Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1659 del 17/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1659 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SILVESTRI FRANCESCO N. IL 28/01/1978
avverso la sentenza n. 813/2014 CORTE APPELLO di ROMA, del
03/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 17/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 luglio 2014 la Corte di appello di Roma ha
confermato la sentenza emessa il 24 settembre 2013 dal Giudice per
l’udienza preliminare del Tribunale di Tivoli, con la quale Silvestri Francesco
era stato condannato, all’esito di giudizio abbreviato, esclusa la recidiva e la
circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen., alla
pena di anni sei di reclusione per i seguenti reati, unificati nella

un coltello da cucina avente lama di venti centimetri alla base del collo, in
regione giugulare, all’addome in zona sottosternale e in altre parti del
corpo, con fendente comportante lacerazione epatica ed emiperitoneo
massivo; b) lesione volontaria in danno di Sabelli Emiliano, colpito con lo
stesso coltello al fianco sinistro, con conseguente malattia o incapacità di
attendere alle ordinarie occupazioni per la durata di venti giorni; c)
evasione dagli arresti domiciliari cui il Silvestri era sottoposto, per
commettere, nell’androne del palazzo, i suddetti delitti; in Tivoli, il 16 luglio
2012.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Silvestri con due atti: il primo personalmente redatto e il secondo tramite il
difensore, avvocato Vittorio Messa.
2.1. Col primo atto, recante la data del 27 ottobre 2014, il Silvestri
deduce il vizio di motivazione nel triplice profilo previsto dall’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
La Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare la motivazione della
prima sentenza, senza dare adeguata risposta alle censure dell’appellante in
punto di erronea qualificazione del fatto come tentato omicidio; di
sussistenza della scriminante della legittima difesa, essendosi le persone
offese, le quali -secondo le informazioni di polizia- erano di “elevata
caratura delinquenziale e conosciute in zona come killer”, arbitrariamente
introdotte nell’abitazione dell’imputato; di omesso riconoscimento almeno
della circostanza attenuante della provocazione e, comunque, delle
attenuanti generiche, avendo l’imputato agito nello stato d’ira determinato
dal fatto ingiusto altrui.
La tesi difensiva sarebbe stata totalmente negletta per privilegiare, in
conformità della sentenza di primo grado, solo la versione delle persone
offese, costituitesi parti civili, in assenza dei necessari ulteriori riscontri.

continuazione: a) tentato omicidio di Sabelli Emanuele, colpito più volte con

Nel trattamento sanzionatorio la Corte territoriale avrebbe fatto
malgoverno della sua discrezionalità vincolata e l’entità della pena inflitta
non avrebbe tenuto conto della finalità rieducativa della pena.
2.2. Con l’atto di impugnazione a firma del difensore, sono dedotti i
seguenti motivi: a) erronea applicazione della legge penale con riferimento
all’art. 52 cod. pen. e mancanza di motivazione sul punto: i fratelli Sabelli,
personaggi di notevole spessore criminale, si sarebbero introdotti

avrebbe usato il coltello contro di loro per la necessità di difendersi
dall’aggressione subita in casa propria, donde la presunzione di
proporzionalità della reazione ai sensi dell’art. 52 cod. pen., nel testo
modificato dalla legge n. 59 del 2006; b) violazione di legge e vizio della
motivazione per contraddittorietà e/o illogicità con riferimento agli artt. 56,
575 e 583 cod. pen.: le modalità della lesione inferta a Sabelli Emanuele
con superficiale penetrazione della lama in zona addominale, nonostante il
coltello da cucina utilizzato consentisse lesioni ben più profonde, e
l’interruzione dell’azione lesiva quando i due fratelli Sabelli si allontanarono,
dando le spalle all’imputato, dimostrerebbero l’assenza della volontà
omicida e, piuttosto, l’intenzione dell’imputato di difendersi provocando solo
lesioni ai suoi antagonisti; c) contraddittorietà della motivazione con
riferimento all’imputazione di cui all’art. 385 cod. pen.: tale accusa si
reggerebbe sulla circostanza che l’imputato, agli arresti domiciliari al tempo
del fatto, sarebbe uscito dal suo appartamento per pulire le scale e
l’androne dalle tracce di sangue lasciate dalle vittime, senza però che
alcuno dei condomini esaminati come testimoni, dai quali pure il Silvestri
era conosciuto, lo avesse indicato come la persona notata mentre, nel
frangente di interesse, ripuliva le scale condominiali; d) carenza di
motivazione circa il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art.
62, comma primo, n. 5, cod. pen., avendo le persone offese contribuito col
loro fatto doloso alla lite armata, per essersi recate arbitrariamente presso il
domicilio dell’imputato al fine di regolare conti in sospeso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La Corte territoriale ha adeguatamente e coerentemente motivato
la negazione della legittima difesa: le modalità dell’accesso dei fratelli
Sabelli nella casa dell’imputato e le ragioni della lite esplosa tra le parti non
sono state completamente chiarite né dall’imputato, né dalle persone

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nell’abitazione dell’imputato per regolare conti in sospeso e il Silvestri

offese, con la conseguenza che ragionevolmente i giudici di merito non
hanno ritenuto provata la pretesa violazione di domicilio e hanno ricondotto
l’incontro-scontro a ragioni illecite, tenuto conto altresì dello spessore
criminale non solo delle vittime ma anche dell’imputato, pregiudicato e,
all’epoca del fatto, agli arresti domiciliari.
1.2. La qualificazione come tentato omicidio, e non lesione aggravata,
dell’aggressione commessa dall’imputato nei confronti di Sabelli Emanuele è

dell’arma usata (coltello da cucina con lama di venti centimetri), della
reiterazione dei fendenti, della potenzialità letale del colpo inferto in zona
addominale, non essendosi verificato l’evento più grave per la prontezza
delle vittime che riuscirono a fuggire dall’abitazione dell’imputato.
1.3. Il reato di evasione (uscita del Silvestri dalla propria abitazione,
dove sarebbe dovuto permanere agli arresti domiciliari, per cancellare le
tracce di sangue seminate dalla vittima sulle scale e nell’androne del
palazzo) è stato ritenuto provato, con motivazione ancora una volta
pienamente adeguata e coerente, sulla base degli accertamenti di polizia
scientifica (presenza di residui ematici riconducibili a Sabelli Emanuele sullo
straccio utilizzato per la pulitura) e delle testimonianze delle condomine,
Chiossi Ester e Antonietti Maria, le quali, contrariamente alla generica
censura del ricorrente sul punto, non hanno escluso che l’autore
dell’intervento ripulitore fosse stato proprio il Silvestri.
1.4. Il trattamento sanzionatorio è stato correttamente giustificato con
la gravità del fatto e la pericolosità sociale dell’imputato, mentre il silenzio
della Corte di merito sull’invocata attenuante di cui all’art. 62, comma
primo, n. 5, cod. pen., non costituisce vizio della motivazione, poiché
coerente con l’operata ricostruzione del fatto, non consentendo le divergenti
versioni dei protagonisti di accertare le effettive modalità dell’incontroscontro tra loro, donde l’implicita ma inequivocabile conseguenza
dell’impossibilità di ricondurre l’evento lesivo al fatto doloso delle stesse
persone offese.
Secondo il disposto dell’art. 597, comma primo, cod. proc. pen.,
l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione, nel
procedimento, limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i
motivi proposti. Pertanto il giudice d’appello deve tenere presente, dandovi
risposta in motivazione, le doglianze dell’appellante in ordine ai punti o capi
-ex art. 581, comma primo, lett. e)- investiti dal gravame, ma non è tenuto
ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello
quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione,

stata compiutamente e adeguatamente giustificata, in sentenza, sulla base

poiché in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte
dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado (Sez. 1, n. 1778 del
21/12/1992, dep. 1993, Zuncheddu, Rv. 194804; Sez. 1, n. 2079 del
22/10/1984, dep. 1985, Alessandro, Rv. 168096).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle

determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa
delle ammende.
Così deciso il 17 giugno 2015.

spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella

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