Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16528 del 13/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16528 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI MAIO GIUSEPPE nato il 15/07/1966 a CASTELLAMMARE DI STABIA

avverso la sentenza del 14/02/2017 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ROBERTO
ANIELLO
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore

Data Udienza: 13/03/2018

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza in data 14 febbraio 2017 la Corte di appello di Salerno riformava
parzialmente la sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Salerno il 24 giugno 2015,
che confermava nel resto, e, per l’effetto, dichiarava le già concesse circostanze

all’imputato Giuseppe Di Maio ad un anno di reclusione ed euro 2.200,00 di multa, in
quanto ritenuto responsabile dei delitti di detenzione e porto di arma da guerra per avere
condotto in luogo pubblico all’interno del portabagagli della propria autovettura un fucile
mitragliatore d’assalto mod. AK-47 kalashnikov cal. 7,62 x 39, fatto commesso il 4
maggio 2014 in Salerno.
2.Avverso detta decisione ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del difensore per
chiederne l’annullamento per violazione di legge in relazione all’art. 125 n. 3 cod. proc.
pen. ed all’art. 8 I. nr. 203/91 quanto al rigetto della richiesta di applicazione della
circostanza attenuante speciale di cui al citato art. 8 Legge n. 203 del 91, nonostante
l’entità, la qualità, la complessiva efficacia e gli esiti della intrapresa collaborazione
processuale, indicativa del sincero percorso di ravvedimento compiuto, già apprezzato in
svariate occasioni dall’autorità giudiziaria. Secondo la Suprema Corte la circostanza
attenuante speciale “per la dissociazione” si fonda sul mero presupposto della utilità
obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione di tipo mafioso e non
può essere disconosciuta o minimizzata nella sua incidenza sul calcolo della pena per
ragioni inerenti la gravità del reato o nella capacità di delinquere dell’imputato. L’unico
parametro di riferimento è quello della utilità obiettiva della collaborazione prestata dal
ricorrente, senza mediazioni o temperamenti e la Corte di appello ha già apprezzato
l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni rese perché rispondenti a linearità, logica e
coerenza anche laddove egli ha riferito che l’arma era detenuta per essere consegnata ad
appartenenti a clan camorristici.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivo manifestamente infondato e del
tutto svincolato dalle ragioni della decisione contestata.
1.La sentenza impugnata ha già esaminato e respinto la richiesta difensiva con un
corretto corredo esplicativo, basato sulla carenza dei presupposti applicativi della
circostanza attenuante di cui all’art. 8 L. n. 203/91. Ha giustificato tale assunto in forza di
un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, ha richiamato il prevalente orientamento di

1

attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva contestata e riduceva la pena inflitta

questa Corte, cui si è già uniformata anche la stessa Corte distrettuale, secondo il quale la
mancanza di formale contestazione della circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del
1991, art. 7, convertito, con modificazioni, con L. n. 203 del 1991 – contemplata per i
delitti, punibili con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni
previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare le attività mafiose-, è ostativa
all’applicabilità della speciale attenuante di cui all’art. 8 dello stesso testo normativo,
poiché trattasi di istituto di cui possono beneficiare soltanto coloro che, nei reati di

mafioso, si sia adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori (Cass., sez. 6, n. 31874 del 09/05/2017, Ferrante e altri, rv. 270589; sez. 3, n.
8353 del 23/09/2014, Trimarco, rv. 262513; sez. 2, n. 23121 del 29/04/2009, Nemoianni
e altri, rv. 245180).
Ha quindi ulteriormente osservato che sul piano della concreta manifestazione delle
condotte criminose poste in essere le stesse non erano connotate da finalità mafiosa
perché l’imputato aveva agito per dare prova tangibile della propria collaborazione con la
giustizia dal momento che, in un eccesso di zelo, si era indotto a condurre in luogo
pubblico con la propria autovettura l’arma detenuta per farla recuperare dalle forze
dell’ordine, quindi aveva agito perseguendo uno scopo antitetico a quello di avvantaggiare
organizzazione di stampo mafioso. Pertanto, nella valutazione espressa dalla Corte
distrettuale, alla constatazione della mancata formale contestazione della circostanza
aggravante di cui all’art. 7 I. 203/91, ha fatto seguito il riscontro della sua insussistenza
sul piano fattuale.
In tal modo ha correttamente considerato, sia il dato letterale della norma costituente
il parametro di riferimento, che, nel correlare strettamente l’elemento circostanziale
all’imputazione associativa mafiosa o ai delitti aggravati dal metodo o dall’agevolazione
mafiosi, e nel contemplare i reati come “commessi” con formula espressiva rivolta al
passato, pretende che la contestazione “presupposto” elevata nell’accusa, trovi effettivo
riscontro nella realizzazione della fattispecie, sia la dimensione finalistica della
disposizione di legge. Questa, infatti, per incentivare il fenomeno dissociativo e la
disgregazione di strutture delinquenziali organizzate, prevede quale condizione
applicativa che il soggetto presti un contributo decisivo per la ricostruzione dei fatti e per
l’individuazione e la cattura dei colpevoli, “dissociandosi dagli altri”: tanto autorizza a
ritenere che siano stati ritenuti provati l’adesione del dissociato alla consorteria o,
quantomeno, la metodologia e/o le finalità che connotano tale manifestazione di attività
criminosa organizzata, non essendo ipotizzabile una presa di distanza da una formazione
o da una circostanza modale o finalistica, che non siano state accertate come realmente
sussistenti dai giudici di merito.

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criminalità organizzata o commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo

Inoltre, anche la disamina condotta sul piano sistematico rivela che il comma
secondo dell’art. 8 esclude in via automatica l’applicabilità della circostanza aggravante
dell’art. 7 in caso di concessione della citata attenuante, il che avvalora la tesi che postula
la interdipendenza dei due elementi circostanziali di segno opposto.
Infine, non è di poco momento rilevare che il sistema processuale riconosce al
giudice la possibilità di assegnare positivo rilievo e riconoscere in termini concreti per la
posizione dell’imputato l’apporto conoscitivo fornito da chi abbia collaborato con la

attenuanti generiche, come del resto avvenuto nel caso specifico.
2. Per contro, il ricorso si limita ad illustrare l’importanza e l’attendibilità del
contributo conoscitivo offerto dal ricorrente, il vaglio positivo di attendibilità, le
motivazioni che l’hanno ispirato, ossia tutte circostanze di fatto che non investono e non
incriminano la “ratio decidendi” della pronuncia impugnata, perché non affrontano
dialetticamente il tema dei presupposti normativi per fare applicare della circostanza
attenuante invocata. In tal modo l’impugnazione risulta avulsa dalla motivazione del
provvedimento che censura e non può che essere dichiarata inammissibile con la
conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione
dei profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al versamento
di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in
euro 2.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

giustizia mediante la determinazione della pena e l’applicazione delle circostanze

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