Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16552 del 13/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16552 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DYLE DRITAN nato il 13/01/1981

avverso l’ordinanza del 14/06/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
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Data Udienza: 13/03/2018

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Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza emessa in data 14 giugno 2017 il Tribunale di sorveglianza di
Roma rigettava la domanda, proposta dal condannato Dritan Dyle di ammissione alle
misure dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della
semilibertà, osservando che l’istante è soggetto pericoloso per i precedenti penali e
giudiziari e che le misure richieste non sono idonee a garantirne la rieducazione.
2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato a mezzo del difensore, il quale lamenta inosservanza ed erronea
applicazione della legge e vizio di motivazione. Il Tribunale di sorveglianza, pur avendo

escludendo un giudizio prognostico favorevole sulle sue condotte future per la gravità
del reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti commesso fino ad epoca
recente, per la non pienamente convincente giustificazione, legata alla crisi economica,
fornita dal condannato in ordine alla commissione dei reati ed alla loro protratta
consumazione. Tali argomenti trascurano i criteri interpretativi dettati dalla
giurisprudenza in tema di applicazione delle misure alternative alla detenzione e, pur
avendo dato atto che la pena per il reato associativo è stata già integralmente scontata,
non considera la risalenza nel tempo dei fatti e le favorevoli risultanze delle relazioni
comportamentali e di sintesi, dalle quali emerge non solo un comportamento
intramurario “regolare”, ma anche e soprattutto una rivalutazione critica della
pregressa condotta di vita.
Il Tribunale di sorveglianza ha individuato un terzo elemento ritenuto preclusivo,
consistente nella «circostanza che le condizioni di vita prospettate ora come
risocializzanti, sembrano essere state presenti anche in precedenza, ma evidentemente
non del tutto idonee a contenere le spinte criminogene»; in tal modo ha minimizzato un
elemento positivo di valutazione, ossia il prospettato inizio di un’attività lavorativa,
precedentemente assente.
Infine, la motivazione dell’ordinanza non consente di comprendere perché nessuna delle
misure richieste dal ricorrente sia idonea, la domanda è stata esaminata in modo
generico e congiunto in tutti i suoi contenuti e per tutti i tre istituti, i quali – come
sottolineato nelle premesse del presente ricorso – sono ontologicamente diversi tra loro.
3. Con requisitoria scritta, depositata il 23 febbraio 2018 il Procuratore Generale
presso la Corte di cassazione, dr. Roberto Aniello, ha chiesto l’annullamento
dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento.
1. Nell’escludere i presupposti applicativi delle misure alternative chieste dal
condannato, il provvedimento in verifica ha condotto l’analisi del caso, partendo
correttamente dalla considerazione della natura e della gravità dei fatti accertati e

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dato atto delle positive informazioni acquisite, ha rigettato le richieste del Dyle

reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione, come emergenti dalle sentenze di
condanna, quindi ha espresso al riguardo un giudizio di inadeguatezza delle misure
stesse a prevenire il rischio di recidiva per la pericolosità sociale dell’istante.
1.1 Dalla motivazione del provvedimento emerge che il Tribunale di sorveglianza è
pervenuto alla decisione reiettiva di tutte le tre misure richieste, facendo ricorso ad
alcuni dei criteri di valutazione, dettati dai parametri legali di riferimento, come
interpretati dalla giurisprudenza di legittimità. Pur avendo dato atto che il detenuto,
non tossicodipendente, ha sempre mantenuto condotta regolare durante la detenzione,
ha riconosciuto le proprie responsabilità e può avvalersi del sostegno e dell’aiuto
materiale del fratello, disponibile ad ospitarlo in ipotesi di concessione di misure e ad
offrirgli attività lavorativa, come riscontrato anche dagli accertamenti condotti dalle
forze di polizia, ha negato di poter condurre un giudizio prognostico favorevole per la
gravità del reato associativo, finalizzato al traffico di stupefacenti e commesso in un
protratto periodo sino all’anno 2011, in varie località italiane ed estere, nell’ambito del
quale il ricorrente aveva svolto un ruolo non marginale di intermediario nelle
transazioni dei quantitativi di droga trattati. Ha stimato non convincenti, sia la
giustificazione fornita dal condannato di essersi indotto a violare la legge per difficoltà
economiche legate alla crisi generale perché i reati erano stati commessi in un lungo
arco temporale dal 2001 al 2011, anche antecedente alla congiuntura più recente, sia le
opportunità risocializzanti, perché già presenti anche all’epoca della realizzazione delle
condotte illecite, ma non in grado di contenere le spinte devianti e ha rimarcato come
anche nella relazione degli operatori penitenziari fosse stata segnalata l’opportunità
della sola concessione di permessi premio.
1.2 Per come esposta nel provvedimento impugnato, l’indagine condotta dal
Tribunale di sorveglianza non si è arrestata alla considerazione del titolo dei reati per i
quali il ricorrente ha riportato condanna; tali illeciti sono stati oggetto di una
valutazione specifica quanto alle concrete circostanze di commissione, alla protrazione
della loro consumazione, al ruolo svolto dal detenuto ed alle causali dallo stesso
rassegnate, motivatamente ritenute non convincenti, sia perché non tossicodipendente,
sia perché le difficoltà economiche addotte non potevano giustificare un impegno
criminoso protratto per dieci anni sul fronte degli stupefacenti, ma anche delle armi.
Inoltre, non è mancata nemmeno la valutazione degli esiti dell’osservazione
intramuraria, positivi quanto al riconoscimento delle responsabilità ed ai comportamenti
tenuti in regime detentivo, ma tali da giustificare piuttosto, secondo il principio di
gradualità, l’ammissione alla sperimentazione esterna mediante l’istituto dei permessi
premio, come del resto segnalato anche dagli operatori penitenziari.
1.3 In tal modo il Tribunale di sorveglianza ha espresso una determinazione
discrezionale, ma adeguatamente giustificata, che ha apprezzato la situazione esecutiva
del condannato e tutti gli elementi della fattispecie senza essere incorrere nei vizi
denunciati. Questa Corte ha già affermato che “prima di ammettere il condannato a
misure alternative alla detenzione, il Tribunale di sorveglianza, pure quando sono
emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, può legittimamente rite

2

t

necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti
premiali, al fine di verificare la attitudine del soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni da
imporre con la concessione delle stesse, specie se il reato commesso sia sintomatico di
una non irrilevante capacità a delinquere e della verosimile contiguità con ambienti
delinquenziali di elevato livello (sez. 1, n. 27264 del 14/01/2015, Sicari, rv. 264037).
Il criterio di gradualità nella concessione di benefici penitenziari, pur non costituendo
una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle
esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento
penitenziario e la sua applicazione è particolarmente opportuna quando il reato
commesso sia sintomatico di una non irrilevante capacità a delinquere e della verisimile
contiguità del condannato con ambienti delinquenziali di elevato livello (sez. 1, n. 5689
del 18/11/1998, Foti, rv. 212794).
Per tali considerazioni il ricorso va respinto con la conseguente condanna del
proponente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

•.

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