Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16616 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16616 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BOUZIANE RABAH nato il 27/03/1983 a ORAN( ALGERIA)

avverso la sentenza del 16/03/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Ancona ha confermato
la condanna di Bouziane Rabah alla pena di mesi otto di reclusione in relazione al reato di
cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (ascrittogli per la detenzione a fine di spaccio di
complessivi grammi 9 di sostanza stupefacente del tipo cocaina), riformando la sentenza
impugnata solo quanto alla confisca della somma di denaro sequestrata all’imputato, di
che ha revocato, autorizzandone però il sequestro conservativo richiesto dal pubblico
ministero.

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione a proposito del diniego delle
circostanze attenuanti generiche e della misura della pena, e anche riguardo al sequestro
conservativo del denaro sequestratogli, di cui non erano state evidenziate le ragioni,
tenendo conto del fatto che egli era regolarmente soggiornante in Italia, laddove aveva
sempre svolto attività lavorativa, eccettuato solamente il periodo della commissione del
reato ascrittogli.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Per il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di
riconoscimento o diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice
dimostri di avere considerato ed esaminato gli elementi enunciati nell’art. 133 cod. pen. e
gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno
opposto, essendo sottratta al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere
discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena
demandato al giudice di merito, la motivazione sul punto quando sia aderente ad
elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente
corretta (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415; Sez. 1, n. 3163 del
28.11.1988, Rv 180654).
Nella specie la Corte d’appello ha sottolineato l’assenza di elementi di positiva
considerazione e la negativa personalità dell’imputato, quale emergente dai suoi
precedenti, e tale motivazione è pienamente adeguata, essendo stati indicati gli indìci tra
quelli di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti preponderanti al fine della esclusione della
riconoscibilità di dette circostanze, e non è sindacabile sul piano del merito nel giudizio di
legittimità.
La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge,
sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi
compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello,
quando egli, come nel caso di specie, nel quale ne è stata sottolineata la mitezza,

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Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla
adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure
intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche
quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello (Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989 Rv
181825).
La motivazione riguardo alla autorizzazione del sequestro conservativo delle
somme nella disponibilità dell’imputato è, poi, pienamente adeguata, avendo la Corte
d’appello ricavato in modo logico il pericolo di dispersione della garanzia delle

conseguente manifesta infondatezza della censura sollevata sul punto dall’imputato, volta
a sindacare la valutazione sulla sussistenza del pericolo nel ritardo, correttamente
compiuta dal giudice del merito, sulla base dell’unico elemento a disposizione circa la
consistenza del patrimonio dell’imputato.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza di tutte le censure cui è stato affidato.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il P esidente

obbligazioni derivanti dal reato dalla mancanza di lavoro stabile del ricorrente, con la

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