Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1660 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 1660 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da

Deganutti Gerardo, nato il giorno 23

dicembre 1956, avverso la sentenza 6 marzo 2012 della Corte di appello di
Trieste.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Francesco Mauro Iacoviello che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Deganutti Gerardo ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la
sentenza 6 marzo 2012 della Corte di appello di Trieste che ha confermato la
sentenza 30 novembre 2010 del G.U.P. presso il Tribunale di Trieste, di condanna
per i reati di calunnia (capo A) in danno di Viola Lucia e di Saiz Moreno (capo C) e
di una serie di altri reati (restanti capi B-D ed in successivo ordine alfabetico da E
sino a K12) ritenuti costituire violazione dell’art. 612 comma 2 cod. pen. .

Data Udienza: 27/11/2013

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2. Quanto ai fatti, risulta che tra gli ultimi mesi del 2007 ed i primi del 2008
un grandissimo numero di destinatari (personaggi pubblici, privati, enti,
associazioni) venivano raggiunti da lettere contenenti scritti decisamente deliranti,
caratterizzati da un tono minaccioso, in talune occasioni rinforzato anche
dall’inserimento di un bossolo, o un proiettile, o una polverina bianca, con espliciti

imperversava in Europa, seminando panico.
Una perizia calligrafica attribuiva con certezza uno degli scritti al Deganutti.
Tutti gli altri, uguali per stile, forma e contenuto, sono stati dai giudici di merito
pure a lui attribuiti.
3. Il primo giudice, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato, del
resto per nulla contestata dalla difesa sotto il profilo dell’attribuzione della
condotta, hanno escluso la tesi difensiva secondo cui si era in presenza di una
“pagliacciata”, priva di valenza intimidatoria, nella specie invece palesemente
desumibile dal tenore degli scritti e dai richiami a tragici slogan nazisti.
4. Per ciò che attiene alla calunnia in danno di due ignari personaggi, Viola
Lucia e Saiz Moreno, indicati da Deganutti come “apparenti firmatari”
(rectius:mittenti) di missive , come da capi A) e C), il delitto ad avviso del G.U.P.
si è pienamente concretizzato nella forma “reale o indiretta”, consistente nel
simulare a carico di taluno tracce di un determinato reato, nella certezza che
questo verrà denunciato all’Autorità, cosa nella specie verificatasi.
5. La Corte di appello ha confermato il giudizio di colpevolezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione
sotto il profilo che la corte distrettuale, nel ribadire il giudizio di colpevolezza, a
pag. 17 della motivazione, ha fondato il suo assunto sulla circostanza “non vera”
che l’imputato “ha sottoscritto le missive con falso nome”, conclusione questa
errata e in contraddizione con i capi d’imputazione, ove non si legge nè si
contesta che l’imputato avrebbe sottoscritto con nome altrui. Invero la
contestazione è nel senso di aver spedito “lettere anonime” e non “lettere con

o impliciti riferimenti all’antrace, sostanza venefica che in quel periodo

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sottoscrizioni false”: la condotta attribuita è quella di aver indicato altra persona
(il Saiz o la Viola) come mittente.
2. Per sintetizzare, ad avviso del ricorrente, il travisamento del fatto e cioè
“aver spedito lettere con sottoscrizioni false”, anziché “aver spedito lettere
anonime” renderebbe invalido il giudizio formulato sulla sussistenza del dolo della

3. Ritiene la Corte che le doglianze, pur minutamente articolate, non
superino il vaglio dell’ammissibilità.
Invero il preteso travisamento del fatto è palesemente insussistente, in
quanto frutto di un non consentito frazionamento, nella lettura del chiaro
argomentare della Corte di appello, e, comunque, privo di decisività nel quadro
complessivo della giustificazione di responsabilità per il delitto ex art. 368 cod.
pen., oggetto di una doppia conforme pronuncia di responsabilità.
Infatti il delitto di calunnia si fonda sulle missive di cui ai capi a) e f).
Nel capo a) l’azione esecutiva del delitto ex art. 368 cod. pen. è
contestata nelle forme dell’invio, della lettera minacciosa del capo b), al
segretario della Comunità ebraica di Via Monte Trieste, Aldo Ancona, con apposta
la falsa indicazione, quale mittente di «Viola Lucia».
Nel capo c) la condotta calunniosa viene contestata nelle forme dell’invio,
ad Alessandro Tesini, Presidente del Consiglio regionale di Trieste, della lettera
minacciosa del capo d), con apposizione, quale falso mittente di «Saiz Moreno».
E’ quindi palese che l’espressione usata dalla corte distrettuale al III
capoverso di pag. 17: «la sottoscrizione di tali missive con falso nome», come
«finalità per stornare da sé i sospetti quale autore delle lettere in questione», ed
altresì « idonea ad attribuire la paternità delle missive stesse a soggetti terzi
sviando le indagini», fa riferimento non già a falsità della sottoscrizione del
Deganutti -che in concreto non è contestata né esiste- ma alla

falsità

dell’attribuzione nominativa del mittente (Viola e Saiz), quale vergata dal
ricorrente sulla busta della lettera corrispondente, come chiaramente è spiegato
nella seconda proposizione della motivazione (pag.17), la quale focalizza proprio
l’intenzionale e callida indicazione di un falso mittente .

calunnia dei capi A e D.

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4. Una mera improprietà linguistica, quindi, agevolmente desumibile dalla
lettura complessiva della motivazione, assolutamente inidonea per la sua
marginalità a realizzare l’invocato travisamento del fatto.
Sul punto è noto, in virtù della previsione di cui all’art. 606, comma primo,
lett. e) cod. proc. pen., novellata dall’art. 8 I. n. 46 del 2006, che il controllo del

prova, purché trattasi di prova decisiva, con la precisazione che ciò che è
deducibile in sede di legittimità e rientra, pertanto, in detto controllo, è solo
l’errore revocatorio (sul significante), in quanto il rapporto di contraddizione
esterno al testo della sentenza impugnata, introdotto con la suddetta novella, non
può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione (sulle
premesse), mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato
della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun
elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per “brani” né
fuori dal contesto in cui è inserito.
Ne deriva che gli aspetti del giudizio, che consistono nella valutazione e
nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti, attengono interamente
al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando -e questo
non consta assolutamente nel caso di specie- risulti viziato il discorso giustificativo
sulla loro capacità dimostrativa: pertanto, restano inammissibili, in sede di
legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una
rivalutazione del risultato probatorio (cass. pen. sez. 5, 8094/2007 Rv. 236540) su
premesse improprie.
Da ciò l’inammissibilità delle doglianze in punto di calunnia.
5 . Con ulteriore sviluppo e censura del primo motivo (pag.9 motivi) si
contesta la sussistenza dei delitti di minaccia, il cui contenuto e relativa valenza
minatoria desumibile dalle missive, non sarebbe stata minimamente chiarita, non
bastando in proposito il mero richiamo a fatti storici.
La censura è inammissibile, sotto il profilo della genericità, in quanto non si
confronta con la precisa motivazione della gravata sentenza che, in più punti, ed
in particolare a pag.17, ha dato esplicito conto della incontestabile “idoneità delle

giudice di legittimità si estende alla omessa considerazione o al travisamento della

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missive a produrre un apprezzabile turbamento nella psiche dei destinatari”,
trattandosi di “scritti deliranti, caratterizzati da un tono minaccioso”.
In ogni caso, la lettura del tenore delle varie lettere o i loro contenuti
(bossoli, proiettili e polvere bianca) mettono conto della indiscutibile efficacia
della grave, anonima e minatoria prospettazione di un ingiusto danno.
inammissibile, in quanto tende a prospettare una diversa e più favorevole lettura,
in un contesto di motivazione priva di vizi od illogicità apprezzabili ex art. 606
cod. proc. pen..
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in €. 1000,00 (mille).
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 27 novembre 2013
Il consigliere estensore

In conclusione, il ricorso, laddove non generico, va dichiarato

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