Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16572 del 16/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16572 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CONFUORTI EMANUELE nato il 03/04/1955 a MATERA

avverso la sentenza del 18/10/2012 della CORTE APPELLO di POTENZA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

Data Udienza: 16/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 18.10.2012, la Corte d’appello di Potenza confermava la sentenza del tribunale di Matera del 3.06.2011, appellata dal CONFUORTI,
che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di violazione di sigilli aggravata, con-

sione ed € 600 di multa, con il concorso di attenuanti generiche equivalenti alla
recidiva contestata, oltre alla pena accessoria dall’interdizione dai pubblici uffici
per un anno, in relazione a fatti accertati in data 16.03.2009.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia
iscritto all’Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.
In particolare si evoca: a) con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b),
cod. proc. pen. in relazione all’art. 349 cpv, cod. pen (difetterebbe la configurabilità del reato in esame in quanto la finalità dell’apposizione dei sigilli era quella di
impedirne l’uso in attesa che si perfezionasse la procedura amministrativa intesa
o all’estinzione della contravvenzione o alla confisca del veicolo; non si sarebbe
quindi tenuto conto che la condotta era qualificabile ai sensi dell’art. 350 cod.
pen.), b) con il secondo motivo, si eccepisce l’intervenuta estinzione del reato per
prescrizione ex art. 157 cod. pen., trattandosi di fatti accertati nel 2009.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Ed invero, dall’esame congiunto delle sentenze di primo grado e di appello (che,
com’è noto si integrano reciprocamente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep.
04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), risulta palese la genericità e manifesta infondatezza di tutti i motivi, atteso che la Corte d’appello, seppure in maniera sintetica ma con percorso argomentativo immune da vizi logici, indica nell’impugnata
sentenza le ragioni per le quali ha ritenuto integrato il delitto di violazione di sigilli,
con conseguente configurabilità della responsabilità del reo sotto il profilo oggettivo e soggettivo, ragioni che si intendono in questa sede integralmente richiamate
per esigenze di economia motivazionale né essendo richiesto a questa Corte di

dannandolo, in esito al giudizio abbreviato richiesto, alla pena di 10 mesi di reclu-

procedere ad una ricognizione e riproposizione delle argomentazioni in fatto sviluppate dalla Corte territoriale a sostegno di quanto sopra, dovendo la Corte di
Cassazione limitarsi a valutare la congruenza motivazionale e la logicità complessiva dell’apparato argomentativo utilizzato dai giudici di merito e non certo sindacare gli argomenti fattuali utilizzati dai predetti giudici.

festamente infondate anzitutto quanto al primo motivo, non soltanto perché si
tratta di argomentazioni difensive non prospettate in sede di appello (dove le doglianze erano appuntate sulla presunta rilevanza dello stato di “analfabetismo” del
ricorrente e sulla rimozione del sigillo dal parabrezza fatta per gioco dal nipotino),
ma anche perché non tengono conto del fatto che quanto sostenuto dall’imputato
è stato ormai definitivamente superato dal principio espresso dalla sezioni Unite
di questa Corte, le quali hanno infatti affermato che il reato di violazione di sigilli
è configurabile anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti esclusivamente per
impedire l’uso illegittimo della cosa, perchè questa finalità deve ritenersi compresa
in quella, menzionata nell’art. 349 cod. pen., di assicurare la conservazione o la
identità della cosa (Sez. U, n. 5385 del 26/11/2009 – dep. 10/02/2010, D’Agostino, Rv. 245584).

6. Quanto, poi, alla configurabilità del reato “colposo” di cui all’art. 350 cod. pen.,
– premesso che il reato di violazione di sigilli prevista dall’art. 349, secondo
comma, cod. pen. si distingue dall’ipotesi di agevolazione colposa di cui all’art.
350 cod. pen. per l’elemento psicologico, nel senso che, mentre la prima ipotesi si
caratterizza per la condotta del custode, dolosamente diretta a porre in essere la
violazione, la seconda si verifica in quei casi in cui la violazione dei sigilli è resa
possibile dalla negligenza e trascuratezza del custode (Sez. 6, n. 1945 del
24/11/1993 – dep. 17/02/1994, Cavagnoli, Rv. 197265) – è evidente come nel
caso in esame il ricorrente non abbia assolto all’onere probatorio allo stesso richiesto per potersi ritenere configurata la meno grave ipotesi delittuosa. E’ stato
infatti affermato da questa Corte che ai fini della configurazione del reato di violazione di sigilli previsto dall’art. 349, comma secondo, cod. pen. nei confronti di
colui che ha in custodia la cosa, la prova della sussistenza del dolo, che differenzia
tale ipotesi delittuosa dall’agevolazione colposa sanzionata amministrativamente
dall’art. 350 cod. pen., deve essere fornita dalla pubblica accusa e non può essere
desunta dalla negligenza e trascuratezza del custode; tuttavia è onere di quest’ultimo addurre gli elementi specifici che gli hanno impedito di attivarsi, qualora risulti accertato che egli, benché direttamente a conoscenza della effrazione dei
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5. In particolare, osserva il Collegio, le doglianze della difesa si appalesano mani-

sigilli, abbia omesso di avvertire dell’accaduto l’autorità (Sez. 3, n. 7371 del
13/07/2016 – dep. 16/02/2017, Marra, Rv. 269192).

7. Infine, quanto all’eccepita estinzione per prescrizione del reato, trattasi di eccezione manifestamente infondata, in quanto la sentenza d’appello è stata emessa
in data 18.10.2012m dunque in data antecedente alla data di prescrizione mas-

in data successiva al decorso di tale ultimo termine, ossia il 6.03.2017. Sul punto
è infatti pacifico in giurisprudenza che ai fini del computo della prescrizione rileva
il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello
successivo del deposito della stessa (Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015 – dep.
18/05/2015, Lione, Rv. 263365). Trova, pertanto, applicazione il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui l’inammissibilità del ricorso
per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di
rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.
(Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza
impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L,
Rv. 217266).

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16 novembre 2017

sima (16.09.2016), non rilevando la circostanza che la sentenza è stata depositata

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