Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16640 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16640 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TRITTO EMANUELA nato il 09/12/1964 a MANFREDONIA

avverso la sentenza del 21/02/2017 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bari ha confermato la
sentenza del 6/5/2015 del Tribunale di Foggia, con cui Emanuela Tritto era stata
condannata alla pena di mesi tre di arresto ed euro 20.000,00 di ammenda ed era stata
disposta la demolizione delle opere abusive, in reazione al reato di cui all’art. 44, lett. b),
d.P.R. 380/2001 (ascrittole per avere realizzato, in assenza di permesso di costruire, un
basamento in cemento armato della superficie di metri 10,85 x metri 17,30 e altezza di
50 centimetri, con sovrastante predisposizione di 15 ferri per la realizzazione di

Avverso tale sentenza la Tritto ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
violazione di legge penale e vizio della motivazione riguardo alla sanzione accessoria
dell’ordine di demolizione e alla indicazione del momento in cui eseguirla, trattandosi di
provvedimento complementare a quello della autorità amministrativa, con la conseguente
necessità di coordinamento tra le due sfere, del tutto mancante nella sentenza
impugnata.
Ha eccepito anche la prescrizione del reato ascrittole, in quanto l’opera risultava
già completata al momento del suo sequestro, sicché doveva presumersi che essa fosse
stata realizzata anteriormente, con il conseguente decorso del termine massimo di
prescrizione del reato al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado.
Infine ha denunciato anche l’insufficienza della motivazione riguardo alla propria
responsabilità, risultando irrilevante al riguardo l’atto con cui le era stato ceduto il
possesso del fondo su cui era stata realizzata l’opera, trattandosi di atto privo di effetti
negoziali e non implicante, comunque, il trasferimento dello jus aedificandi, non essendo,
peraltro, stata vista essa ricorrente presenziare ai lavori di edificazione dell’opera
abusiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro affidato a motivi generici, è manifestamente infondato.
La doglianza relativa alla mancanza di indicazioni riguardo all’epoca in cui
eseguire l’ordine di demolizione è manifestamente infondata, non essendo contemplato
da alcuna disposizione l’obbligo di coordinamento tra il giudice e l’autorità amministrativa
in relazione alla demolizione delle opere abusive cui ha fatto riferimento la ricorrente,
posto che l’art. 31 d.P.R. 380/2001, al comma 9, prevede solamente che “Per le opere
abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di
cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata
altrimenti eseguita”, sottraendo al giudice il potere/dovere di disporre detta demolizione
solamente quando la stessa sia già stata eseguita, salva, evidentemente, la verifica della
sua perdurante necessità in sede esecutiva.

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altrettanti pilastri).

La censura relativa all’omesso rilievo della prescrizione del reato ascritto alla
ricorrente, peraltro formulata per la prima volta in sede di legittimità, è, comunque,
anch’essa manifestamente infondata.
Va ricordato in proposito che il reato urbanistico ha natura di reato permanente,
la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla
cessazione dell’attività edificatoria abusiva (Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, Cavallaro,
Rv. 221399). La cessazione dell’attività si ha, poi, con l’ultimazione dei lavori per
completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta, con la

data del giudizio (Sez. 3, n. 38136, 24/10/2001; Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Sullo,
Rv. 260498; Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri, Rv. 265626). Inoltre,
l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed
esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, Sentenza n. 5480 del 12/12/2013, Manzo,
Rv. 258930; Sez. 3, n. 11646 del 16/10/2014, Barbuzzi, Rv. 262977).
Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha omesso il rilievo della estinzione
per prescrizione del reato, non essendo decorso alla data della pronuncia della sentenza
impugnata (21/2/2017) il relativo termine massimo di cinque anni, decorrente dalla data
del sequestro (27/4/2012), posto che dalla stessa descrizione dell’opera contenuta nella
imputazione si ricavata come la stessa fosse ancora in corso di realizzazione a tale
momento, con la conseguente cessazione della permanenza solo con il sequestro
dell’opera.
Infine anche la doglianza relativa alla estraneità della ricorrente alla realizzazione
dell’opera abusiva, peraltro anch’essa generica e volta a conseguire una non consentita
riconsiderazione della ricostruzione della vicenda, è manifestamente infondata, avendo la
Corte d’appello, nel disattendere l’analoga censura proposta con l’atto di gravame,
sottolineato in modo logico i plurimi elementi sulla base dei quali la realizzazione
dell’opera abusiva è stata ritenuta riconducibile alla ricorrente (la sua immissione da
parte del proprietario nel possesso del fondo su cui sono state realizzate le opere, il
possesso delle chiavi di tale fondo, la sua presenza in occasione del sopralluogo).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza di tutte le doglianze cui è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta
inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di
impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.
un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,

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sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla

Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

in C 3.000,00.

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