Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16576 del 16/11/2017


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 16576 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PIEMONTI ROBERTO nato il 11/02/1963 a CARATE BRIANZA

avverso la sentenza del 09/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

Data Udienza: 16/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 9.05.2017, la Corte d’appello di Milano, in parziale
riforma della sentenza del tribunale di Monza del 9.06.2016, appellata dal PIEMONTI, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputata limitatamente

da gennaio a giugno 2009, per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena
per la contestazione relativa all’annualità luglio 2009, in gg. 40 di reclusione ed C
140 di multa.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia
iscritto all’Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.
In particolare si evoca: a) con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b),
c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2, comma primo, legge n. 638 del
1983, 45 e 54 cod. pen., 131 bis cod. pen., 157 cod. pen., e 125, comma terzo,
cod. proc. pen., e correlato triplice vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (si sostiene che il mancato pagamento del debito è
stato necessitato dalla crisi di liquidità che aveva interessato il settore di attività
in cui operava l’azienda del ricorrente; detta crisi era stata aggravata dalla concorrenza sleale delle aziende operante nell’est europeo, nonostante il ricorrente
avesse impiegato notevoli risorse personali immettendole nel patrimonio della società; si evidenzia che nell’alternativa tra assolvere il debito verso l’INPS e garantire la continuità aziendale, il ricorrente avrebbe optato per questa seconda scelta,
con l’intenzione di provvedere al versamento del dovuto al momento della ripresa
dell’attività; sulla scriminante di cui all’art. 54 cod. pen., la Corte d’appello non
avrebbe motivato, nonostante esistesse un rapporto di perfetta proporzione tra i
beni in conflitto, ossia l’interesse alla riscossione delle ritenute da parte dell’INPS
e quello dell’impresa alla sopravvivenza dell’azienda, ed al mantenimento del posto di lavoro dei dipendenti, si sarebbe trascurato poi il fatto che il ricorrente
avrebbe operato pagamenti parziali, ciò che avrebbe dovuto incidere sull’elemento
soggettivo del reato e sulla valutazione della configurabilità del c.d. fatto di particolare tenuità); b) con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed
e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2, 163 cod. pen., e 673 c.p.p. 131 bis c.p.
e 125, comma terzo, c.p.p. e correlato triplice vizio di mancanza, contraddittorietà

all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali relative ai ratei

e manifesta illogicità della motivazione (si censura la sentenza della Corte d’appello perché avrebbe rigettato la richiesta di riconoscimento del beneficio della
sospensione condizionale della pena e quello di applicazione della speciale causa
di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. con motivazione viziata; quanto
all’art. 131 bis c.p., in quanto l’omesso versamento sarebbe avvenuto in maniera
sistematica; quanto all’art. 163 c.p., perché la reiterazione di comportamenti vie-

finiti con decreto penale di condanna, impedivano di esprimere una prognosi poitiva; la motivazione sarebbe poi censurabile, da un lato, perché gli omessi versamenti cui fa riferimento la Corte d’appello riguarderebbero fatti “sottosoglia” di cui
non si potrebbe tenere conto agli effetti indicati, tanto i precedenti episodi quanto
i successivi, donde si tratterebbe di illeciti amministrativi che non raggiungono la
soglia di offensività penale idonea ad escludere l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.,
e non sarebbero ostativi al riconoscimento dell’art. 163 c.p.; la Corte d’appello
avrebbe quindi omesso di effettuare un corretto e motivato apprezzamento della
condotta, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla sospensione condizionale,
dovendo tener conto di tutte le circostanze indicate nell’art 133 c.p.); c) con il
terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 133 e 133 bis cod. pen., 597, commi terzo e quarto, c.p.p. e 53, legge
n. 689 del 1981 e 135 c.p. e correlato triplice vizio di mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione (si sostiene che la pena inflitta sarebbe
sproporzionata rispetto ai fatti, come desumibile dalla comparazione tra quella che
era stata inflitta in primo grado, tenuto conto dell’intero periodo da gennaio a
luglio 2009; la Corte d’appello avrebbe inoltre dovuto sostituire la pena detentiva
in quella pecuniaria).

3. Con memoria depositata in data 31.10.2017 presso la cancelleria di questa
Corte, la difesa di parte ricorrente allega i provvedimenti con cui è stata disposta
la revoca dei decreti penali di condanna relativi ai precedenti penale per reati oggi
depenalizzati, insistendo quindi sul motivo relativo all’ingiustificato diniego dell’art.
163 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.

4. Ed invero, quanto al primo motivo, afferente il mancato riconoscimento della
causa di non punibilità di cui all’art. 45 c.p., la Corte d’appello motiva evidenziando
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tati, ancorchè sottosoglia, unitamente ai precedenti penali per numerosi reati de-

come l’omissione non derivasse in toto da forza maggiore, consistita dall’improvvisa crisi di liquidità, facendo coerente applicazione del principio, già affermato da
questa Corte, secondo cui in tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza
maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia
potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e

che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di
politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità: Sez. 3, n. 8352
del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263128).

5. Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità dell’art. 54 cod.
pen., la Corte d’appello motiva richiamando la giurisprudenza di questa Corte in
ordine alla sufficienza del dolo generico, sottolineando come non rilevassero i motivi per i quali il datore di lavoro aveva omesso il versamento delle ritenute. Orbene, pur se sotto tale aspetto la motivazione della Corte territoriale può ritenersi
corretta in quanto rispondente ai principi già affermati da questa Corte Suprema
secondo cui la prova del dolo generico, normativamente richiesto ai fini della punibilità del reato di cui alla L. 11 novembre 1983, n. 638, art. 2, può essere desunta anche dal comportamento del datore di lavoro il quale reiteratamente
ometta, consapevole di esservi tenuto (per aver trasmesso i modelli DM10 all’Istituto previdenziale), di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti (in termini, Sez. 3, sentenza
n. 30271 del 2014, ud. 20/05/2014, dep. 10/07/2014, Panicucci, non massimata),
deve tuttavia rilevarsi l’esistenza di un deficit motivazionale non altrimenti colmabile sulla questione, espressamente dedotta dal ricorrente, della proporzione tra i
beni in conflitto. Sul punto, infatti, non si registra alcuna presa di posizione, nemmeno implicita della Corte territoriale, nonostante la censura meritasse di essere
esaminata soprattutto alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, datato ma ancora attuale, secondo cui il danno grave alla persona, richiesto dall’art. 54 cod.
pen., non è solo quello alla vita e alla integrità fisica, ma anche quello minacciato
a beni attinenti alla personalità, come ad esempio quelli della libertà sotto diversi
aspetti, del pudore, dell’onore ed altri ancora che riguardano, appunto, direttamente la persona. A tale conclusione deve pervenirsi tenendo conto dell’evoluzione
culturale, sociale e giuridica verificatasi per quanto attiene la concezione di persona e di diritti personali, nonché delle norme e dei principi costituzionali riguardanti la persona umana e i diritti a questa inerenti (Sez. 3, n. 10772 del
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che sfuggono al suo dominio finalistico. (Fattispecie, nella quale la Corte ha escluso

07/10/1981 – dep. 04/12/1981, Potenziani, Rv. 151194). Non v’è infatti dubbio
che in astratto possa considerarsi danno grave anche quello minacciato a beni
attinenti alla “personalità” tra cui vi rientrano anche l’interesse alla continuità
dell’attività aziendale ed al mantenimento del posto di lavoro per i dipendenti.

6. Manifestamente infondato deve invece ritenersi il motivo sul mancato ricono-

d’appello motiva rilevando che la somma complessiva omessa per l’anno 2009
superava la soglia di punibilità, dunque ciò legittimamente impediva di ritenere
lieve il grado di offensività, in ogni caso dovendosi ravvisare la “sistematicità”
dell’omissione, dal gennaio 2009 a febbraio-luglio 2012. La manifesta infondatezza
del motivo si giustifica in quanto ricorre nel caso in esame un comportamento
“abituale” connotato dalla rilevanza penale indubbia delle condotte dichiarate
estinte per prescrizione in relazione all’anno 2009, donde la reiterazione delle
omissioni e l’ammontare delle ritenute di cui era stato omesso il versamento giustificavano il diniego dell’art. 131 bis cod. pen., in applicazione del principio secondo cui ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non
punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il comportamento è abituale quando
l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno
due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 – dep.
06/04/2016, Tushaj, Rv. 266591).

7. Fondato, al pari del motivo sulla corretta valutazione dell’art. 54 c.p., deve
ritenersi il motivo sul mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. Ed infatti, si deve registrare l’errore commesso dai giudici di
appello nel ritenere in sentenza già riconosciuti i doppi benefici di legge da parte
del primo giudice, che, per quanto qui di interesse, non aveva concesso il beneficio
di cui all’art. 163 c.p. Il motivo, è sul punto, fondato in quanto le precedenti condanne, e relative a reati depenalizzati, non ostavano certamente al riconoscimento
del beneficio. Come infatti più volte affermato da questa Corte, le precedenti condanne relative a fatti non più costituenti reato per “aboliti° criminis” non sono
preclusive della concessione del beneficio della sospensione condizionale della
pena (Sez. 6, n. 16363 del 05/02/2008 – dep. 21/04/2008, Scaccini, Rv. 239555).

8. Infondato, infine, è il motivo attinente al trattamento sanzionatorio. Il giudizio
di sproporzione appare infatti affidato più ad un apprezzamento soggettivo ed individuale del ricorrente che ad una specifica critica al ragionamento della Corte
d’appello sul punto; in ogni caso, con riferimento alla mancata conversione ex art.
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scimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., sul quale la Corte

53, legge n. 689 del 1981, non risulta che la stessa sia stata richiesta al giudice
di appello, donde trova applicazione il principio per cui mentre il giudice di primo
grado può sostituire anche d’ufficio, la pena detentiva senza istanza dell’imputato,
ai sensi dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981, il giudice di appello non ha analogo
potere. Per l’effetto devolutivo dell’appello, infatti, in sede di impugnazione non si
può prendere in esame una richiesta non formulata espressamente nei motivi di

dep. 21/11/1984, Zuin, Rv. 166812).

9. Le omissioni motivazionali relative alle censure svolte in relazione all’art. 54
c.p. ed all’art. 163 c.p. necessiterebbero dell’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello per colmare tali deficit
motivazionali. Deve, tuttavia, rilevarsi l’intervenuto integrale decorso del termine
di prescrizione del reato relativamente all’omesso versamento del rateo di luglio
2009, ciò che impone a questa Corte l’adozione di una sentenza di annullamento
senza rinvio per essere il reato, con riferimento a tale residuo rateo, estinto per
prescrizione. Ed invero, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono
rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in
quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275).

P.O.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16 novembre 2017

Il Consiglie e istensore
Alessio

Il Presidente
avallo

gravame, nè implicitamente compresa in essi (Sez. 5, n. 10459 del 12/10/1984 –

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