Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16560 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16560 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MORELLI FABIO nato il 19/04/1988 a MELITO DI PORTO SALVO

avverso l’ordinanza del 25/05/2017 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA;
lette/sentite le conclusioni del PG MARIELLA DE MASELLIS
Il PG conclude per l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
L’Avv. Antonio Managò conclude per l’accoglimento del ricorso.
Si dà atto della presenza, ai soli fini della pratica forense, della Dott.ssa Borruto
Anna Rachele identificata con tessera Cons. Ord. Avv.ti Reggio Calabria n. 7882.

Data Udienza: 21/03/2018

Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, ha confermato
l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale ha applicato a
Fabio Morelli la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di partecipazione ad
un’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, in specie con il ruolo
funzionale sia di fornitore di sostanza stupefacente in favore di Vincenzo Ferrante, che era il
promotore ed organizzatore dell’associazione, che di spacciatore mediante propri sottoposti.

un’associazione finalizzata alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti e
l’inserimento stabile in essa di Fabio Morelli. Del rifornimento della droga si occupava Vincenzo
Ferrante, che intratteneva rapporti, tra gli altri, con Fabio Morelli, che era uno dei fornitori,
come si trae dalle risultanze delle intercettazioni ambientali. Da esse si ricava, più
specificamente, che il Ferrante, conversando con Nkairi Mustapha, stretto collaboratore di
Cosimo Morelli anch’egli molto attivo nel settore dello spaccio di droga, indicò in Fabio Morelli,
fratello di Cosimo, un abile spacciatore, intraprendente e puntuale negli approvvigionamenti.
Il collaboratore di giustizia Domenico Lucisano ha poi riferito del ruolo centrale di
Cosimo Morelli nelle attività illecite, ivi compreso lo spaccio di droga, nel quartiere Arghillà di
Reggio Calabria, e ha indicato Fabio Morelli come collaboratore del fratello Cosimo in dette
attività.
Ulteriore elemento indiziario a carico di Fabio Morelli è dato dai risultati di un’ispezione
locale compiuta dalla polizia giudiziaria in uno stabile di Arghillà, ove è stato scoperto che in un
appartamento era custodito materiale atto al confezionamento di sostanza stupefacente e che
in detto appartamento era collocata una telecamera di sorveglianza collegata, mediante un
cavo, ad altro appartamento del medesimo stabile, ove insiste l’abitazione proprio di Fabio
Morelli.
In ordine alle esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del pericolo di
reiterazione criminosa, in considerazione della gravità del fatto e della pericolosità del
soggetto, non solo per i legami criminali con i fratelli Cosimo e Andrea, entrambi facenti parte
della collegata associazione ‘ndraghetistica operante nello stesso territorio, riconducibile alla
cosca Condello e con a capo Domenico Nucera; ma anche per quel che si può desumere
dall’atteggiamento tenuto da Fabio Morelli nel corso di un controllo di polizia effettuato nel
quartiere Arghillà da parte dei Carabinieri del Nucleo radiomobile. Durante tale controllo che,
tra gli altri, ha riguardato proprio Fabio Morelli, un gruppo di persone si riuniva intorno a lui e
si rivolgeva ai militari dell’Arma che effettuavano il controllo, pronunciando espressioni di
minaccia per il caso in cui i controlli fossero proseguiti nei giorni successivi. Fabio Morelli
interveniva sul gruppo di sodali, dicendo loro che i Carabinieri stavano facendo soltanto il loro
lavoro.

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Il Tribunale ha precisato che le risultanze investigative consegnano l’esistenza di

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato, articolando più motivi
di ricorso.
Col primo ha dedotto il vizio di difetto di motivazione. A Fabio Morelli non sono stati
contestati specifici episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, i collaboratori di giustizia non
hanno fornito elementi indiziari nei suoi confronti, e solo il collaboratore Domenico Lucisano ha
genericamente affermato che Fabio Morelli collaborava con il fratello Cosimo Morelli.
Nelle numerose conversazioni intercettate non si è mai registrata la presenza diretta,

Nell’unica conversazione intercettata ove si parla di Fabio Morelli, quella intercorsa tra
Vincenzo Ferrante e Nkairi Mustafà, i dati che emergono sono di segno opposto a quello inteso
dall’accusa, attestando la non appartenenza di Fabio Morelli alla presunta compagine
associativa.
Il rinvenimento di una telecamera, collegata all’appartamento di Fabio Morelli,
posizionata in altro appartamento, ove vi era materiale per il confezionamento di sostanza
stupefacente, trova giustificazione nella determinazione di Fabio Morelli, che poco prima aveva
subito il furto dell’autovettura, di tutelarsi.
Con il secondo motivo ha dedotto il vizio di difetto di motivazione. Il Tribunale ha
attribuito a Fabio Morelli il ruolo di capo dell’associazione nonostante abbia affermato che
Vincenzo Ferrante, nel frattempo deceduto, dell’associazione fosse senza dubbio il promotore
organizzatore. È evidente la contraddittorietà dei due assunti.
È poi ancorata ad elementi evanescenti l’affermazione che l’associazione fosse armata,
in particolare a indicazioni, fors’anche di mera millanteria, di Vincenzo Ferrante.
Con il terzo motivo ha dedotto il vizio di violazione di legge e difetto di motivazione per
il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, d.p.R. n. 309 del 1990 o,
ove ci fosse stata la prova di un gruppo associativo, di quella di cui all’articolo 74, comma 6,
dello stesso d.p.R.
Col quarto motivo ha dedotto il vizio di difetto di motivazione in ordine all’affermazione
della sussistenza delle esigenze cautelari. Il Tribunale non ha spiegato le ragioni per le quali
unica misura adeguata è la custodia carceraria.
Considerato in diritto

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Il Tribunale ha individuato e compiutamente illustrato il materiale indiziario che attiene
specificamente alla posizione di Fabio Morelli. Ha illustrato il ruolo centrale di Vincenzo
Ferrante nelle illecite attività di spaccio delle sostanze stupefacenti e ne ha analizzato alcune
conversazioni intercettate da cui emerge il profilo associativo di Fabio Morelli. Nel corso di una
conversazione del 16 luglio 2016 con tale Ivan, Vincenzo Ferrante ha riferito degli affari di
droga, del coinvolgimento dei fratelli Morelli, individuabili in Cosimo, Andrea e, appunto, Fabio,
delle cointeressenze con Domenico Nucera, del fatto che con i fratelli Morelli, specificamente
con Andrea e i suoi fratelli, non aveva problemi nel rifornirsi di droga, dato il pieno rapporto di
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quale conversante, di Fabio Morelli.

fiducia in forza del quale poteva prelevare la sostanza stupefacente pur quando non era in
condizione di versare immediatamente il corrispettivo. Vincenzo Ferrante ha poi aggiunto che,
recatosi da Cosimo Morelli per ricevere un quantitativo di cocaina, aveva appreso da Nkairi
Mustapha, che gli consegnava la sostanza stupefacente per conto di Cosimo Morelli, che non
era possibile dargli ulteriori quantitativi di cocaina, perché la cocaina era nella disponibilità di
Fabio, che in quel momento si trovava a Roma. E che Fabio fosse appunto Fabio Morelli è stato
Io stesso Vincenzo Ferrante a confermarlo, spiegando all’interlocutore che si trattava del

il suo interlocutore, che Fabio Morelli era serio e affidabile nel settore, meritevole di
considerazione per la sua professionalità criminale. Questi dati, già significativi, sono stati
corroborati dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Lucisano, che ha indicato
Fabio Morelli come collaboratore del fratello Cosimo, perno nelle attività criminali esercitate nel
quartiere Arghillà di Reggio Calabria, ivi comprese le attività di spaccio delle sostanze
stupefacenti. Ulteriore elemento indiziario, che rafforza la motivazione offerta dal Tribunale, è
costituito dai risultati dell’ispezione locale compiuta dalla polizia giudiziaria e che ha consentito
di rilevare un collegamento con videosorveglianza tra l’abitazione di Fabio Morelli e un piccolo
appartamento, sito nel medesimo edificio, ove sono state rinvenute attrezzature varie per il
confezionamento della sostanza stupefacente. Il Tribunale ha sul punto riscontrato un preciso
rilievo difensivo, spiegando che la giustificazione della presenza della telecamera non poteva
esser data dai timori di Fabio Morelli di subire altri furti dell’autovettura, dato che la telecamera
non era orientata sulla strada ma sull’ingresso posteriore e sul balcone dell’appartamento.
Gli elementi indiziari valorizzati nella motivazione dell’ordinanza impugnata ben
giustificano la conclusione circa la partecipazione associativa di Fabio Morelli, a cui per il vero
non è contestato il ruolo di capo o promotore, ma solo di fornitore di sostanza stupefacente in
favore di Vincenzo Ferrante e di spacciatore a mezzo di propri pushers, al pari di quanto fatto
dai fratelli Cosimo e Andrea. Sono le precise indicazioni di Vincenzo Ferrante, corroborate dalle
dichiarazioni di Domenico Lucisano, a tratteggiare un ruolo associativo per Fabio Morelli, che
viene collocato all’interno del gruppo di persone dedite allo spaccio con profili di stabilità e con
lo specifico ruolo di fornitore di stupefacenti.
Circa il motivo di ricorso con cui si contesta il carattere armato dell’associazione, si
rileva preliminarmente il difetto di interesse per una simile doglianza in questa sede, sulla
falsariga di quanto già affermato da questa Corte, secondo cui “è inammissibile, per carenza di
interesse, il ricorso per cassazione contro un provvedimento

de libertate non rivolto a

contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari ma solo la
configurabilità di determinate circostanze aggravanti, quando dall’esistenza o meno di tali
circostanze non dipende, per l’assenza di ripercussioni sulran o sul quomodo della cautela, la
legittimità della disposta misura – Sez. III, 17 aprile 2014, n. 36731, Inzerra, C.E.D. Cass., n.
260256 -. Il ricorrente, infatti, non indica quale ricaduta di vantaggio si avrebbe in caso di

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“fratello di Andrea, il fratello di Cocò, il piccolo”. Ha quindi aggiunto, convenendo sul punto con

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
‘R o m a , lì

3 APR. 2018

disconoscimento, in sede cautelare, di una circostanza aggravante, peraltro non ad effetto
speciale, e quindi non rilevante secondo il parametro di cui all’articolo 278 c.p.p.
Quanto poi al motivo con cui il ricorrente si duole del mancato riconoscimento
dell’ipotesi lieve, se ne apprezza la genericità, per l’assenza di specifiche indicazioni di elementi
di fatto, oltre che di ragioni di diritto, capaci di prospettare in termini di sufficiente concretezza
il vizio appena prospettato.
Non è infine fondato il motivo circa la scelta della misura carceraria e l’omessa

misure. Occorre a tal proposito ricordare che, in ragione della contestazione cautelare del fatto
associativo, opera la presunzione di adeguatezza della misura carceraria posta dall’articolo
275, comma 3, c.p.p. Il Tribunale ha sul punto precisato che non sono emersi elementi
contrari, capaci di superare la presunzione di legge, ed ha anzi riportato i contenuti di una
relazione di servizio dei Carabinieri che hanno operato un controllo di polizia nel quartiere di
Arghillà, nel corso del quale la figura di Fabio Morelli si delinea in termini sfavorevoli per
prognosi di adeguatezza di misure meno afflittive.
Il ricorso deve dunque essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al direttore dell’istituto
penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito all’art. 94 c. 1-ter disp. att. del
c.p.p.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1-ter, disp. att.
c.p.p.
Così deciso in Roma, 21 marzo 2018.

indicazione delle ragioni per le quale sono state ritenute inadeguate altre e meno afflittive

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