Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16638 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16638 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SANNA GIUSEPPE nato il 25/12/1947 a ROMA

avverso la sentenza del 22/02/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Genova ha confermato
la sentenza del 8/3/2016 del Tribunale di Genova, con cui, a seguito di giudizio
abbreviato, Giuseppe Sanna era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di
reclusione in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 (per avere, quale legale
rappresentante della S.r.l. ECO.REC., al fine evadere l’imposta sul valore aggiunto,
omesso di presentare la corrispondente dichiarazione relativa all’anno 2008, realizzando

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,
denunciando violazione dell’art. 5 d.lgs. 74/2000 e della legge fallimentare e vizio della
motivazione, per l’omessa considerazione da parte della Corte d’appello della
dichiarazione di fallimento in data 26/6/2009 della società amministrata dall’imputato,
che aveva determinato, tra l’altro, la perdita da parte sua della amministrazione
dell’ente, e il conseguente venir meno anche dell’obbligo di presentare la dichiarazione
Iva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo del primo motivo d’appello, esaminato e
motivatamente disatteso dalla Corte d’appello, con le cui argomentazioni il ricorrente ha
omesso di confrontarsi, è manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. 5 d.P.R. n. 322 del 22 luglio 1998 spetta al curatore presentare
la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e
la data in cui ha effetto la dichiarazione di fallimento, mentre spetta al fallito presentare
la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento.
Nel caso di specie si tratta appunto della dichiarazione dei redditi relativi all’anno
2008, ossia relativi ad un periodo di imposta anteriore al fallimento, dichiarato il 26
giugno 2009, e quindi l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi spettava al
ricorrente, mentre spettava al curatore presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno
2009 (e infatti in relazione a tale annualità l’imputato è stato assolto per non aver
commesso il fatto).

così un’evasione d’imposta di euro 2.436.155,28).

Questa stessa Sezione terza, del resto, ha già affermato che «Spetta al fallito
presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento,
mentre il curatore deve presentare quelle successive alla dichiarazione di fallimento,
comprese quelle relative al periodo di imposta compreso tra l’inizio del periodo di imposta
e la dichiarazione di fallimento» (Sez. 3, n. 299 del 27/10/1995, Bruno, Rv. 203692;
conf. Sez. 3, n. 1549 del 01/12/2010, Ghilardi, Rv. 249351), specificando, in
motivazione, che «in materia di fallimento, la soggettività passiva nel rapporto tributario
permane nei confronti del fallito, il quale dopo la dichiarazione di fallimento perde solo la
disponibilità dei suoi beni nonché la capacità processuale e quella di amministrare il suo

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01:

patrimonio. Coerentemente, resta in capo al fallito l’obbligo di presentare la dichiarazione
dei redditi relativamente ai periodi di imposta anteriori alla sentenza di fallimento,
mentre relativamente ai periodi di imposta successivi è il curatore fallimentare che è
obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi per l’intervallo di tempo compreso tra
l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento».
Ne consegue la manifesta infondatezza del ricorso, posto che la dichiarazione
omessa è relativa a periodo di imposta anteriore alla dichiarazione di fallimento, cioè
all’anno 2008, non rilevando la scadenza del termine per la presentazione della stessa in

all’amministratore l’obbligo di presentarla.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta
inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di
impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.
un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,
Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il presidente

data successiva alla dichiarazione di fallimento, permanendo egualmente in capo

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