Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16560 del 10/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16560 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
PECCI Miro, nato a Roma il 25/04/1972
BIANCO Mario Salvatore, nato a Santa Ninfa il 29/04/1962
avverso la sentenza del 15/04/2015 della Corte di Appello di Genova
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Agnello
Rossi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata ai fini della rideterminazione della pena;
udito il difensore degli imputati, avvocato Sandro S. Rapisarda, di ufficio per il
Pecci, che ha richiesto l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 15 aprile 2015, la Corte di appello di Genova,
pronunciandosi a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione, in
parziale riforma della decisione di primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, ha
condannato Mario Salvatore BIANCO e Miro PECCI alla pena ritenuta di giustizia,
entrambi per i reati di tentata rapina aggravata all’interno della filiale di una

Data Udienza: 10/03/2016

banca e di furto di un’autovettura esposta alla pubblica fede, ed il primo anche
per i reati di resistenza e lesioni in danno di un maresciallo dei Carabinieri,
intervenuto per identificarlo e bloccarlo in conseguenza della commissione del
tentativo di rapina. I fatti di tentata rapina, di resistenza a pubblico ufficiale e di
lesioni sono stati commessi il 9 ottobre 2007, mentre il furto è databile il 19
settembre 2007. Nei confronti di entrambi gli imputati è stata ritenuta la recidiva
specifica, reiterata ed infraquinquennale.
L’annullamento della precedente sentenza della Corte di appello è stato
pronunciato dalla Corte di cassazione perché il giudice di secondo grado aveva

violato il diritto degli imputati di partecipare all’udienza camerale, non
disponendo la traduzione degli stessi, in quel momento detenuti, sebbene fosse
stata tempestivamente manifestata da entrambi volontà di comparire.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in
epigrafe, gli avvocati Monica Giovenco e Salvino Mondello, quali difensori di
fiducia del BIANCO, e, personalmente, il PECCI.
2.1. Il ricorso presentato nell’interesse del BIANCO è articolato in due
motivi.
Nel primo motivo, che si riferisce sia alla sentenza, sia all’ordinanza
dibattimentale del 15 aprile 2015, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 420-ter cod. proc. pen.,
per nullità della sentenza conseguente alla mancata partecipazione dell’imputato
al giudizio di appello.
Si deduce che la Corte di appello di Genova non avrebbe preso in adeguata
considerazione l’impedimento del BIANCO, segnalato con fax del 9 e del 10 aprile
2015. L’impedimento era determinato dalla sottoposizione del ricorrente alla
misura cautelare della custodia in carcere, applicata in data 31 marzo 2015 dal
G.i.p. del Tribunale di Tivoli, nonché dalle gravi condizioni di salute del
medesimo, che ne avevano imposto il trasferimento dal carcere presso una
struttura ospedaliera ed avevano reso impossibile persino l’interrogatorio di
garanzia.
Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 63, quarto comma, cod.
pen., per omesso esame del motivo di appello concernente il divieto di applicare
più aumenti di pena in caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto
speciale.
Si premette che, nel secondo dei motivi aggiunti presentati nel giudizio di
appello, si era rappresentato che il trattamento sanzionatorio era stato
illegittimamente determinato perché si era cumulato l’aumento di pena per la
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recidiva ex art. 99, quinto comma, cod. pen., a quello previsto per le aggravanti
di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1 e 2, cod. pen., computando lo stesso nella
misura dei due terzi, e, quindi, in violazione dei divieto di cui all’art. 63, quarto
comma, cod. pen., anche alla luce dell’interpretazione datane dalla
giurisprudenza delle Sezioni Unite (si cita Sez. U, n. 20798, del 2011). Si
rappresenta, infatti, che il Tribunale aveva determinato il trattamento
sanzionatorio per la rapina partendo dalla pena base di anni tre di reclusione ed
euro 1.800 di multa, calcolandola in relazione al reato di cui all’art. 628, terzo

reclusione ed euro 3.000 di multa, ed aveva successivamente applicato gli
ulteriori aumenti per la continuazione e la riduzione per il rito. Si rileva, infine,
che la decisione impugnata non si è minimamente confrontata con le ragioni
appena indicate, limitandosi ad affermare che le doglianze sul trattamento
sanzionatorio sono infondate e che la concreta quantificazione dello stesso risulta
pienamente giustificata.
2.2. Il ricorso presentato nell’interesse del PECCI è articolato in tre motivi
Nel primo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per la
violazione degli artt. 2, quarto comma, e 99, quinto comma, cod. pen., in
conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di quest’ultima
disposizione con sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015.
Si deduce che è stato applicato l’aumento di pena per la recidiva quando lo
stesso era obbligatorio (la tentata rapina è reato compreso tra quelli indicati
dall’art. 407 cod. proc. pen.), e che, invece, per effetto della dichiarazione di
incostituzionalità, è necessaria una verifica in concreto.
Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen.
Si deduce che la sentenza impugnata ha negato le circostanze attenuanti
generiche in ragione dei numerosi e gravi precedenti penali, senza considerare lo
stato di tossicodipendenza del ricorrente ed il suo positivo comportamento
nell’immediatezza del fatto.
Nel terzo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento della continuazione ex
artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen.
Si premette che la sentenza impugnata ha negato l’applicazione della
continuazione con le precedenti condanne sul rilievo che queste attengono a
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comma, cod. pen., l’aveva quindi aumentata per la recidiva ad anni cinque di

reati commessi «in luoghi e con modalità diverse ed in un arco di tempo non
strettissimo» e si pongono come «la conseguenza, quasi necessitata, di uno stile
di vita caratterizzato dalla devianza connessa ad uno stato patologico [la
tossicodipendenza]». Si deduce, poi, che, però, per legge, ex art. 671 cod. proc.
pen., lo stato di tossicodipendenza deve essere preso in considerazione ai fini del
giudizio alla sussistenza della continuazione, e che, inoltre, le plurime azioni
possono essere previste dal reo «anche solo in linea di massima e come ipotesi
genericamente incluse nelle linee fondamentali della preventiva

dovevano ritenersi oggetto di una originaria programmazione unitaria «a causa
dello stato di tossicodipendenza» del medesimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sono infondati il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del
BIANCO ed il secondo ed il terzo motivo del ricorso presentato dal PECCI.
E’, invece, fondato il primo motivo del ricorso del PECCI, e la questione in
esso dedotta deve essere rilevata di ufficio anche a vantaggio del BIANCO. Il
rilievo di tale questione determina anche l’assorbimento del secondo motivo del
ricorso proposto nell’interesse del BIANCO.

2.

Manifestamente infondato è il primo motivo del ricorso proposto

nell’interesse del BIANCO, che deduce la nullità della sentenza impugnata per la
mancata partecipazione dell’imputato al giudizio di appello.
Occorre rilevare, in proposito, che l’impedimento del BIANCO è stato
segnalato con fax del 9 e del 10 aprile 2015 in riferimento all’udienza del 15
aprile. In tali comunicazioni, tuttavia, non è stata rappresentata la volontà del
ricorrente di presenziare all’udienza, bensì il suo impedimento derivante
dall’avvenuto ricovero per ragioni di salute talmente rilevanti da impedirne anche
la partecipazione all’interrogatorio di garanzia conseguenze ad ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal G.i.p. di Tivoli.
L’accertamento effettuato dalla Corte di appello di Genova ha consentito di
accertare che il BIANCO, alla data del 15 aprile 2015 (il giorno dell’udienza) non
risultava più ricoverato.
Legittimamente, allora, la Corte distrettuale ha deciso di procedere oltre nel
giudizio. Da un lato, infatti, in quel momento, non risultava alcun impedimento
per motivi di salute. Dall’altro, lo stato di detenzione non era comunque ostativo,
posto che non era stata formulata alcuna richiesta di traduzione per l’udienza,
ma era stato semplicemente rappresentato lo stato di ricovero del BIACO:
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rappresentazione». Si conclude, quindi, che gli illeciti commessi dal PECCI

invero, nel giudizio camerale di appello avverso la sentenza pronunciata all’esito
di processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, il diritto dell’imputato
detenuto a presenziare all’udienza presuppone la tempestiva manifestazione
della volontà di comparire alla stessa (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 36128 del
13/05/2014, Pipolo, Rv. 259936, nonché Sez. 2, n. 48704 del 06/12/2012,
Romano, Rv. 253847); non è configurabile, però, tale manifestazione di volontà
quando vi è una mera rappresentazione dello stato di ricovero, non più attuale al
momento dell’udienza, poiché detta allegazione può essere intesa solo come

come richiesta di traduzione.

3. Manifestamente infondati sono anche il secondo ed il terzo motivo del
ricorso presentato dal PECCI.
3.1. Il secondo motivo attiene al mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche.
In maniera non manifestamente illogica, la sentenza impugnata ha escluso
la concedibilità delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. in
ragione dei numerosi e gravi precedenti penali, anche specifici, desumendo da
questi la «professionalità» dei due imputati, quindi anche del PECCI, quali
«rapinatori». Inoltre, la sentenza impugnata ha anche espressamente valutato,
ai fini del giudizio per la concedibilità dell’attenuante, lo stato di
tossicodipendenza dell’imputato, affermando, anche in tal caso in modo non
manifestamente irragionevole, che detto stato costituisce «elemento neutro», in
quanto determinato da una situazione di devianza volontaria, cui si affiancano
problematiche connesse ad una condizione di dipendenza.
3.2. Il terzo motivo attiene al mancato riconoscimento della continuazione
tra i fatti oggetto del presente processo e quelli precedentemente giudicati.
La sentenza impugnata, sul punto, ha rappresentato che i fatti pregressi, cui
fa riferimento l’imputato, riguardano sette rapine commesse tra il 1998 ed il
2002 – quindi tra nove e circa cinque anni prima di quella per cui si procede «in luoghi e con modalità diverse», nonché un episodio di porto di strumenti atti
allo scasso, sicché l’unicità del disegno criminoso potrebbe essere invocata solo
per lo stato di tossicodipendenza, e che, però, tale elemento, da solo, non può
essere sufficiente a dimostrare l’unicità del disegno criminoso, sia pure nelle sue
linee programmatiche essenziali. Anche tale parte della motivazione deve
ritenersi immune da vizi: secondo l’insegnamento consolidato della
giurisprudenza di legittimità, cui questo Collegio aderisce, lo stato di
tossicodipendenza è sì elemento che non può essere preternnesso nelle
valutazioni del giudice al quale si chìede l’applicazione della continuazione, ma
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richiesta di rinvio per impedimento dettato da motivi di salute, e non anche

non è condizione da sola sufficiente a tale scopo (così, ad esempio, Sez. 1, n.
50716 del 07/10/2014, Iannella, Rv. 261490, nonché Sez. 1, n. 18242 del
04/04/2014, Flammini, Rv. 259192), non implica una presunzione iuris tantum
circa la unicità del disegno criminoso (esattamente in termini Sez. 1, n. 49653
del 03/10/2014, Letizia, Rv. 261271), e, più in generale, non può essere
considerato disgiuntamente da altri indicatori tra i quali la distanza cronologica
tra i fatti criminosi, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene
protetto, l’omogeneità delle violazioni, lo stato di tempo e di luogo (cfr.,

4. Fondato, invece, è il primo motivo del ricorso del PECCI, nel quale si
deduce che l’aumento di pena per la recidiva è stato applicato sulla base di una
disposizione che prevedeva lo stesso come obbligatorio (l’art. 99, quinto comma,
cod. pen.) e che, successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, è
stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 185 del 2015.
E’ vero che la Corte distrettuale ha affermato che, nel caso di specie,
l’aumento, «anche in assenza di un vincolo di tipo normativo […] è pienamente
giustificato dall’assoluta rilevanza (per numero, gravità e specificità dei reati a
carico di entrambi gli imputati) delle recidive» e che ciò rendeva superfluo
sospendere il processo in attesa della decisione della Corte costituzionale (che
avrebbe poi accolto la questione con la sentenza n. 185 del 2015). Tuttavia,
resta il fatto che la decisione è stata comunque assunta sulla base di una
disposizione poi dichiarata costituzionalmente illegittima, e che, pertanto, è
comunque necessario un nuovo giudizio sul punto, che si determini in espressa
considerazione dell’attuale contesto normativo, impregiudicati restando,
ovviamente, gli esiti cui il giudice del rinvio potrà pervenire (cfr., proprio in
riferimento alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 99, quinto comma,
cod. pen., Sez. 2, n. 43399 del 09/09/2015, Nicolosi, Rv. 265170).

5. La questione della illegittimità della parte di sentenza che ha applicato
l’aumento di pena per la recidiva in applicazione della disposizione di cui all’art.
99, quinto comma, cod. pen., poi dichiarata incostituzionale, è rilevabile di ufficio
anche nei confronti del BIANCO.
Invero, a prescindere dall’osservazione che il ricorso presentato
nell’interesse di quest’ultimo attiene, nel secondo motivo, proprio all’aumento di
pena per la recidiva, deve richiamarsi il principio giurisprudenziale secondo cui,
nel giudizio di cassazione, è rilevabile di ufficio, anche in caso di inammissibilità
del ricorso, la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo
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specificamente, Sez. 2, n. 49844 del 03/10/2012 Gallo, Rv. 253846).

al

trattamento

sanzionatorio

in

conseguenza

della

dichiarazione

di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della
pena (così, con riferimento a dichiarazioni di incostituzionalità di disposizioni
concernenti la recidiva, cfr., ancora, Sez. 2, n. 43399 del 09/09/2015, Nicolosi,
Rv. 265170, e Sez. 6, n. 21982 del 16/05/2013, Ingordini, Rv. 255674, nonché,
più in generale, Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207).

6. L’accoglimento del motivo del ricorso del PECCI inerente all’applicazione

rilievo di ufficio della medesima questione nei confronti del BIANCO, impongono
l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente a questo punto, con
rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo
giudizio in proposito.
Atteso il rigetto degli altri motivi di ricorso, e l’assenza di ulteriori questioni
rilevabili di ufficio, deve però dichiarasi l’irrevocabilità ex art. 624, comma 2,
cod. proc. pen., dell’affermazione di responsabilità per tutti i reati indicati dalla
Corte di appello di Genova nella sentenza impugnata (ed emessa il 15 . aprile
2015).
Il giudice del rinvio, pertanto, rideterminerà il complessivo trattamento
sanzionatorio irrogabile a Mario Salvatore BIANCO e Miro PECCI, valutando, con
piena libertà di giudizio, se sia applicabile la recidiva, ed eventualmente quella
specifica, reiterata ed infraquinquennale. In caso positivo, poi, terrà conto che
l’aumento applicabile deve essere contenuto nel limite massimo previsto dal
combinato disposto degli artt. 63, quarto comma, e 64, primo comma, cod. pen.,
ossia fino ad un terzo della pena prevista per il reato commesso, calcolata
tenendo conto della circostanza aggravante ad effetto speciale più grave (cfr., in
tal senso, Sez. 2, n. 9365 del 13/02/2015, Bellitto Grillo, Rv. 263981).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta obbligatorietà
dell’applicazione della recidiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra
Sezione della Corte d’appello di Genova. Rigetta nel resto.
Dichiara l’irrevocabilità ex art. 624, comma 2, cod. proc. pen.,
dell’affermazione di responsabilità per tutti i reati.
Così deciso il 10 marzo 2016

Il Consigliere estensore

della recidiva sulla base di una disposizione costituzionalmente illegittima, ed il

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