Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16516 del 19/04/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16516 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Nuccio Fortunato Secondo, nato a Messina il 09/03/1987

avverso la sentenza del 01/04/2016 della Corte di appello di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Antonio Mura, che conclude chiedendo dichiararsi inammissibile

il

ricorso;
udito per il ricorrente il difensore avv. Daniela Chillè, che conclude chiedendo
l’accoglimento dei motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 dicembre 2015 il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Messina, all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato Nuccio
Fortunato Secondo colpevole del reato di tentato omicidio in danno di Calabrò
Maurizio, che aveva colpito con due coltellate al torace, all’altezza del cuore,

Data Udienza: 19/04/2017

cagionandogli lesioni, consistite in «emo-pneumotorace sinistro con ferita
penetrante da taglio e punta», in relazione alle quali era stata formulata prognosi
riservata (capo A), e del reato di porto fuori dalla propria abitazione di un coltello
a scatto con lama lunga dieci centimetri (capo B), e lo ha condannato,
riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen. e ritenuta la
continuazione tra i reati, alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, già
ridotta per il rito, oltre al risarcimento del danno alla salute in favore della

2. La Corte di appello di Messina con sentenza in data 1 aprile 2016, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, che ha confermato nel resto, ha
rideterminato la pena in anni tre e mesi quattro di reclusione, ritenuta fondata la
doglianza difensiva attinente alla contestata mancata riduzione della pena di un
terzo per la scelta del rito.

3. Il fatto, commesso in data 4 luglio 2015 in Messina, aveva fatto seguito a
un diverbio intercorso all’interno di un salone da barbiere tra l’imputato e la
persona offesa, colpita quando, dopo essere uscita dal detto locale, si accingeva
a farvi rientro.
La ricostruzione del fatto, come operata sulla scorta delle emergenze delle
riprese del sistema di videosorveglianza e degli accertamenti medici, non era
stata contestata dall’imputato, che, ammesso il fatto, aveva consegnato
spontaneamente il coltello a scatto agli investigatori.
3.1. Il Giudice dell’udienza preliminare, ritenuta corretta la qualificazione del
fatto in termini di tentato omicidio ed esclusa la possibilità di configurare la
legittima difesa anche nella forma dell’eccesso colposo, nella ritenuta
insussistenza di un effettivo stato di pericolo per l’imputato essendo la persona
offesa, al momento dell’accoltellamento, sola e disarmata, riconosceva la chiesta
attenuante dello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, valorizzando
la circostanza, rilevata dalle videoriprese e confermata dal titolare e dagli
avventori del locale, che la persona offesa aveva insultato e provocato l’imputato
minacciandolo.
3.2. La qualificazione del fatto, contestata dall’imputato per l’opposta
insussistenza della volontà omicida, era confermata dalla Corte di appello, che,
richiamati i pertinenti principi di diritto, riteneva a essi rispondenti le obiettive
emergenze processuali relative alla gravità della lesione inferta, alla sede
corporea attinta e alla idoneità dell’arma impiegata e, sulla base delle stesse,
ampiamente dimostrato l’animus necandi.

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costituita parte civile, determinato in via equitativa in euro cinquemila.

La pena -fissata quella base nel minimo edittale di anni sette di reclusione
per il tentato omicidio secondo quanto deciso in primo grado, ridotta di un terzo
per la riconosciuta attenuante fino ad anni quattro e mesi otto di reclusione,
aumentata ad anni cinque di reclusione per la continuazione- era considerata
congrua in relazione ai canoni di cui all’art. 133 cod. pen. e andava ridotta di un
terzo per la scelta di rito.

4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione,

l’annullamento sulla base di quattro motivi, denunciando:
– con il primo motivo, violazione di legge e mancanza di motivazione in
relazione all’art. 132 cod. pen. per essere stato deciso per la prima volta dalla
Corte di appello l’ammontare dell’aumento per la riconosciuta continuazione, a
fronte della dedotta omessa specificazione dello stesso da parte del primo
Giudice;
– con il secondo motivo, erronea applicazione degli artt. 56 e 575 cod. pen.,
illogicità e contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova quanto
alla confermata qualificazione del fatto sub A come tentato omicidio, avuto
riguardo alla piccola ferita inferta e alla sua minima profondità lesiva, senza
interessare la pleura e mettere in pericolo di vita la persona offesa; alla minima
forza esercitata nella penetrazione del coltello nello spazio intercostale attinto;
alla unicità del colpo; alla omessa spiegazione del ritenuto ostacolo, indipendente
dalla sua volontà, alla realizzazione dell’evento, e all’azione, invece controllata,
posta in essere;
– con il terzo motivo, insufficienza della motivazione in ordine al diniego
delle attenuanti generiche, essendosi omesso di apprezzare il suo stato di
incensuratezza, la sua vita anteatta e il suo comportamento successivo al reato;
– con il quarto motivo, violazione di legge in relazione al combinato disposto
degli artt. 538, comma 2, e 539, comma 1, cod. proc. pen., travisamento della
prova e carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione per essere stata
fondata la decisione su un dato inesistente, rappresentato dal pericolo di vita in
cui si sarebbe trovata la persona offesa, contraddittoriamente riconoscendo la
breve durata della malattia e trascurando di considerare la mancanza di prove
per la quantificazione del danno.

5. In data 7 aprile 2017 sono pervenuti a mezzo fax motivi aggiunti, con i
quali il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla
sussistenza dell’elemento psicologico del reato di tentato omicidio e di idoneità
degli atti, rappresentando che la Corte di appello non ha spiegato le ragioni per

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per mezzo del suo difensore avvocato Daniela Chillè, l’imputato che ne chiede

le quali egli non ha utilizzato l’arma in tutta la sua potenzialità e ha limitato la
forza esercitata, omettendo di tenere conto delle emergenze della consulenza
tecnica di ufficio circa l’entrata della lama nello spazio intercostale per uno
spessore di tredici millimetri interessando la cute per sette e, quindi, della non
profondità della ferita, della minima offensività lesiva del colpo e dell’assenza di
un pericolo di vita per la persona offesa.

1. Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate
ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con
ogni conseguenza di legge.

2. Il primo motivo è del tutto infondato.
2.1. Questa Corte ha, invero, costantemente affermato che il giudice di
appello non può mai annullare la decisione del giudice di primo grado nel caso in
cui riscontri un difetto, anche assoluto, di motivazione, essendo -di controtenuto a integrare il compendio argomentativo a sostegno della decisione con i
propri poteri di piena cognizione e delibazione del fatto (Sez. U, n. 3287 del
27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118; tra le successive, Sez. 6, n. 26075 del
08/06/2011, B., Rv. 250513; Sez. 5, n. 19051 del 19/02/2010, Dicandia,
Rv. 247252).
Inequivoca in tale senso è ritenuta la disciplina del giudizio di appello, che è
un giudizio di secondo grado di merito con effetto pienamente devolutivo sia
pure nei limiti segnati dall’atto di appello, prevedendo l’art. 604 cod. proc. pen. i
casi tassativi nei quali il giudice di appello può dichiarare la nullità, in tutto o in
parte, della sentenza appellata con trasmissione degli atti al giudice di primo
grado, e stabilendo espressamente il successivo art. 605 stesso codice che, al di
fuori dei casi previsti dalla norma precedente, «il giudice di appello pronuncia
sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata»
2.2. Nella specie, la Corte, esplicitata, come era nei suoi poteri, la
quantificazione mancante dell’aumento, a titolo di continuazione per il reato di
cui al capo B, della pena base (già determinata in primo grado nel minimo
edittale con la massima riduzione per la ritenuta attenuante), ha correttamente
calcolato la riduzione di un terzo per la scelta del rito, la cui mancanza era stata
denunciata dall’appellante.

3. Prive di alcun pregio sono le doglianze sviluppate con il secondo motivo,
attinenti, nel contesto della dedotta nullità della sentenza per violazione di legge

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CONSIDERATO IN DIRITTO

e vizio di motivazione, alla contestata qualificazione giuridica del fatto ascritto in
termini di tentato omicidio.
3.1. Si rileva in diritto che, per aversi il reato tentato, l’art. 56 cod. pen.
richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a
commettere un reato. È, quindi, elemento strutturale oggettivo del tentativo,
insieme alla direzione non equivoca degli atti, l’idoneità degli stessi, dovendosi
intendere per tali quelli dotati di una effettiva e concreta potenzialità lesiva per il
bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, alla luce di una valutazione

così come presentatasi al colpevole al momento dell’azione in base alle
condizioni umanamente prevedibili del caso particolare, che non può essere
condizionata dagli effetti realmente raggiunti (tra le altre, Sez. 1, n. 3185 del
10/02/2000, Stabile, Rv. 215511; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo,
Rv. 241339; Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991;
Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014, Guglielmino, Rv. 260855), e, quindi, tenendosi
conto con giudizio ex ante, nella prospettiva del bene protetto, delle circostanze
in cui ha operato l’agente e delle modalità dell’azione (tra le altre, Sez. 6, n.
27323 del 20/05/2008, P., Rv. 240736; Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, Basco,
Rv. 247197; Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305).
3.1.1. La giurisprudenza di legittimità ha anche ripetutamente sottolineato
che, al fine della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, invece che quale
lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento
psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, richiedendosi
nel primo un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di
quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore,
riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee
alla volontà dell’agente (tra le altre, Sez. 1, n. 35174 del 23/06/2009, M., Rv.
245204; Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, Rv. 248550;
Sez. 1, n. 51056 del 27/11/2013, Tripodi, Rv. 257881).
3.1.2. Con riferimento particolare all’elemento psicologico del dolo, riguardo
al reato di tentato omicidio, è costante l’orientamento alla cui stregua la figura di
reato prevista dall’art. 56 cod. pen., che ha come suo presupposto il compimento
di atti finalizzati («diretti in modo non equivoco») alla commissione di un delitto,
non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si
prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta
considerazione dall’agente, che accetta il rischio del suo verificarsi (c.d. dolo
eventuale) (tra le altre, Sez. 1, n. 25114 del 31/03/2010, Visnnara, Rv. 247707;
Sez. 6, n. 14342 del 20/03/2012, R., Rv. 252565), ricomprendendo invece gli
atti rispetto ai quali l’evento specificamente richiesto per la realizzazione della

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prognostica compiuta ex post (e quindi postuma), con riferimento alla situazione

fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della
direzione della condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole, con scelta
sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili
alla sua condotta cosciente e volontaria (c.d. dolo diretto alternativo), o
specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o
perseguito come scopo finale (c.d. dolo diretto intenzionale) (tra le altre, Sez. U,
n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804; Sez. 1, n. 10431 del
30/10/1997, Angelini, Rv. 208932; Sez. 1, n. 27620 del 24/05/2007, Mastrovito,

del 25/02/2009, D’Alessandro, Rv. 243487; Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013,
dep. 2014, Nardelli, Rv. 259465).
La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato,
deve essere, in particolare, desunta attraverso un procedimento inferenziale,
analogo a quello utilizzabile nel procedimento indiziario, da fatti esterni o certi,
aventi un sicuro valore sintomatico, e in particolare da quei dati della condotta
che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a
esprimere il fine perseguito dall’agente secondo

id quod plerumque accidit,

quali esemplificativamente il comportamento antecedente e susseguente al
reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte e la
reiterazione dei colpi (tra le altre, Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, citata; Sez.
1, n. 37516 del 22/09/2010, citata; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, Milettaro,
Rv. 251014; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisi, Rv. 257208).
3.2. La Corte di merito, in coerenza con tali condivisi principi, ha dato
esaustivo conto delle ragioni giustificative della conferma delle valutazioni svolte
dal Giudice di primo grado, che aveva già posto in debito risalto i dati probatori
acquisiti e ritenuto dimostrata l’imputazione ascritta e pertinente la qualificazione
giuridica del fatto.
Facendo richiami non incongrui ai dati fattuali esaminati, tratti dalla svolta
ricostruzione della vicenda e dalla ripercorsa analisi delle modalità della condotta
dell’imputato, in particolare la Corte di appello, con ragionevole apprezzamento
ex ante, ha ritenuto dimostrativa della sussistenza del tentato omicidio e della
responsabilità dell’imputato, in continuità argomentativa con l’analisi già svolta,
la idoneità dell’arma impiegata (un coltello a scatto con lama della lunghezza di
dieci centimetri), la sede corporea attinta (il torace all’altezza del cuore), la ferita
provocata (di profondità sufficiente a determinare, pur essendo di sette
millimetri di larghezza, un emo-pneumotorace), la gravità della lesione inferta
(essendo derivata dalla indicata ferita una ipertensione endo-pleurica
ingravescente, che poteva causare gravi complicanze cardio-respiratorie e che
aveva giustificato la riserva della prognosi per il rilevato pericolo di vita).

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Rv. 237022; Sez. 1, n. 12594 del 29/01/2008, Li, Rv. 240275; Sez. 1, n. 11521

La Corte, valorizzando dette emergenze processuali, ha anche rimarcato che
il compendio istruttorio confermava la sussistenza, sul piano soggettivo,
dell’animus necandi, ragionevolmente ritenuto esteriorizzato e rappresentato, sì
come premesso in diritto con riferimento alla categoria concettuale del dolo
diretto ovvero alternativo, oltre che dalla già indicata potenzialità offensiva
dell’arma e dalla regione corporea attinta, dallo slancio con cui l’imputato si era
scagliato contro la vittima.
Né la Corte ha prescisso dal rilevare che nessuna delle obiettive emergenze

prefigurare una volontà solo lesiva, come opposto in chiave difensiva.
3.3. Tali valutazioni, esenti da vizi giuridici e coerenti nella impostazione e
nello sviluppo logico, resistono alle doglianze dedotte con il ricorso.
Il ricorrente, infatti, mentre del tutto infondatamente si duole della incorsa
violazione della normativa di riferimento e genericamente censura la operata
riconduzione del fatto nella fattispecie del tentato omicidio, oppone -sotto
l’aspetto della contestazione della congruenza logica della decisione e della
completezza della valutazione delle risultanze probatorie- obiezioni e
osservazioni, che -in sovrapposizione argomentativa rispetto ai passaggi motivi
della sentenza, senza correlazione specifica e critica con le risposte ricevute ad
analoghe deduzioni già sostenute e discusse in sede di merito, e con riferimenti,
privi di autosufficienza e di decisività ai fini del decidere, a stralci di atti
processuali- si risolvono in sostanziali rilievi sul significato e sulla interpretazione
di elementi di fatto posti a fondamento del discorso giustificativo della decisione
quanto alla ricostruzione degli elementi, oggettivo e soggettivo, del tentato
omicidio, reclamandone una rivisitazione con l’adozione di alternativi parametri
di ricostruzione e valutazione nel merito, non consentita ai sensi dell’art. 606,
comma 3, cod. proc. pen.

4. Manifestamente infondato, e pertanto del pari inammissibile, è il terzo
motivo con il quale il ricorrente si duole del confermato diniego delle attenuanti
generiche.
Contrariamente ai rilievi difensivi, invero, la sentenza ha rappresentato -in
risposta alle osservazioni difensive, e con motivazione congrua, immune da
illogicità di sorta e sicuramente contenuta entro i confini della plausibile
opinabilità di apprezzamento- che ostava alla concessione delle ridette attenuanti
il peculiare atteggiamento psicologico dell’imputato, che, astenendosi
dall’informare la Polizia del comportamento avverso tenuto nei confronti suoi e
della compagna dal Calabrò, aveva preferito girare con un coltello reagendo poi,
con il suo utilizzo, a fronte di un’attesa provocazione.

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processuali consentiva una ricostruzione alternativa dei fatti nel senso di

5. Né supera la soglia dell’ammissibilità il quarto motivo, poiché, a fronte
delle congruenti valutazioni espresse in sentenza, ai fini dell’apprezzamento
equitativo del danno subito dalla parte civile, seguendo il condiviso processo
logico adottato in primo grado, è richiesto un sostanziale riesame di merito,
precluso in sede di controllo di legittimità sul discorso giustificativo della
decisione.

585, comma 4, seconda parte, cod. proc. pen.
Il rilievo assorbe la considerazione dei concorrenti profili di inammissibilità
dei detti motivi, perché tardivi per inosservanza del termine di quindici giorni
liberi prima della odierna udienza e non presentati nella cancelleria di questa
Corte, ma comunicati irritualmente a mezzo fax, e quindi con modalità non
consentita dalla legge nella speciale materia delle impugnazioni, soggetta al
principio della tassatività e della inderogabilità delle forme stabilite dalla legge,
essendo la inosservanza dei requisiti sanzionata a pena di inammissibilità (tra le
altre, Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258319; Sez. 1, n. 16356 del
20/03/2015, Piras, Rv. 263321).

7. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della
somma, ritenuta congrua, di millecinquecento euro alla cassa delle ammende, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla
cassa delle ammende.
Così deciso il 19/04/2017

Il Consigliere estensore

Il Presidente
Antonella Patrizia Mazzei
C)1

Angela Tardio
O

6. La inammissibilità del ricorso si estende ai motivi nuovi ai sensi dell’art.

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