Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16611 del 11/02/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16611 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

Data Udienza: 11/02/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINI GIOVANNI N. IL 15/02/1965
avverso la sentenza n. 824/2011 CORTE APPELLO di BARI, del
10/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per . e
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N.44267/12-RUOLO N.6 P.U. (2081)
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 10 aprile 2012, la Corte d’Appello di Bari ha confermato la
pena inflitta a MANCINI Giovanni dal Tribunale di Foggia con sentenza del 18
novembre 2010 per i seguenti reati:
-capo A): illecita detenzione e porto in luogo pubblico di un fucile a canne
parallele, nonché di ricezione di detto fucile proveniente dal delitto di alterazione
legge n. 865 del 1967);
-capo B): ricettazione di quattro autoveicoli e di targhe compendio di furto (artt.
81 comma 2, 648 cod. pen.).
2.La Corte d’appello di Bari ha solo disposto la correzione di un errore materiale
ravvisato nel dispositivo della sentenza impugnata e consistito nell’erronea
quantificazione della pena complessiva inflitta all’appellante per i due reati di cui
sopra, riuniti col vincolo della continuazione.
La pena complessiva anzidetta era stata erroneamente quantificata nel
dispositivo in complessivi anni 2, mesi 2 di reclusione ed € 1.200,00 di multa,
mentre invece, secondo i condivisibili calcoli effettuati in motivazione, era da
quantificare in anni 1 e mesi 10 di reclusione ed 1.200,00 di multa.
3.Avverso detta sentenza della Corte d’Appello di Bari ricorre personalmente per
cassazione MANCINI Giovanni, deducendo:
I)-violazione di legge e motivazione erronea, con riferimento al reato di illecita
detenzione e porto in luogo pubblico del fucile, di cui al capo A), non essendo
emersa nella specie alcuna relazione stabile fra lui e l’arma, in quanto egli non
era stato al corrente che il fucile anzidetto fosse stato occultato all’interno di uno
dei veicoli rinvenuti nel casolare; di conseguenza neppure poteva ipotizzarsi la
consapevolezza, da parte sua, della contestata provenienza illecita dell’arma;
II)-violazione di legge e motivazione carente circa la sussistenza del reato di
ricettazione, di cui al capo B) della rubrica, in quanto non sussisteva la prova
certa della sicura conoscenza, da parte sua, della provenienza illecita dei beni
ricevuti; egli infatti era stato visto mentre dava del cibo ai cani e non
nell’esercizio di qualsivoglia attività collegabile alle autovetture, indicate come da
lui ricettate;
III)-violazione di legge e carenza di motivazione circa la pena irrogatagli ed il
complessivo aumento della stessa disposto a titolo di continuazione, essendo
1

per canne occultate e calciatura ridotta (artt. 81 cpv. e 648 cod. pen., 2, 4 e 7

detta pena eccessiva rispetto alla non particolare gravità della condotta
criminosa ed alle modalità di esecuzione dei reati contestati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.E’ inammissibile siccome manifestamente infondato il primo motivo di ricorso,
con il quale il ricorrente lamenta la mancata sussistenza dei due reati a lui
contestati in materia di armi sub A).

siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, la
motivazione addotta dalla sentenza impugnata per ritenere la sussistenza di
diretti e costanti collegamenti fra il ricorrente ed il fucile a canne parallele, la cui
illecita detenzione e porto in luogo pubblico gli erano state contestate sub A),
essendo stata l’arma anzidetta rinvenuta occultata sotto la ruota di scorta di uno
dei veicoli di provenienza furtiva, da lui detenuti all’interno del casolare
abbandonato, del quale aveva l’esclusiva disponibilità (aveva aperto una sbarra
di ferro che delimitava il casolare e che non era certo essere priva di sistemi di
chiusura; aveva dato da mangiare a due grossi cani da guardia ivi posizionati; si
era dato alla fuga dopo aver percepito la presenza dei carabinieri; pertanto la
sua presenza nel casolare non poteva ritenersi fortuita).
3.E’ inammissibile siccome manifestamente infondato anche il secondo motivo di
ricorso, concernente il delitto di ricettazione di varie autovetture e di targhe di
autoveicoli.
Sostiene il ricorrente l’insussistenza nella specie di elementi certi dai quali
desumere la conoscenza della provenienza illecita delle auto rinvenute nel
casolare anzidetto.
Anche con riferimento al reato in esame sono al contrario valide e condivisibili le
argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata per ritenere il ricorrente
consapevole della provenienza illecita delle autovetture, essendo state esse tutte
rinvenute all’interno del casolare anzidetto, da ritenere nell’esclusiva disponibilità
del ricorrente per i motivi indicati nel precedente paragrafo 2); ed è poi noto che,
in materia di ricettazione, è la stessa mancata giustificazione del possesso di
oggetti provenienti da delitto a costituire prova della conoscenza dell’illecita
provenienza degli stessi (cfr. Cass. Sez. 1 n. 13599 del 13/3/2012 , Pomella, Rv.
252285).
4.E’ inammissibile siccome manifestamente infondato anche il terzo motivo di
ricorso proposto dal ricorrente, concernente l’eccessivo trattamento sanzionatorio
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2.Va invero ritenuto che appare incensurabile nella presente sede di legittimità,

riservatogli, atteso che, contrariamente a quanto da lui sostenuto, i giudici di
merito hanno adeguatamente motivato in ordine alla quantificazione della pena
inflittagli, anche con riferimento alla ritenuta continuazione, avendo riscontrato
la sussistenza nel dispositivo di un evidente errore materiale in ordine alla
quantificazione della pena; avendo rilevato come essa fosse stata erogata in
misura prossima ai minimi edittali e come fosse adeguata alla gravità dei fatti
contestati, in tal modo avendo attentamente valutato, ex art. 133 cod. pen., tutti

5.11 ricorso in esame va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla
Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso 1’11 febbraio 2013.

gli aspetti della fattispecie sottoposta al suo esame.

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