Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16612 del 07/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16612 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PULITINI ADRIANA nato il 25/05/1964 a AREZZO

avverso la sentenza del 28/11/2014 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 07/12/2017

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7/6/2010 il Tribunale di Arezzo condannò Adriana Pulitini alla
pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 25.000,00 di multa, in relazione a
plurimi episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti del tipo cannabis,
hashish e cocaina (capi B, C et D della rubrica).
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Firenze, provvedendo
sulla impugnazione della Pulitini, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in
relazione ai reati di cui ai capi C et D e a quello di cui al capo B della rubrica,

cannabis, rideterminando la pena, in relazione alla sola detenzione a fine di spaccio della
sostanza stupefacente del tipo cocaina di cui al capo B della rubrica, in anni quattro di
reclusione ed euro 20.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Pulitini, lamentando
violazione di legge penale e vizio della motivazione, per l’erroneità della valutazione degli
elementi indiziari a suo carico, insufficienti a dimostrare la responsabilità della ricorrente,
non essendovi elementi univoci per ritenere che l’appunto manoscritto con l’indicazione
degli acquirenti della sostanza stupefacente, rinvenuto nella cassaforte posta nella
cantina della abitazione del marito della ricorrente, fosse riconducibile a quest’ultima, e
non essendo neppure sufficiente a dimostrare il suo coinvolgimento nel traffico di
stupefacenti quanto emergente dalle intercettazioni telefoniche.
Ha, inoltre, lamentato il mancato riconoscimento della fattispecie attenuata di cui
al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90, esclusa in considerazione del quantitativo di
sostanza stupefacente rinvenuto in occasione della perquisizione domiciliare del 29 marzo
2007, pari a 44 grammi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, è manifestamente infondato.
Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto che il controllo demandato
alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi
attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato,

limitatamente alla detenzione a fine di spaccio della sostanza stupefacente del tipo

senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati
dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni
probatorie risultanti dagli atti del processo.
Anche a seguito della modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen, con la I.
46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di
desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione
anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non
attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze

0-4;

istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal
giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n.752 del
18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007, Vignaroli; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012 ).
La Corte territoriale ha, con motivazione congrua e immune da vizi logici,
fondato l’affermazione di responsabilità della ricorrente sul contenuto delle conversazioni
telefoniche intercettate, da cui emerge il coinvolgimento della Pulitini nel traffico illecito
di sostanze stupefacenti gestito dal marito e dal figlio (in relazione al quale essa si

della perquisizione domiciliare eseguita presso l’abitazione familiare (che aveva condotto
al sequestro di grammi 41,948 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, con una
percentuale di principio attivo pari al 76,4%).
La ricorrente, invece, come risulta dallo stesso ricorso, propone una rivisitazione
del materiale probatorio, onde dimostrare la propria estraneità al traffico illecito, senza
individuare violazioni di legge o vizi della motivazione, ma limitandosi a richiedere una
nuova valutazione delle emergenze istruttorie, non consentita nel giudizio di legittimità.
La configurabilità della ipotesi attenuata di cui al quinto comma dell’art. 73
d.P.R. 309/90 è stata, poi, correttamente esclusa in considerazione del dato ponderale
della sostanza stupefacente rinvenuta e della disponibilità di materiale per il
confezionamento di tale sostanza in dosi, dimostrativi della esistenza di una
organizzazione strumentale ad uno svolgimento della attività illecita non occasionale.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza delle doglianze cui è stato affidato.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

occupava della gestione dei profitti e della tenuta della relativa contabilità), e sugli esiti

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