Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1661 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 1661 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Spataro Antonella nata il giorno 21 settembre
1957 avverso la sentenza 3 aprile 2012 della Corte di appello di Milano.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Spataro Antonella ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la
sentenza 3 aprile 2012 della Corte di appello di Milano, che ha confermato la
sentenza 9 novembre 2011 del Tribunale di Milano, di condanna per i reati di
calunnia e di violazione di domicilio, in danno di Munteanu Natalia, ex domestica
della madre della ricorrente, falsamente accusata di aver abusivamente occupato

Data Udienza: 27/11/2013

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l’appartamento della Spataro, appropriandosi delle chiavi, così introducendosi ed
occupando l’immobile: in realtà concesso in locazione alla persona offesa.
2.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed

erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione in relazione all’art.
368 c.p., per mancanza dell’elemento soggettivo ed oggettivo del reato di

1 e 4 c.p. per mancanza dell’elemento soggettivo ed oggettivo del reato di
danneggiamento, contestato al capo b) r e in relazione all’art 133 c.p. r con
riferimento all’art. 81 c.p. in relazione alla pena comminata.
3. In particolare si lamenta: a) che i giudici di merito abbiano fondato il
giudizio di colpevolezza dando acritico credito alla deposizione della persona
offesa, ignorando, in punto di attendibilità intrinseca ed estrinseca, che la
Munteanu , oltre che incongruente, era portatrice di interessi

civilistici in

relazione al precorso rappporto di lavoro “in nero”; b) che si siano apprezzate le
dichiarazioni della vicina di casa “inconferente, generica e decontestualizzata”; c)
che manchi la prova della legittimità del possesso delle chiavi da parte della ex
domestica; d) che il dolo della ricorrente è da escludere avuto riguardo alle
particolari condizioni psichiche della Spataro, persona affetta da sindrome
a nsiosa-d epress iva.
Con un secondo motivo si lamenta inosservanza e/o erronea applicazione
delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità anche in relazione agli
artt. 192, 197 cod. proc. pen. in punto di violazione di domicilio ex art. 614 cod.
pen.: in proposito vi sarebbe stata acquiescenza della stessa persona offesa.
4. Ritiene la Corte che i primi due motivi, per come prospettati, siano
inammissibili.
Si versa infatti nella cornice di una serie di critiche (anche per la violazione
di domicilio) contro un’argomentata decisione, nella quale non si rinvengono
errori di diritto o manifeste incoerenze logiche, né, tanto meno errori ricostruttivi,
e le censure sviluppate nel gravame non risultano rivestire forza invalidante,
laddove confrontate con la ragionevole linearità della giustificazione di
responsabilità (anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo), quale proposta dai
giudici di merito, con doppia conforme pronuncia, che il ricorso pretende di

calunnia contestato al capo a) dell’imputazione, e in relazione all’art. 614 commi

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aggredire, sviluppando ipotesi di più favorevoli interpretazioni, notoriamente non
apprezzabili in questa sede.
Quanto al reato di violazione si domicilio aggravata, il ricorso non si
confronta né si misura con la motivazione di pag. 3 della Corte di appello, nella
quale è chiaramente spiegato che la persona offesa non aveva certo consentito

afferrata per i capelli e spinta fuori, come riscontrato dalle lesioni refertate,
compatibili con la dinamica descritta dalla vittima, persona di cui è stata accertata
l’attendibilità intrinseca ed estrinseca.
Con un terzo motivo si prospetta vizio di motivazione per mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità in punto di determinazione della pena,
fissata senza valutare l’incensuratezza e le condizioni psichiche della ricorrente.
Anche questa doglianza, è inammissibile, perchè non tiene conto della
deliberazione della corte distrettuale la quale: ha fissato la pena per il più grave
reato di calunnia nei minimi edittali; ha applicato le circostanze attenuanti
generiche nella massima estensione ed ha ragionevolmente fissato un non
rilevante aumento per il non modesto reato in continuazione.
Le critiche risultano infatti inammissibili nella misura in cui involgono
censure di mero fatto, tenuto conto che, per risalente ed immutata giurisprudenza
(Cass. Penale sez. V, 9074/1983, Siani; v. anche mass. 158977; 158834; 157655;
156961; 158285), in tema di determinazione della pena (anche nei conteggi
intermedi di attenuazione od aumento), la valutazione del giudice di legittimità, in
ordine all’efficacia ed alla completezza degli argomenti svolti in sede di merito, non
può andare scissa dal risultato decisorio sotto il duplice profilo della pena in
concreto irrogata e del giudizio globalmente espresso, come manifestazione del
convincimento del giudice di merito, parametri tutti rispettati e correttamente
motivati dai giudici di merito con esiti in questa sede non censurabili.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in €. 1000,00 (mille).

l’accesso nell’appartamento dell’imputata , in quanto era stata subito aggredita,

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dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 27 novembre 2013

Il consigliere estensore

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