Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16507 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16507 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BORTONE CESARIO N. IL 07/03/1994
avverso la sentenza n. 9589/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
02/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 2/2/2015 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza
del GUP presso il Tribunale di Napoli Nord che all’esito di giudizio abbreviato aveva
condannato BORTONE CESARIO alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 3.500 di
multa, così ridotta per il rito, ricondotto il fatto contestato al reato di cui agli artt. 73, comma
5, D.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alla detenzione ai fini di spaccio di sostanza

La Corte distrettuale confermava il giudizio di

colpevolezza dell’imputato, il diniego della

concessione delle attenuanti generiche e la congruità della pena comminata dal Giudice di
primo grado.
Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione l’ imputato, personalmente,
chiedendone l’annullamento per vizio motivazionale, essendosi la Corte territoriale limitata a
richiamare per relationem le ragioni della decisione del Tribunale sia in punto di responsabilità
penale, senza autonoma analisi del materiale probatorio, ed in punto di trattamento
sanzionatorio, atteso che la pena base si discosta sensibilmente dal minimo edittale.
Il motivi di ricorso risultano fondati su censure aspecifiche, che ripropongono alquanto
genericamente tematiche già affrontate e risolte dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi
con la motivazione sintetica, ma congrua, della Corte territoriale, che appare conforme ai
principi interpretativi propri della giurisprudenza di legittimità.
Ammissibile e pertinente appare il richiamo operato alla sentenza di primo grado e sul punto
va ricordato che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme
affermazione di responsabilità – e tal è la sentenza impugnata quanto ai capi non riformati deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d’appello per
relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la
decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di
quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima
giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non
specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia,

stupefacente del tipo hashish (gr. 6,67 + gr. 11,16).

Rv. 256096; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 12/4/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n.
1309 del 22/11/1993, dep. 4/2/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto, inoltre, a compiere
un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente
tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro
valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento,
dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; in tal caso debbono considerarsi
implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,

Muià ed altri, Rv.254107).
La Corte territoriale ha giustificato la affermazione di responsabilità dell’imputato evidenziando
una pluralità di elementi idonei ad escludere la destinazione all’uso personale della sostanza
stupefacente.
La “fonte confidenziale” era stata soltanto la base di partenza delle indagini in quanto le
osservazioni degli operanti di P.G. avevano appieno confermato la esistenza di una attività di
spaccio espletata nella propria abitazione dal BORTONE, a quel tempo agli arresti domiciliari,
che quest’ultimo aveva finito per ammettere, quantomeno con riguardo alla cessione della
droga, sia pure a titolo gratuito, al minore CIMMINO EDUARDO, le cui dichiarazioni erano
apparse attendibili e coerenti con il quadro indiziario a carico dell’imputato, attività illecita
confermata dalle stesse modalità di occultamento della sostanza stupefacente caduta in
sequestro.
In buona sostanza, la versione difensiva fornita dal BORTONE in sede di convalida non è stata
ritenuta credibile proprio sulla base di una valutazione complessiva degli elementi indiziari con
motivazione esaustiva e del tutto logica, non sindacabile in questa sede.
Quanto al trattamento sanzionatorio, esclusa la possibilità di una mitigazione mediante il
riconoscimento delle attenuanti generiche, in assenza di elementi positivamente valutabili al
riguardo, la Corte territoriale ha confermato la pena inflitta dal Giudice di primo grado
sottolineando che “la commissione del fatto per cui si procede durante l’esecuzione della
misura custodiale, è elemento di per sé sufficiente ad escludere l’invocato beneficio ex art. 62
bis c.p., siccome sostanziale e bastevole riferimento ai parametri di cui all’art. 133 co. 2 c.p.”,
non essendo neppure l’imputato propriamente soggetto incensurato, “avendo fruito del
perdono giudiziale per i reati di rapina e lesioni” ed essendo anche “gravato da un precedente
giudiziario per tentata estorsione”.
Trattasi di motivazione del tutto sufficiente atteso che, come più volte affermato da questa
Corte, il diniego delle attenuanti generiche è pienamente giustificato dal rilievo decisivo dato
ad uno degli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti (Sez. 3,
n. 28535 del 19/3/2014, Rv. 259899) e che la determinazione della pena tra il minimo ed il
massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei
casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel

siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012,

caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei
quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c. p. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 – dep.
17/05/2013, Rv. 256197).
Ne discende l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di
impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

P. Q. M.

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