Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16545 del 13/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16545 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di
OTTINA’ FRANCESCO nato il 01/05/1960 a SEMINARA
avverso l’ordinanza del 13/06/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
lette le conclusioni del PG Mario PINELLI che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 13/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila
ha accolto il reclamo proposto nell’interesse di Francesco OTTINA’, avverso il
provvedimento del Magistrato di sorveglianza dell’Aquila del 20 maggio 2015,
volto a ottenere il rimedio risarcitorio di cui all’articolo 35-ter ord. pen. per il
periodo di detenzione subito in varie carceri dove il medesimo è stato ristretto in

3.859 giorni di detenzione trascorsa in condizioni degradanti e inumane.

2. Ricorre il Ministero della giustizia, a mezzo dell’Avvocatura distrettuale
dello Stato dell’Aquila, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata,
denunciando:
– la violazione del criterio di competenza stabilito dall’articolo 35er, commi
1 e 2, ord. pen., secondo il quale, ferma restando la astratta legittimità della
domanda del rimedio risarcitorio presentata dal condannato in espiazione
dell’ergastolo, l’azione doveva essere proposta innanzi al giudice civile con
riguardo alla competenza di detto giudice derivante dalla impossibilità di
procedere alla decurtazione della pena in forza del criterio di ragguaglio indicato
dalla legge, questa invece rientrante nella competenza della magistratura di
sorveglianza;
– la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta
sussistenza di una lesione risarcibile derivante dall’assenza di privacy dei servizi
igienici annessi alla cella di detenzione presso il carcere di Carinola, nonché per
l’erronea decurtazione della superficie occupata dal mobile sito dallo spazio utile
della cella del carcere di Palmi perché si tratta di un arredo avente funzione di
comodità per il detenuto.

3. Il difensore di Francesco OTTINA’ ha depositato memoria in data 8 marzo
2018 con la quale contesta l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Ministero della giustizia è fondato unicamente con riguardo al
periodo di detenzione in cella singola presso il carcere di Carinola.
1.1. La memoria presentata in data 8/03/2018 nell’interesse di Francesco
OTTINA’ è irricevibile perché tardiva; si tratta, in effetti, di una memoria con la

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espiazione dell’ergastolo, liquidando la somma di euro 30.872 per complessivi

quale si contrasta il ricorso, sicché la stessa doveva essere depositata quindici
giorni prima dell’udienza.

2. La questione di competenza è inammissibile poiché introdotta per la prima
volta nel giudizio di legittimità con il ricorso presentato nell’interesse

delle udienze camerali del procedimento di merito (come attestato nell’ordinanza
impugnata e verificato da questa Corte di legittimità), non ha ritenuto di
parteciparvi, così rinunciando ad eccepire tempestivamente la questione di
competenza.
2.1. In proposito è utile ricordare il costante orientamento di legittimità
secondo il quale nel procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza,
mancando l’udienza preliminare, le eventuali questioni di competenza vanno
proposte, a pena di decadenza, solo in apertura di udienza; ciò in applicazione
della norma di carattere generale dettata dall’art. 21, comma 2, cod. proc. pen.,
secondo cui l’incompetenza per territorio è rilevata o eccepita, a pena di
decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi,
entro il termine previsto dall’art.491,comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 3850
del 26/06/1998, Anzani, Rv. 211452, seguita da: Sez. 1, n. 3781 del
24/05/2000, Bindi, Rv. 216675; Sez. 1, n. 44388 del 14/11/2001, Incalza, Rv.
220472; Sez. 1, n. 40388 del 10/04/2002, Pellegrino, Rv. 222757).

3. Nel merito la questione è, peraltro, infondata poiché in ragione dello stato
di detenzione, al quale secondo la costante giurisprudenza di legittimità deve
essere parificata l’espiazione con una misura alternativa (Sez. 1, n. 47052 del
18/05/2017, Fazio, Rv. 271129) o con una misura cautelare (Sez. 1, n. 35122
del 14/06/2017, Lo Monaco, Rv. 271038), la competenza a conoscere del
rimedio risarcitorio spetta alla magistratura di sorveglianza, allo scopo di
assicurare la facile accessibilità da parte del condannato.
3.1. Sul punto, in ogni caso, deve essere evidenziato il chiaro principio
espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2016 in tema di
accesso alla tutela risarcitoria in favore del condannato alla pena dell’ergastolo.
La Corte Costituzionale ha sostanzialmente adottato una lettura della
disposizione interna – altrimenti incostituzionale anche in riferimento ai contenuti
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dall’amministrazione che, pur avendo ricevuto regolare avviso della fissazione

dell’art. 13 Conv. EDU – tesa al recupero della autonomia funzionale del rimedio
monetario di cui all’art. 35-ter, comma 2, ord. pen..
È certamente utile riportare un significativo passaggio dell’argomentare del
giudice delle leggi: «Il giudice a quo muove dall’idea che, nel testo della
disposizione impugnata, “[I]’uso dell’avverbio “altresì” e l’espressione “residuo

denaro liquidabili dal magistrato di sorveglianza”, sicché il rimedio pecuniario
non sarebbe “approdo consentito al magistrato di sorveglianza “per l’intero” ma
solo per la parte “residua” non coperta da una pena che, per limiti oggettivi, si
riveli “incapiente”. Tuttavia, l’ultimo periodo dell’art. 35-ter, comma 2, della
legge n. 354 del 1975 stabilisce che il risarcimento del danno in forma pecuniaria
spetta anche nel caso in cui non è ammessa la riduzione di pena, perché il
periodo di detenzione trascorso in condizioni disumane è stato inferiore a
quindici giorni, e perciò prevede espressamente la competenza del magistrato di
sorveglianza ad adottare il provvedimento economico, pure in mancanza di
qualsiasi collegamento con un’effettiva riduzione del periodo detentivo. È perciò
direttamente nella lettera della disposizione impugnata che l’interprete rinviene il
criterio logico per risolvere il caso sottoposto all’attenzione del giudice
rimettente. Il legislatore, introducendo il ristoro economico, si è preoccupato di
coordinarlo con il rimedio della riduzione di pena, specificando, per mezzo delle
espressioni letterali ricordate dallo stesso rimettente, quando e come al secondo
subentra il primo. È a questo scopo che il comma 2 dell’art. 35-ter reca
indicazioni linguistiche di mero appoggio al comma 1. Con tali indicazioni la
disposizione ha anche la funzione di stabilire la priorità del rimedio costituito
dalla riduzione di pena. Priorità che non può significare però preclusione nel caso
in cui non ci sia alcuna detrazione da operare. Al di fuori dell’ipotesi del
coordinamento tra i rimedi del primo e quelli del secondo comma dell’art. 35-ter
impugnato resta la piena autonomia del ristoro economico, appunto confermata
dall’ultimo periodo del secondo comma sopra ricordato».
3.2. Dunque in virtù di tale approdo, è del tutto evidente che – in una
interpretazione costituzionalmente orientata – la previsione dell’art. 35-ter,
comma 2, secondo periodo, ord. pen., va letta come l’introduzione di un rimedio
pecuniario alternativo in tutte le ipotesi in cui, in presenza del trattamento non
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periodo” dissolv[a]no ogni dubbio sul ruolo solo “complementare” delle somme di

conforme, non vi sia la possibilità – per il Magistrato di Sorveglianza – di operare
una immediata riduzione di pena.

4. è, invece, fondato il secondo motivo di ricorso nella parte in cui denuncia
l’errata applicazione della legge e il vizio della motivazione con riguardo al

Carinola.
4.1. Il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto condizione di detenzione
inumana e degradante quella in cui si è trovato il detenuto che ha occupato da
solo una cella della superficie di mq. 7,70, con servizi igienici a vista separati da
una tenda plastificata scorrevole, poiché OTTINA è stato costretto a vivere,
dormire e mangiare nello stesso spazio ove era presente il servizio igienico.
4.2. Il provvedimento risulta insufficientemente e illogicamente motivato,
poiché il Tribunale di sorveglianza non ha indicato in cosa sia effettivamente
consistita la condizione inumana, risultando contraddittoriamente affermata la
esistenza di una separazione, seppure mobile, dello spazio dedicato al servizio
igienico, risultando nel complesso garantita, in ragione della riservatezza della
cella singola, la privacy del detenuto.

5. è, di contro, infondato il secondo motivo di ricorso che denuncia la
violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo al periodo di
detenzione presso il carcere di Palmi per essere stata erroneamente sottratta
dallo spazio fruibile la superficie occupata dal mobile.
5.1. Il provvedimento impugnato è, sul punto, del tutto conforme ai principi
enunciati da questa Corte di legittimità con riguardo alla determinazione dello
spazio fruibile.
Il Collegio, che condivide l’orientamento ponderatamente espresso da questa
Corte di legittimità, secondo il quale «ai fini della determinazione dello spazio
individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da
assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del
divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla
conforme giurisprudenza della Corte EDU in data 8 gennaio 2013 nel caso
Torreggiani c. Italia, dalla superficie lorda della cella devono essere detratte
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periodo di detenzione subito in cella singola da OTTINA presso il carcere di

l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente
fisse, tra cui il letto, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili»
(Sez. 1, Sentenza n. 52819 del 09/09/2016, Sciuto, Rv. 268231), non può fare a
meno di notare che, nel caso oggetto del giudizio, il Tribunale di sorveglianza ha
correttamente detratto la superficie del mobile, in quanto arredo fisso, dalla

della violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU.

6. L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al medesimo
Tribunale di sorveglianza limitatamente al periodo di detenzione in cella singola
presso il carcere di Carinola.
Il ricorso è, nel resto, infondato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al periodo di detenzione in cella
singola presso il carcere di Carinola e rinvia per nuovo esame sul punto al
Tribunale di sorveglianza dell’Aquila. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 13 marzo 2018.

Il ,Consi

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Il Presidente
Francesco Maria Silvio Bonito

complessiva superficie utilizzabile per il movimento, con conseguente sussistenza

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