Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16646 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16646 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAIS MOHAMED nato il 15/04/1989

avverso la sentenza del 21/02/2017 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Torino del 12/12/2015 Rais Mohamed era stato
condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, in relazione al
reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (ascrittogli per avere detenuto 43
involucri contenenti grammi 2,8 di sostanza stupefacente del tipo cocaina e grammi 2,8
di sostanza stupefacente del tipo eroina).
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Torino, provvedendo

reclusione ed euro 5.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione, lamentando vizio della motivazione con riferimento alla mancata esclusione
della recidiva, come richiesto con l’atto d’appello.
Ha ribadito tale richiesta, sottolineando le proprie disagiate condizioni di vita e la
risalenza nel tempo e la non specificità dei precedenti (una condanna per il reato di
violazione di domicilio riportata nel 2011 e altra condanna dello stesso anno per il reato
di furto con strappo, e una condanna per il reato di resistenza riportata nel 2013), che
avrebbero dovuto indurre a ritenerlo scarsamente pericoloso e quindi a escludere la
recidiva.
Ha prospettato anche la manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata, in riferimento alla determinazione della pena, stabilita in misura
notevolmente superiore al minimo edittale, nonostante l’immediata ammissione di
responsabilità e le proprie condizioni personali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, adeguatamente considerati e
motivatamente disattesi dalla Corte d’appello, è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha confermato la configurabilità della recidiva con motivazione
pienamente idonea a dar conto, sulla base dei plurimi precedenti (oltre che della
condanna del 23/1/2016 del Tribunale di Torino per una successiva detenzione di
stupefacenti), della pericolosità sociale dell’imputato e del suo progressivo
aggravamento, sottolineando la natura dei precedenti reati e la progressione cronologica
delle condotte, dimostrativa della maggiore inclinazione a delinquere e dell’aumento della
pericolosità sociale dell’imputato: si tratta di motivazione adeguata e immune da vizi
logici, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, con la conseguente
manifesta infondatezza della doglianza sollevata sul punto dall’imputato.
Anche la motivazione della misura della pena, peraltro ridotta rispetto a quella
stabilita dal Tribunale, è pienamente adeguata, essendo stata sottolineata la quantità
della sostanza stupefacente detenuta, suddivisa in 43 involucri, e la parzialità delle
ammissioni dell’imputato, ed è immune da contraddizioni, posto che la sottolineatura

sulla impugnazione dell’imputato, ha ridotto la pena inflittagli ad anni uno e mesi otto di

delle modalità della condotta, qualificata come spaccio di strada, al fine della riduzione
della pena, non confligge con la valutazione della sua gravità posta a base della
determinazione della pena, non trattandosi di proposizioni tra loro contrastanti, avendo la
Corte territoriale, pur ridimensionando l’entità della pena in considerazione dei
quantitativi della sostanza stupefacente e delle modalità della condotta, valutato
coerentemente quest’ultima come di non modesta gravità.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza di entrambe le censure cui è stato affidato.

rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e

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