Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16557 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16557 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MAGAZZU’ GIOVANNI nato il 21/08/1983 a MESSINA

avverso l’ordinanza del 25/05/2017 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA;
lette/sentite le conclusioni del PG MARIELLA DE MASELLIS
Il PG conclude per l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
L’Avv. Luca Cianferoni preliminarmente dà atto della morte del coindagato
Saladino e conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata e delle
esigenze cautelari.
Si dà atto della presenza, ai soli fini della pratica forense, della Dott.ssa Belardi
Tania identificata con tessera Cons. Ord. Avv.ti Roma n.P69973 e della Dott.ssa
Antonetti Giusy identificata con tessera Cons. Ord. Avv.ti Roma n. P71569.

Data Udienza: 21/03/2018

Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, ha confermato
l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale ha applicato a
Giovanni Magazzù la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di partecipazione
ad un’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, in specie con il ruolo
funzionale di collaboratore (luogotenente) di Vincenzo Ferrante, promotore ed organizzatore
dell’associazione, svolgendo sia l’attività di pusher, rifornendosi di sostanza stupefacente dal

minuto (Diego Ferrara e Attilio Buontempone).
Anzitutto il Tribunale ha preso in esame l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare
per assenza del requisito dell’autonoma valutazione e l’ha rigettata sul rilievo che il giudice per
le indagini preliminari ha motivato in ordine ai presupposti per l’applicazione della misura,
dando conto del materiale indiziario con valutazione autonoma e specifica. Ha i quindi / preso in
esame il materiale indiziario, da cui si desume l’esistenza di un’organizzazione, operante nel
Comune di Reggio Calabria, al cui vertice era posto Vincenzo Ferrante (poi deceduto), dedita
all’attività di spaccio di sostanze stupefacenti e a cui ha preso parte Giovanni Magazzù. Ha
analizzato i risultati di alcune intercettazioni ambientali e telefoniche in cui si parla di sostanza
stupefacente (la bianca; il fumo) anche con linguaggio criptico (una bottiglia di olio), della
vendita della stessa,” modo con cui essa è tagliata, e da cui emerge l’assiduità dei contatti tra
il Magazzù ed il Ferrante. Ha evidenziato che non v’è difficoltà nell’individuare l’oggetto delle
comunicazioni intercettate: i rapporti fra gli indagati miravano alla conclusione di transazioni di
droga, leggera e pesante, come si rileva per l’uso a volte di termini convenzionali, a volte di
termini univocamente significativi (bianca, fumo, verde, coca, panetta), con precise indicazioni
su quantità e qualità della sostanza. Ha i poi / precisato che dalle intercettazioni si desume il
ruolo svolto dal Magazzù che, sotto le direttive ed il controllo del Ferrante, immetteva la
sostanza stupefacente nel mercato con cessioni al minuto, poi versando al Ferrante stesso i
proventi delle singole compravendite.
In ordine alle esigenze cautelari l il Tribunale ha rilevato il pericolo di reiterazione
criminosa desumibile dalle modalità del fatto e dalla personalità del Magazzù, che ha svolto un
ruolo strategico e funzionale al buon esito degli affari del gruppo. Ha aggiunto che ogni altra
misura sarebbe inadeguata a fronteggiare l’evidenziata esigenza cautelare.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato, che ha articolato più
motivi.
Col primo motivo ha dedotto il vizio di violazione di legge in ordine alla ritenuta
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. L’ordinanza non illustra alcun effettivo contributo
dell’indagato al gruppo associativo e ha preso in esame elementi che al più attestano
l’interesse all’acquisto di sostanza stupefacente per un periodo di tempo molto contenuto.

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Ferrante e rivendendola a terzi, sia quella di collegamento tra il Ferrante a altri spacciatori al

Col secondo motivo ha dedotto il vizio di difetto di motivazione in ordine alla valutazione
della gravità indiziaria. La motivazione del provvedimento impugnato non riscontra le doglianze
difensive ed è manifestamente illogica nella parte in cui considera la disponibilità all’acquisto di
una parte di sostanza stupefacente, disponibilità che emerge da una conversazione tra il
Magazzù ed il Ferrante, quale indice di appartenenza associativa, e trascura il dato della
mancata effettiva cessione della sostanza. La manifesta illogicità si rileva pure nella parte in
cui valorizza il contenuto di alcune intercettazioni trascurando che da quel materiale si ricava,

Col terzo motivo ha dedotto il vizio di difetto di motivazione in ordine alla valutazione
delle esigenze cautelari. Il Tribunale ha omesso di argomentare su concretezza ed attualità del
pericolo di cd. reiterazione criminosa, e ciò nonostante le doglianze difensive sul punto. Non ha
adeguatamente motivato in merito alla deduzione difensiva circa l’assenza di autonoma
valutazione dei gravi indizi di colpevolezza da parte del giudice per le indagini preliminari, che
ha aderito in modo acritico all’impostazione seguita dal pubblico ministero nell’ambito del
decreto di fermo.
Successivamente il difensore ricorrente ha proposto nuovi motivi, con cui ha insistito
per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Il Tribunale ha illustrato gli elementi di gravità indiziaria, tenendo conto dei rilievi
difensivi volti a sostenere l’estraneità del Magazzù al sodalizio che vedeva a capo Vincenzo
Ferrante. Nel far ciò il Tribunale ha dato adeguata motivazione, richiamando i molteplici
elementi, per lo più tratti dalle attività di intercettazione telefonica ed ambientale, che
consegnano, in termini di sufficiente certezza, l’esistenza di un rapporto assiduo di
collaborazione tra il Magazzù ed il Ferrante, proprio sul piano delle attività di spaccio. Il
Tribunale ha fatto quindi corretta applicazione del principio secondo cui “per la configurabilità
dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e
articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente
l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il
perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo
alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati” – Sez. VI, 30 ottobre
2013, n. 46301, Corso e altri, C.E.D. Cass., n. 258165 -. In questa direzione ricostruttiva il
Tribunale ha opportunamente richiamato i brani di intercettazione che attengono alla
conversazione del Ferrante con due giovani di Arghillà il 16 luglio 2016 (fl. 6-7). Da essi
emergono gli elementi descrittivi di una stabile e organizzata attività di spaccio di stupefacenti
condotta dal Ferrante. Quindi, ha richiamato i passi di conversazioni, sempre oggetto di
intercettazione, intercorse tra il Ferrante e il Magazzù, nel corso delle quali il primo riferisce
delle difficoltà a reperire Antonino Saladino, che gli era debitore di una somma di denaro: da
queste conversazioni si traggono elementi significativi dei rapporti di cointeressenza e di
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all’opposto, l’estraneità dell’indagato al gruppo associativo.

solidarietà criminale nelle attività di spaccio (fl. 11-12), e quindi dell’inserimento del Magazzù
nella organizzazione facente capo al Ferrante. Il Tribunale ha messo in evidenza che il
linguaggio utilizzato dai conversanti è univocamente indicativo dell’oggetto delle” conversazioni,
consistente appunto in droga, ora per i termini criptici a cui si fa ricorso, ora per í termini
assolutamente chiari. Il fatto,poi i che il Magazzù discorra col Ferrante anche di altri soggetti,
pur essi coinvolti nelle attività illecite del Ferrante, quali Antonino Saladino, Fabio Puglisi, e che
intrattenga rapporti telefonici con Diego Ferrara, persona coinvolta nelle attività di spaccio,

stupefacente (fl. 13-14), trova nel contesto della motivazione collocazione adeguata per
giustificare la conclusione di gravità indiziaria per partecipazione associativa del Magazzù. È
infatti logica deduzione che la conoscenza degli altri soggetti coinvolti nelle attività del Ferrante
significhi l’esistenza di un legame associativo e la consapevolezza di far parte di un gruppo, per
quanto dall’organizzazione non sofisticata.
L’ordinanza impugnata si sottrae, pertanto, alle censure di ricorso, perché non rivela
alcuna carenza o (manifesta) illogicità del discorso giustificativo. Essa ha pure dato congrua
risposta al rilievo difensivo circa la carenza di autonoma valutazione nel provvedimento
applicativo della misura (fl. 4-6), con argomentazioni svolte nel rispetto dei principi di diritto
fissati dalla giurisprudenza di legittimità. Questa Corte ha infatti affermato che “in tema di
motivazione delle ordinanze cautelari personali, la previsione dell’autonoma valutazione delle
esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza (ad opera dalla legge 16 aprile 2015, n. 47
che ha novellato l’art. 292 co.1 lett. c c.p.p.) non ha carattere innovativo, né mira ad
introdurre un mero formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di
fatto rilevante, essendo stata solo esplicitata la necessità che, dall’ordinanza, emerga l’effettiva
valutazione della vicenda da parte del giudicante. (In motivazione, la S.C. ha precisato che
l’aggettivo autonoma è riferito specificamente alla valutazione e non all’esposizione dei
presupposti di fatto del provvedimento, sicché, rispetto a quest’ultima, anche dopo la riforma,
è consentito il rinvio – per relationem o per incorporazione – alla richiesta del pubblico
ministero, mentre, dall’atto, dovrà emergere il giudizio critico del giudice sulle ragioni che
giustificano l’applicazione della misura cautelare” – Sez. I, 15 dicembre 2015, n. 8323/16,
Cosentino, C.E.D. Cass., n. 265951 2)
In ordine, infine, alle denunciate carenze di motivazione in punto di esigenze cautelari,
si osserva che il Tribunale ha adeguatamente argomentato desumendo il pericolo di cd.
reiterazione criminosa sia dalle modalità delle condotte, rivelatrici di capacità delinquenziale e
di familiarità col commercio di sostanze stupefacenti, sia da alcuni tratti della personalità come
delineati dai precedenti penali, anche specifici. Vale poi, in considerazione della contestazione
cautelare del fatto associativo, la presunzione di legge (articolo 275, comma 3, c.p.p.) circa
l’idoneità della misura cautelare carceraria, non superabile data l’assenza di elementi tali da far
ritenere l’adeguatezza di misure cautelari meno afflittive.

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ancora una volta facendo ricorso a termini criptici e in quel contesto indicativi della sostanza

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
“Roma, lì

3 APII, zna

Il ricorso deve dunque essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al direttore dell’istituto
penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito all’art. 94 c. 1-ter disp. att. del
c.p.p.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

c.p.p.
Così deciso in Roma, 21 marzo 2018.
Il co gliere estensore

Il presidente

Giusd

Filippo Cast”____

Santa

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1-ter, disp. att.

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