Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16630 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16630 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SARNATARO GIUSEPPE nato il 13/10/1972 a NAPOLI

avverso la sentenza del 12/01/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2/12/2013 del Tribunale di Monza Giuseppe Sarnataro venne
ritenuto colpevole di plurime violazioni tributarie, commesse quale commercialista di
fiducia della S.r.l. T.N., della S.r.l. T.N.L., della S.r.l. D.M.T. e della S.r.l. SIDAFER, di cui
agli artt. 8 d.lgs. 74/2000 (relativamente all’anno di imposta 2010 per la T.N. e agli anni
di imposta 2007, 2008, 2009 e 2010 per la SIDAFER), 3 d.lgs. 74/2000 (relativamente
all’anno di imposta 2009 per la T.N.L.), 4 d.lgs. 74/2000 (relativamente agli anni di

D.M.T.), 8 d.lgs. 74/2000 (in relazione alla T.N.L.).
La Corte d’appello di Milano, provvedendo sulla impugnazione dell’imputato, ha
dichiarato non doversi procedere relativamente ai fatti di cui agli anni 2007 e 2008, per
essere gli stessi estinti per prescrizione, rideterminando la pena inflitta all’imputato in
relazione ai fatti residui in anni tre e mesi sei di reclusione e confermando nel resto la
sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
violazione degli artt. 43 e 110 cod. pen. e vizio della motivazione, in riferimento alla
affermazione del proprio concorso nelle condotte delittuose ascritte agli altri coimputati e
della sussistenza di un suo contributo causale alle stesse.
Ha lamentato, in particolare, la mancanza di prova del proprio apporto e della
intenzionalità dello stesso in relazione alle condotte di emissione e rilascio di fatture per
operazioni ritenute inesistenti, e anche in riferimento a quelle di indicazione nella
dichiarazione relativa alle imposte dovute per l’anno 2009 di elementi passivi fittizi e di
emissione di una fattura (n. 9 del 9/2/2011) relativa a prestazioni ritenute
oggettivamente inesistenti, difettando la prova del contributo causale alla realizzazione di
tali illeciti, che era stato desunto in modo illogico dalla Corte d’appello dalla sola veste di
commercialista del ricorrente, che non implicava, però, la sussistenza di una posizione di
garanzia, non avendo mai impartito direttive in relazione alla attività di emissione di
fatture per operazioni inesistenti contestata; lungi dal concorrere nei reati contestati, egli
si era limitato ad annotare quanto comunicatogli periodicamente dagli organi della TNL,
con la conseguente insussistenza della necessaria intenzionalità della condotta ascrittagli.
Ha prospettato anche violazione degli artt. 81 e 133 cod. pen. e contraddittorietà
della motivazione nella determinazione della pena, ivi compresi gli aumenti disposti per la
continuazione, confermata dalla Corte d’appello nonostante la propria incensuratezza e la
condotta processuale irreprensibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro affidato a censure generiche, riproduttive dei motivi d’appello
e prive di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, è
inammissibile, essendo stato affidato a motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

1

imposta 2007, 2008 e 2009 per la D.M.T.), 10 d.lgs. 74/2000 (relativamente alla

Attraverso le doglianze relative alla violazione degli artt. 43 e 110 cod. pen. e
alla mancanza di motivazione, in ordine alla sua effettiva partecipazione agli illeciti, il
ricorrente tende, in realtà, a conseguire una rivalutazione delle risultanze di fatto, già
adeguatamente considerate dalla Corte d’appello, allo scopo di sentir dichiarare la propria
estraneità ai fatti, omettendo di individuare vizi o manchevolezze della sentenza
impugnata, ma proponendo, peraltro in modo generico, solamente una diversa
valutazione della sua posizione, considerata in modo logico dalla Corte d’appello.
Al riguardo, infatti, i giudici dell’impugnazione hanno ribadito la piena

consapevolezza in capo all’imputato della illiceità delle varie operazioni oggetto delle
contestazioni, e anche il suo ruolo propulsivo e di rafforzamento del proposito della
attività illecita, emergente dalle conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali, in
particolare, si ricava la piena consapevolezza del fatto che le società erano amministrate
da prestanome, e anche dalle modalità di annotazione delle fatture nella contabilità
(diverse nei casi in cui le prestazioni di mano d’opera corrispondevano al vero rispetto a
quelli in cui si trattava di prestazioni fittizie) e dalla redazione delle dichiarazioni dei
redditi, con l’indicazione di dati evidentemente fittizi.
Di tale pienamente adeguato e logico percorso argomentativo il ricorrente non
ha, in realtà, individuato vizi, prospettando solo la propria estraneità ai fatti, di cui ha
chiesto una non consentita riconsiderazione.
La censura relativa alla misura della pena è inammissibile a causa della sua
genericità, consistendo nella mera affermazione della eccessività della stessa, compresi
gli aumenti per la continuazione, disgiunta anche in questo caso dalla individuazione di
vizi o manchevolezze della motivazione della sentenza impugnata o di violazioni di legge,
laddove la Corte territoriale ha adeguatamente giustificato sia la misura della pena base
sia quella degli aumenti per la continuazione tra le varie ipotesi delittuose, attraverso la
sottolineatura della gravità della condotta, per l’entità della evasione cui l’imputato ha
collaborato, l’intensità del dolo, la violazione dei doveri di correttezza insiti nello
svolgimento di attività professionale, l’abitualità del comportamento, l’assenza di segnali
di ravvedimento o di volontà riparatoria: si tratta di motivazione pienamente adeguata,
non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, essendo stato affidato
a censure generiche e non consentite nel giudizio di legittimità.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta
inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di
impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.

2
A

fri;

un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,
Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del

in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata

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