Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16628 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16628 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SPINARDI ANTONIO nato il 31/07/1949 a ACQUANEGRA SUL CHIESE

avverso la sentenza del 17/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Milano ha confermato la
sentenza del 31/3/2016 del Tribunale di Monza, con cui Antonio Spinardi era stato
condannato alla pena di mesi uno di reclusione ed euro 150,00 di multa, in relazione al
reato di cui all’art. 2 I. 638/83 (ascrittogli per avere, quale legale rappresentante della
Mediadent S.r.l., omesso di versare le ritenute contributive dovute per l’anno 2010, per
complessivi euro 12.848,00).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

l’omesso accertamento della effettiva corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti,
trattandosi di presupposto indefettibile dell’obbligo di versare le relative ritenute
previdenziali e assistenziali, e travisamento delle prove offerte a sostegno del mancato
pagamento di tali retribuzioni, essendo state prodotte le copie degli atti di insinuazione al
passivo della Mediadent di alcuni dipendenti (relativi alla mancata corresponsione di
retribuzioni nell’anno 2010, riportate nei prospetti delle inadempienze fondati sui modelli
DM10 inviati all’ente previdenziale), non adeguatamente considerate dalla Corte
d’appello. Ha prospettato anche l’insufficienza della motivazione in ordine all’elemento
psicologico del reato ascrittogli.
Con memoria depositata il 1/12/2017 ha ribadito tali censure, sottolineando la
ammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, è manifestamente infondato.
Sia il Tribunale di Monza sia la Corte d’appello di Milano hanno, infatti, già
esaminato e disatteso, con motivazioni adeguate e immuni da vizi logici, le medesime
censure riproposte dall’imputato mediante il ricorso in esame, dando atto dell’ammontare
dell’omesso versamento contributivo relativo all’anno 2010 (pari a euro 12.848,00) e
della conseguente ininfluenza, ai fini della rilevanza penale della condotta dell’imputato,
delle richieste dei tre dipendenti insinuatisi al passivo della S.r.l. Mediadent amministrata
dall’imputato; i contributi non dovuti sulle somme non corrisposte ammonterebbero,
infatti, a circa euro 250,00, la cui deduzione dall’importo dei contributi di cui è stato
omesso il versamento oggetto della contestazione non determinerebbe, quindi, il venir
meno della rilevanza penale della condotta per il mancato superamento della soglia di
punibilità stabilita con il d.lgs. 8/2016.
La Corte d’appello ha, poi, ritenuto prova idonea del pagamento delle retribuzioni
quanto emergente dai modelli DM10 redatti dallo stesso imputato, o comunque a lui
riconducibili, non essendovi elementi di segno contrario, indicativi del mancato
pagamento delle retribuzioni, tenendo conto della evidenziata ininfluenza delle
insinuazioni allo stato passivo della società da parte di alcuni dipendenti.

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Tali considerazioni sono immuni da vizi logici e conformi a un consolidato
orientamento interpretativo di questa Corte.
Benché, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 27641 del 28.5.2003,
Silvestri, Rv. 224309; conf. Sez. 3, n. 35948 del 30.5.2003, Paletti, Rv. 225552; Sez. 3,
n. 42378 del 19.9.2003, Soraci, Rv. 226551) abbiano chiarito che il reato di cui alla I. 11
novembre 1983, n. 638, art. 2 non è configurabile in assenza del materiale esborso delle
relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione, è stato, tuttavia, anche

modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso
l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), sempre che non risultino elementi
contrari (cfr., ex plurimis, questa Sez. 3, n. 46451 del 7.10.2009, Carella, Rv. 245610;
Sez. 3, n. 14839 del 4.3.2010, Nardiello, Rv. 246966 secondo cui l’effettiva
corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di un’imputazione di
omesso versamento delle relative ritenute previdenziali e assistenziali, può essere
provata sia mediante il ricorso a prove documentali, come i cosiddetti modelli DM/10
trasmessi dal datore di lavoro all’INPS, e testimoniali, sia mediante il ricorso alla prova
indiziaria; nonché Sez. 3, n. 21619 del 14/04/2015, Moro, Rv. 263665 Sez. 3, n. 43602
del 09/09/2015, Ballone, Rv. 265272; Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016, Franzoni, Rv.
267781, secondo cui i modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS,
possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle
retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico
dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce
individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente).
Univoco è sempre stato l’orientamento di questa sezione sul punto. Ciò in quanto
si è sempre ritenuto che gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai
dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM
10), hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro
presentazione equivalga all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle

precisato che la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni può essere tratta dai

quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, 37145 del 10.4.2013, Deiana,
Rv. 256957; Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013, Di Gianvito, Rv. 258851; Sez. 3, n. 19454
del 27/03/2014, Onofrio, Rv. 260376; Sez. 3, n. 37330 del 15/07/2014, Valenza, Rv.
259909).
Ne consegue la logicità della affermazione dell’avvenuto versamento delle
retribuzioni, fondata sulla presentazioni di dette dichiarazioni, non essendovi elementi di
segno contrario, tali non potendo considerarsi, per le ragioni evidenziate dai giudici di
merito, le suddette insinuazioni allo stato passivo.

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Per le stesse ragioni risultano immuni da vizi logici le considerazioni poste a
fondamento della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascritto all’imputato,
contestata, invero genericamente, dal ricorrente.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza delle censure cui è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta

impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.
un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,
Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di

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