Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16688 del 28/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16688 Anno 2018
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MACRI’ UBALDA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino,
da Negri Valentina, nata a Premosello Chiovenda il 3.2.1961, Ferri Benilde, nata
a Miasino il 4.7.1937, Negri Daniela, nata a Premosello Chiovenda il 2.12.1962,
Negri Elisabetta, nata ad Omegna il 20.8.1966, Jhalani Giovanni Jay Kishan, nato
a Borgomanero il 31.7.1991, nel procedimento a carico di Giacomini Alberto,
nato a Madonna del Sasso il 25.11.1928 e Primatesta Gian Carlo, nato ad
Armeno il 25.5.1967,
avverso la sentenza in data 11.11.2016 della Corte d’appello di Torino,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata;
udito, per la parte civile Negri Valentina, l’avv. Paolo Botasso, che ha depositato
conclusioni, nota spese ed ha insistito sui motivi di ricorso;
udito, per tutte le altre parti civili, l’avv. Carlo Ruga Riva, che ha depositato
conclusioni, nota spese ed ha chiesto la demolizione dell’albergo;
udito, per gli imputati, l’avv. Luana Granozio, in sostituzione dell’avv. Angelo
Luigi Matteo Giarda, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 28/11/2017

1. La Corte d’appello di Torino con sentenza in data 11.11.2016, in
riforma della sentenza del Tribunale di Verbania in data 8.2.2013, ha dichiarato
di non doversi procedere nei confronti di Giacomini Alberto per i reati ascrittigli,
per essere estinti per morte del reo, e nei confronti di Primatesta Gian Carlo per i
reati ascrittigli, per essere estinti per prescrizione entro il dicembre 2012; per
l’effetto, ha annullato le statuizioni civili e revocato l’ordine di demolizione delle
opere abusive.

2. Ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino

comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla prescrizione dei
reati contestati.
Premette in fatto a) che il caso riguardava la realizzazione di un albergo a
quattro stelle nel Comune di Orta San Giulio da parte della società Conca d’Oro
S.r.l., previa demolizione di un modesto fabbricato risalente al 1956, denominato
Conca d’Oro e composto di 3 livelli (piano seminterrato, piano terra e primo
piano), 7 camere per complessivi 14 posti letto, originariamente adibito a
struttura ricettiva ma poi ad abitazione privata per cambio di destinazione; b)
l’imputato Primatesta aveva progettato la realizzazione di 50 camere, 5 suite,
una palestra, uno spazio espositivo, una sala conferenze da 300 posti in luogo
delle 7 camere, il che aveva richiesto l’adozione e l’approvazione di una variante
al Piano regolatore generale; c) l’Accusa aveva contestato agli imputati la
condotta di concorso nell’abuso edilizio mediante l’adozione della variante n. 4bis, necessaria per il rilascio del permesso a costruire n. 29/03 dell’1.12.2003,
perché era stata seguita la procedura amministrativa per le varianti parziali e
non per quelle strutturali al Piano regolatore, in violazione della L. Regione
Piemonte n. 56/1977; d) la Corte territoriale aveva ritenuto il reato edilizio
prescritto in data anteriore all’esercizio dell’azione penale, siccome il decreto di
citazione diretta era stato emesso dal Pubblico ministero di Verbania in data
26.9.2011 ed i lavori erano cessati tra il novembre e dicembre 2007; e) la
certezza della data della cessazione della condotta era dedotta dai Giudici in virtù
dei seguenti elementi: el) il permesso a costruire era scaduto il 2.12.2006 ed
era stato prorogato fino al 2.12.2007, e2) il 27.11.2007 il TAR aveva annullato il
suddetto permesso, e3) la committente aveva preferito attendere la sentenza del
Consiglio di Stato che in data 22.1.2013 aveva rigettato l’appello, e4) la
committente aveva tentato inutilmente di ottenere un nuovo permesso a
costruire per il completamento dell’opera nell’anno 2012.
Deduce in diritto che nel 2011 il fabbricato in oggetto era ancora in
costruzione, allo stato di rustico, erano state realizzate le strutture portanti,
parte degli impianti tecnologici ed i nuovi muri, ma non erano stati ultimati i

Con un unico motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 606,

lavori, né v’era stata la sospensione degli stessi, volontaria o coattiva. Assume
pertanto che non poteva considerarsi sufficiente la mera riserva mentale di
sospendere i lavori, in attesa di riprenderli alla prima utile occasione, ma era
necessario che fosse intervenuta un’irrevocabile e definitiva volontà
d’interrompere l’attività. Nella specie, era certo che la società volesse proseguire
i lavori, tant’era vero che aveva chiesto un nuovo permesso a costruire; inoltre,
in caso di definitiva cessazione degli stessi, avrebbe dovuto disporre la
restituzione dei fondi pubblici ottenuti fino a quel momento. Contesta
l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’effettiva sospensione dei

26.2.2013 la società aveva depositato l’istanza di completamento dei lavori
presso lo Sportello unico per le attività produttive del Comune di Borgomanero,
nonché l’affermazione secondo cui la cessazione dei lavori era desumibile dalla
mancata adozione di un decreto di sequestro preventivo, perché l’evento non
poteva desumersi per difetto dalla mancata adozione della misura cautelare
reale, ma doveva essere individuato sulla base di parametri probatori positivi.
Ritiene quindi che la cessazione della permanenza risalga alla pronuncia della
sentenza di primo grado in data 8.2.2013.

3. Ricorso di Negri Valentina
Con un unico motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla prescrizione dei
reati contestati. Riprende gli argomenti già esposti dal Pubblico ministero e
ritiene che la permanenza possa dirsi cessata al momento del rigetto del
permesso a costruire nel marzo 2013 o comunque alla pronuncia della sentenza
di primo grado in data 8.2.2013. Contesta la parte della motivazione della
sentenza secondo cui gli imputati intendevano portare a termine l’opera in modo
lecito perché avevano chiesto un nuovo permesso a costruire, siccome quello
originario era comunque illecito. Osserva che il rilievo penale della volontà era
frequente nella materia ambientale, come nel caso del conferimento di un
oggetto sul suolo, che poteva integrare l’ipotesi di deposito temporaneo o di
abbandono di rifiuti, secondo l’intenzione del detentore di disfarsene o di
smaltirlo successivamente. Conclude pertanto per l’annullamento della sentenza
impugnata con ordine di demolizione delle opere abusive e condanna del
Primatesta al risarcimento del danno da quantificarsi in C 10.000,00 per ciascuna
parte civile, oltre spese di lite del grado d’appello e del presente grado.

4.

Ricorso di Ferri Benilde, Negri Daniela, Negri Elisabetta, Jhalani

Giovanni Jay Kishan

lavori era stata ritenuta necessaria in un’ottica imprenditoriale, siccome in data

Con un unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla prescrizione dei
reati contestati. Ribadiscono gli argomenti già spesi dal Pubblico ministero e dalla
Negri Valentina e precisano che ciò che contava ai fini della cessazione della
permanenza era la volontà manifestata nelle richieste di proroga dei lavori e dei
nuovi permessi di completamento delle stesse, a riprova che i lavori non erano
interrotti, ma solo sospesi in vista della loro ripresa. Premesso che la cessazione
della permanenza poteva risalire al marzo 2013 – data di rigetto dell’istanza del
nuovo permesso a costruire – o a febbraio 2013 – data della sentenza di primo

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. I ricorsi sono tutti manifestamente infondati.
5.1. La cessazione della permanenza dei contestati reati di abuso edilizio
è quaestio facti (Cass., Sez. 3, 7.12.2016, n. 14501, PM in proc. Rocchio e altri,
Rv 269325) accertata dai Giudici d’appello con motivazione ineccepibile.
Dopo aver enunciato il consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui il reato urbanistico ha natura permanente e che, ove non si ultimi
l’opera, la cessazione della permanenza coincide con la certa sospensione dei
lavori, coattiva, cioè determinata da provvedimento dell’autorità, o volontaria,
cioè definitiva e non imposta da circostanze contingenti e transitorie, hanno
ritenuto rilevante l’accertata cessazione dei lavori tra novembre e dicembre
2007, perché a) era scaduto il permesso a costruire, il che inibiva sul piano
amministrativo il completamento dell’opera, b) il 27.11.2007 il TAR aveva
annullato il permesso a costruire, c) il 7.3.2008 il Presidente del consiglio
d’amministrazione della Conca d’Oro S.r.l. aveva chiesto tardivamente un’istanza
di proroga del permesso a costruire in attesa della pronuncia del Consiglio di
Stato di sospensione degli effetti della sentenza del TAR, d) il 25.7.008 lo stesso
Presidente aveva però comunicato l’interruzione dei lavori, stante
l’antieconomicità dell’opera e l’opportunità di attendere l’esito del giudizio innanzi
al Consiglio di Stato, e) che, nelle more della decisione del Giudice
amministrativo, rivelatasi poi non favorevole, il Presidente aveva chiesto un
nuovo permesso a costruire che gli era stato negato il 25.3.2013.
Hanno, inoltre, precisato che a) certamente i lavori erano cessati al
2.12.2007, come da relazione del Consulente tecnico del Pubblico ministero e da
testimonianza del commissario Aceti, b) attesa la notorietà dell’opera nella zona,
non v’erano state segnalazioni della Polizia giudiziaria sulla prosecuzione dei
lavori oltre la scadenza del permesso, c) la sospensione dei lavori era necessitata
dopo la sentenza del TAR, perché v’era il concreto rischio di perdere il denaro

4

grado -, formulano le medesime conclusioni già rassegnate dalla Negri Valentina.

nell’impresa e di subire il danno della demolizione dell’opera, d) il Pubblico
ministero non aveva ritenuto di chiedere il sequestro preventivo dell’opera,
proprio perché i lavori erano cessati, e) nella missiva inviata alla Regione in data
5.5.2009 il Giacomini aveva confermato la sospensione dei lavori in attesa della
decisione del Consiglio di Stato, f) la Direzione cultura e turismo della Regione
aveva concesso una proroga solo per la rendicontazione del contributo di oltre
tre milioni di euro erogato per l’operazione, g) il fatto che fosse stata avanzata
una nuova istanza di permesso a costruire non era idoneo a negare la cessazione
della permanenza, perché era piuttosto indicativo della volontà di portare a

5.2. Ritiene il Collegio che la motivazione della Corte d’appello di Torino
sia ampia, solida ed immune dalle censure sollevate.
Tutti i ricorsi partono dal presupposto, palesemente infondato, che la
volontà degli imputati di portare a compimento l’opera costituisse elemento
ostativo alla cessazione della permanenza. Le parti civili suggestivamente hanno
valorizzato l’elemento psicologico in raffronto a quanto avviene nella materia
ambientale.
Sennonché, anche lì, come qui, l’apprezzamento della volontà come “foro
interno” consente di colorare il fatto materiale, orientando l’interprete nella
qualificazione giuridica, ma non consente di prescindere dal fatto materiale da
accertarsi in quanto tale: deposito temporaneo o abbandono di rifiuti,
nell’esempio proposto, cessazione dei lavori nel caso in esame. Quali che siano le
reali intenzioni dell’agente, i motivi delle scelte e dei comportamenti, ciò che
conta ai fini della cessazione delle permanenza è che i lavori siano stati interrotti.
E tanto è stato accertato con motivazione logica e coerente, anche nella parte in
cui si è dato conto della speranza della società di una loro lecita prosecuzione,
l’unica possibile, per non incorrere in ulteriori problemi.
Quanto al rilievo del Procuratore generale, secondo cui la mancata
richiesta del sequestro preventivo del cantiere era un dato di fatto non
correttamente interpretato dai Giudici d’appello, va ribadita la motivazione
adottata perché il dato è stato valorizzato in positivo, come ulteriore argomento
della cessazione dei lavori e quindi della permanenza, e non in negativo, quasi a
voler stigmatizzare un’inerzia dell’Accusa.
5.3. All’inammissibilità del ricorso del Procuratore generale non segue la
condanna alle spese. Viceversa, i ricorrenti privati hanno l’onere, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto
della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e
considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati
senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si

5

termine l’opera nel rispetto della legge.

dispone che gli stessi versino la somma, determinata in via equitativa, di euro
2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale. Dichiara inammissibili i
ricorsi delle parti civili che condanna al pagamento delle spese processuali e della
somma di C 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende

Così deciso, il 28 novembre 2017.

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