben superiori di quelle
possedute dall’imputato, semplice operaio, rimasto del tutto
estraneo alla effettiva e reale gestione della “Tecnocostruzioni
srl.”, dall’altro lamenta violazione di legge in relazione alla
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed
alla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio.
3. I ricorsi appaiono inammissibili per la manifesta infondatezza
dei motivi che li sorreggono.
Con riferimento, in particolare, alla posizione della Finazzi
Deborah va evidenziato che la corte territoriale ha confermato la
sentenza di condanna nei confronti dell’imputata solo per il reato
di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo b), rispetto

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passaggio di consegne al nuovo amministratore (lo zio Finazzi

al quale il ruolo di semplice prestanome, su cui insiste la
ricorrente, amministratrice di diritto della società fallita per oltre
un anno, rispetto al vero dominus, non rappresenta un elemento
sufficiente ad escluderne la responsabilità.

qualifica di amministratore di diritto della Finazzi la condanna
dell’imputata per il reato di bancarotta fraudolenta documentale
per sottrazione in frode ai creditori delle scritture contabili (la cui
mancanza è stata oggettivamente accertata), in relazione al
quale, come affermato dal consolidato orientamento della
giurisprudenza del Supremo Collegio, sussiste la responsabilità del
soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione
dell’impresa fallita, atteso il diretto e personale obbligo
dell’amministratore “di diritto” di tenere e conservare le suddette
scritture.
Mentre non sussiste tale responsabilità con riguardo all’ipotesi
della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla
quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente,
trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una
volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità
dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di
adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittimi
la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur
consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente
non necessariamente implica la consapevolezza di disegni
criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (cfr. Cass., sez. V,
23/01/2012, n. 11649; Cass., sez. V, 18/12/2012, n. 5767;
Cass., sez. V, 19/06/2012, n. 40929)

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Correttamente, infatti, la corte territoriale ha fondato sulla

D’altro canto, come è stato affermato, in tema di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, in caso di concorso ex art. 40, co. 2,
c.p., dell’amministratore formale nel reato commesso
dall’amministratore di fatto, il dolo del primo può configurarsi

fraudolenta patrimoniale per distrazione, reato che richiede il dolo
generico: cfr., Cass., sez. V, 14/12/2012, n. 3229, rv. 253932) ed
essere integrato dall’omesso controllo sulla tenuta delle scritture
che dimostra la rinuncia a porre in essere quelle attività idonee a
prevenire il pericolo di distrazioni e, di conseguenza, l’accettazione
del rischio che esse possano verificarsi (cfr . Cass., sez. V,
14.5.2013, n. 37305, rv. 257608).
La presenza di un amministratore di fatto non fa di per sé venir
meno la responsabilità penale dell’amministratore di diritto, a
titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
con l’amministratore di fatto, che non discende esclusivamente
dalla posizione formale rivestita all’interno della società, ma in
ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere,
consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo,
c.p., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel
mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo
sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica
rivestita (cfr. Cass., sez. V, 28.5.2014, n. 44826, rv. 261814).
Proprio in applicazione di tali principi in un recente e condivisibile
arresto del Supremo Collegio è stato ulteriormente specificato che
nel caso in cui a rivestire il ruolo di amministratore di diritto sia un
soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo
scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla
propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del

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anche come eventuale (ovviamente nel caso di bancarotta

reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si
verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per
l’affermazione della responsabilità penale per il reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione (cfr. Cass.,

Pertanto, alla luce degli evidenziati principi di diritto, risulta
evidente come anche la condanna del Finazzi Danilo per i delitti di
bancarotta fraudolenta patrimoniale, con riferimento alla condotta
distrattiva posta in essere nell’anno 2005, e di bancarotta
fraudolenta documentale, sia giustificata dal ruolo di
amministratore di diritto svolto dall’imputato sino al 15 luglio del
2005 e dal suo diretto coinvolgimento nell’attività fistrattiva.
Come evidenziato correttamente dalla corte territoriale, infatti, il
Finazzi ha partecipato ‘direttamente alla gestione dell’impresa
(basti pensare che fu l’imputato a convincere la Finazzi Deborah
ad accettare la carica di amministratore, in cambio della promessa
di uno stipendio mensile) ed all’attività distrattiva, avendo
venduto, in qualità di amministratore unico, “tutti gli immobili di
proprietà della società fallita, con atti pubblici datati 9 giugno
2005, ai quali è personalmente intervenuto, incassando l’importo
complessivo di euro 1.340.000,00 indicato nell’imputazione, per il
quale ha rilasciato in favore degli acquirenti ampia e definitiva
quietanza, importo non rinvenuto dal curatore all’atto del
fallimento dichiarato il successivo 23 marzo 2006”.
Le doglianze difensive appaiono, pertanto, manifestamente
infondate, come del resto quelle relative all’eccessiva severità del
trattamento sanzionatorio riservato al Finazzi.
Ed invero, come chiarito dall’orientamento assolutamente
dominante in sede di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di

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sez. V, 7.1.2015, n. 7332, rv. 262767).

circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere
della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice
un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della
sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non

esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di
detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per
presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi
ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo
l’affermata insussistenza.
Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa
stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione
dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati
ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso,
adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a
fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento
delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a
sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti
tuttavia la stretta necessità della contestazione o della
invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati
nell’art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla
entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può essere
sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche
derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere
negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato
(cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass.,
sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172).

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codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di

Per il diniego della concessione delle attenuanti generiche,
pertanto, non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti

rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità
della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto
dall’interessato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, n.
24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172).
A tali principi si è puntualmente attenuta la corte territoriale,
evidenziando, a fronte dei rilievi difensivi sul punto, con
motivazione approfondita ed esente da vizi, da un lato la gravità
della condotta posta in essere dall’imputato; dall’altro la
sussistenza di precedenti penali a carico di quest’ultimo, in uno
con “l’assenza di qualsiasi elemento positivamente valorizzabile a
suo favore”.
Evidente, dunque, la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso,
avendo la corte territoriale puntualmente utilizzato i criteri di cui
all’art. 133, c.p., per fondare la propria argomentata decisione,
rispetto alla quale, peraltro, le censure del ricorrente si
appalesano anche come rilievi attinenti all’adeguatezza dell’entità
del trattamento sanzionatorio, non consentiti in sede di
legittimità, in quanto implicanti una valutazione di puro merito.
4. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa
vanno, dunque, dichiarati inammissibili, con condanna di ciascuno
dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore
della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che
l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non

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decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale

consente di ritenere i ricorrenti medesimi immuni da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q. M .

pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14.1.2016.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al

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