Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16505 del 28/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16505 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: GIANESINI MAURIZIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PERACCHIONE IVO nato il 01/06/1962 a LANZO TORINESE
GRAGLIA CLAUDIO ANDREA nato il 30/09/1965 a FOSSANO

avverso la sentenza del 15/11/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAURIZIO GIANESINI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIANLUIGI
PRATO LA
che ha concluso per

1111~Ct-

l’inammissibilita del ricorso.

Udito il difensore .
L’avvocato MIRATE ALDO del foro di ASTI in difesa di PERACCHIONE IVO e
GRAGLIA CLAUDIO ANDREA conclude per l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata.

Data Udienza: 28/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Il Difensore di Ivo PERACCHIONE e di Claudio GRAGLIA ha proposto
ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di
TORINO, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto gli
imputati dal reato di cui al capo 1 (art. 440 Cod. pen.) limitatamente ai bovini

dichiarato non doversi procedere in riferimento al reato di cui al capo 3 (artt. 319
e 321 cod. pen.) 9i limitatamente ai fatti commessi fino al 14 marzo 2009, perché
estinto per prescrizione e, qualificati i residui fatti di cui al capo 1 come
violazione dell’art. 5 lett. a e g della legge 283/1962, ha rideterminato la pena in
due anni e due mesi di reclusione per il PERACCHIONE e in sei mesi di arresto
per il GRAGLIA.
2. I ricorrenti hanno dedotto cinque motivi di ricorso, per violazione di legge
e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo, il PERACCHIONE ha lamentato che la Corte avesse
motivato in modo incerto e contraddittorio con riferimento ai reati di falso
indicati nella imputazione ai capi 4 e 5 , attribuiti al ricorrente a titolo di concorso
nel reato commesso dal RABBIA che in realtà si era risolto autonomamente e
senza alcun precedente accordo a non inviare il campione all’ Istituto
Zooprofilattico e poi a distruggerlo ovvero ad indirizzare al Sindaco di Busca la
richiesta di revoca del sequestro amministrativo mentre l’invito rivolto dal
ricorrente con la frase “vedi cosa puoi fare” non era certo tale da concretare una
istigazione e quindi un atto di concorso, tanto più che il PERRACCHIONE non
aveva alcuna idea o preventiva rappresentazione di quello che il RABBIA avrebbe
poi materialmente fatto.
2.2 Con il secondo motivo, entrambi i ricorrenti hanno lamentato che, dopo
la derubricazione del reato di cui all’art. 440 cod. pen. in quello di cui all’art. 5 I.
283/1962, la Corte non avesse rilevato che la contravvenzione era prescritta
essendo trascorso il termine di quinquennale al quale andavano aggiunti 60
giorni ex art. 159, comma 1 n. 3 cod. pen., tanto più, poi, che la Corte aveva
considerato come data consumativa del reato quella dei trattamenti illeciti che si
collocavano in realtà in epoca ben antecedente a quella del relativo
accertamento.

1

diversi da quelli elencati nella imputazione perché il fatto non sussiste, ha

2.3 Con il terzo motivo, riferirVento al solo PERRACCHIONE, il ricorrente ha
lamentato che a seguito della derubricazione del reato di cui all’art. 440 cod.
pen. in quello di cui all’art. 5 legge 283/62, la Corte avrebbe dovuto eliminare la
pena accessoria della interdizione per sette anni dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese e dall’esercizio della attività di allevatore, tanto più che
l’art. 19 cod. pen. prevede che le pene accessorie possano conseguire solo alla
commissione di delitti e non di contravvenzioni.
2.4 Con il quarto motivo, riferito ad entrambi gli imputati, i ricorrenti hanno

pen. sopra ricordata, non fosse stata esclusa la pena accessoria della
pubblicazione della sentenza di condanna su un quotidiano “a larga diffusione”,
dato che le sostanze rinvenute erano state riconosciute in concreto come non
pericolose per la salute pubblica.
2.5 Con il quinto motivo, il solo PERRACCHIONE ha censurato le
argomentazioni con le quali era stata confermata la confisca ex art. 322 ter cod.
pen., quale profitto del reato di cui all’art. 321 cod. pen., della somma di
468.698.76 euro senza considerare, per un verso, che il ricorrente aveva dovuto
sopportare dei costi per l’acquisto e l’alimentazione dei bovini e, per l’altro, che
parte del prezzo della attività corruttiva era stato versato al RABBIA e
sequestrato in capo allo stesso, somme tutte quindi che andavano defalcate dalla
entità di quanto confiscato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di Ivo PERACCHIONE è fondato nei limiti di cui sotto si dirà, e
inammissibile per gli altri profili; il ricorso di Claudio Andrea GRAGLIA è
inammissibile in quanto fondato su motivi manifestamente infondati e il
ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di
duemila euro in favore della cassa delle ammende.
2. Il primo motivo di ricorso, riferito al solo Peracchione, è inammissibile in
quanto proposto per motivi manifestamente infondati.
2.1 Va ricordato, in fatto, che il Peracchione è accusato di concorso c.d.
morale nei reati di falso addebitati all’autore materiale dei fatti, Giancarlo
RABBIA, ai capi 4 e 5 della imputazione tramite una condotta di istigazione o di
determinazione costituita sostanzialmente dall’invito rivolto dal primo al secondo
2

lamentato che a seguito della derubricazione del reato di cui all’art. 440 cod.

di “fare qualcosa”; la Corte si è fatta carico di collocare l’invito di cui sopra, di
per sé non fattualmente contestato dal ricorrente, nel contesto specifico
all’interno del quale lo stesso si collocava e cioè in quello dell’avvenuto prelievo
di campioni presso la stalla di un terzo che il ricorrente aveva fondato motivo di
ritenere positivi per la presenza di sostanze non consentite e ha poi osservato
che la sollecitazione di cui si dice era stata rivolta a persona non solo
particolarmente esperta nelle procedure di controllo degli animali ma anche
materialmente in grado, per il ruolo ricoperto, di dare corso effettivamente alla

e 5.
2.2 La motivazione della sentenza impugnata, quindi, ha dato
compiutamente atto della esistenza di un contributo causale non solo
materialmente efficiente rispetto all’evento ma anche cosciente e volontario,
quantomeno sotto il profilo del dolo eventuale, dato che l’istigatore Peracchione
era pienamente in grado di rappresentarsi, proprio per il contesto complessivo
all’interno del quale l’invito era stato rivolto e per la qualifica professionale ed
operativa della persona che lo aveva ricevuto, che quest’ultima avrebbe esaudito
la richiesta dando concreta attuazione, mediante i falsi di cui si è detto, alla
richiesta, appunto, di “fare qualcosa”.
3. Il secondo motivo di ricorso, comune ad entrambi, è inammissibile in
quanto proposto per motivi manifestamente infondati, con la riserva però, per il
solo Peracchione, di quanto si dirà più oltre trattando del terzo motivo di ricorso.
3.1 La Corte di Appello ha negato che la contravvenzione di cui all’art. 5 I.
283/1962 (nella quale era stato contestualmente derubricato il reato di cui
all’art. 440 cod. pen. contestato al capo A) fosse prescritta alla data della
pronuncia della sentenza di appello, e cioè al 15 novembre 2016, sulla base della
osservazione che la detenzione degli animali illecitamente trattati con sostanze
non consentite perdurava al momento in cui erano stati effettuati i prelievi di
pelo e cioè il 15 novembre 2011, il 14 dicembre 2011 e nel gennaio 2012, così
che il termine prescrizionale “allungato” di cinque anni dalla data della
consumazione del reato, individuata appunto in quella dell’accertamento dell’uso
delle sostanze illecite, aumentato di sessanta giorno in ragione di una
sospensione per legittimo impedimento dei difensori, andava in realtà a scadere
dal gennaio ai marzo del 2017.
3.2 I ricorrenti hanno censurato la decisione della Corte osservando che il
momento consumativo del reato andava in realtà collocato in epoca anteriore ai
prelievi di cui si è detto, posto che le sostanze non consentite erano sicuramente
3

richiesta stessa con le condotte falsificatorie e soppressorie di cui ai citati capi 4

state somministrate prima degli accertamenti sui bovini di cui si è detto ma
l’osservazione trascura di considerare che l’originario delitto di cui all’art. 440
cod. pen. (quello poi derubricato nella contravvenzione in questione) punisce la
adulterazione di sostanze alimentari (quindi le carni dei bovini illecitamente
trattati) e che la contravvenzione di cui all’art. 5 lett. a e g , ritenuta sussistente
dalla Corte, punisce a sua volta la detenzione di sostanze alimentari private
anche in parte di elementi nutritivi e con aggiunta di additivi chimici non
autorizzati , facendo quindi anche in questo caso chiaro riferimento alle sostanze

Se così stanno le cose, va allora affermato che la contravvenzione di cui
all’art. 5 lett. a e g Legge 283/1962 resta consumata non nel momento in cui le
sostanze vietate sono state materialmente somministrate o aggiunte alle
sostanze alimentari (nel caso in esame ai bovini indicati nella motivazione) ma in
quello, potenzialmente successivo, in cui è stato effettuato l’accertamento della
esistenza di sostanze alimentari (e cioè sempre la carne dei bovini di cui si è
detto) adulterate con la precedente somministrazione di sostanze non
consentite, esistenza che, nel caso in esame, è stata accertata appunto con il
prelievo dei peli di cui si è detto.
4. Il terzo motivo di ricorso, proprio del solo Peracchione, è fondato.
4.1 La Corte di Appello, nella motivazione della sentenza, ha espressamente
eliminato, in diretta dipendenza della derubricazione del reato di cui al capo A di
cui si è diffusamente trattato più sopra, le pene accessorie della interdizione per
cinque anni dai pubblici uffici e della interdizione per sette anni dagli uffici
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e dall’esercizio della attività di
allevatore, applicate tutte al solo Peracchione con la sentenza di primo grado; di
questa eliminazione, però, non c’è alcuna traccia nel dispositivo della sentenza di
appello, che si limita a dare atto della derubricazione a ridurre
conseguentemente la pena al Peracchione e a “confermare nel resto” la sentenza
di primo grado.
4.2

La necessaria prevalenza del contenuto precettivo del dispositivo

rispetto a quello argomentativo della motivazione (da ultimo, ma espressiva di
un orientamento uniforme, si veda Cass. Sez. 5 del 18/2/2009 n. 17696,
Martucci, Rv 243615) impone quindi, in accoglimento del relativo motivo di
ricorso del Peracchione, la rettificazione ex art. 619 cod. proc. pen. del
dispositivo della sentenza impugnata con la menzione nello stesso della espressa
revoca delle pene accessorie di cui sopra si è detto; la fondatezza del ricorso del
Peracchione su punto specifico in discussione comporta l’annullamento senza
4

alimentari e quindi ancora alle carni dei bovini illecitamente trattati.

rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla contravvenzione di cui all’art.
5 I. 283/92, nel frattempo effettivamente prescrittasi, come si è detto più sopra,
nel gennaio – marzo del 2017.
5. Il quarto motivo di ricorso, comune ad entrambi, è inammissibile in
quanto proposto per motivi manifestamente infondati.
5.1 La Corte, anche dopo a derubricazione del delitto di cui all’art. 440 cod.
pen. di cui si è ampiamente trattato nelle pagine che precedono, ha

dispositivo, la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna ex
art. 36 cod. pen., che è in effetti comune sia ai delitti che alle contravvenzioni,
come chiaramente indicato nell’art. 19, terzo comma cod. pen. e che consegue di
diritto alla condanna come effetto penale della stessa secondo quanto disposto
dall’art. 20 dello stesso codice.
5.2 Nella prospettiva argomentativa sopra svolta, allora, non ha alcun rilievo
il fatto, posto in evidenza con il motivo di ricorso in trattazione, che le sostanze
rinvenute fossero state riconosciute in concreto non pericolose per la salute
pubblica mentre la decisione di legittimità indicata dal ricorrente non è pertinente
dato che la stessa riguarda il diverso caso della frode tossica di cui all’art. 6 della
legge 283/62, per la quale la pubblicazione della sentenza di condanna ex art. 19
cod. pen. è obbligatoria.
6. Il quinto motivo di ricorso, proprio del solo Peracchione, è inammissibile in
quanto proposto per motivi manifestamente infondati.
6.1 Va ricordato, in fatto, che si tratta qui della confisca ex art. 322 ter cod.
pen. del profitto della corruzione di cui al capo 3 posta in essere dal ricorrente,
come corruttore attivo, nei confronti del Pubblico ufficiale corrotto RABBIA,
Veterinario della ASL di Cuneo in cambio del compimento da parte di
quest’ultimo di atti contrari ai doveri di ufficio quali informazioni preventive sui
controlli dei bovini destinati alla alimentazione umana, omissione di sanzioni e
altre condotte specificamente indicate al capo 3; l’oggetto della confisca disposta
a carico del Peracchione è stato individuato nel profitto che quest’ultimo ha tratto
dalla vendita degli animali che, grazie alla corruzione del Veterinario, avrebbero
dovuto invece essere abbattuti.
Va premesso ancora che il ricorrente, non contestando la natura di “profitto
del reato” di quanto effettivamente confiscato (si tratta oltre 450.000 euro
complessivi), ha profilato voposto due prospettazioni critiche, e ha lamentato,
con la prima, che non fosse stato sottratto, dal profitto del reato come sopra
5

correttamente mantenuto, con la formula “conferma del resto” di cui al

individuato, il costo sostenuto per l’acquisto e l’allevamento dei bovini e, con la
seconda, che parte del profitto era stato versato, come prezzo del reato, al
Pubblico ufficiale RABBIA al quale le corrispondenti somme erano state
sequestrate e confiscate, così che anch’esse dovevano essere sottratte
dall’ammontare complessivo del profitto confiscato.
6.2 La prima prospettazione critica è manifestamente infondata; già la
Corte ha correttamente osservato (e il ricorrente non ha contestato) che la
somma confiscata rappresenta in via diretta ed immediata il profitto tratto dal

applicazione delle indicazioni rese dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Unite
26/6/2015 n. 31617, Lucci, Rv 264436) e che quindi la stessa andava
integralmente confiscata; il precedente giurisprudenziale citato poi dal ricorrente,
da cui viene tratta un’unica frase della motivazione completamente astratta dal
suo contesto specifico, si limita ad indicare come possibile un ridimensionamento
della entità del profitto quando l’attività non sia totalmente illecita, ma si
trascura di considerare che nel caso all’odierno esame della Corte non si tratta di
condotte tenute nel contesto di una attività contrattuale a prestazioni
corrispettive, all’interno della quale i costi eventualmente sostenuti possono
essere, a certe, determinate condizioni, defalcati dalla determinazione del
profitto confiscabile (così Cass. Sez. 6 del 27/1/2015 n. 9988, Moioli, Rv
262794) quanto piuttosto di un profitto interamente derivante da una attività
totalmente illecita del ricorrente in quanto caratterizzata dall’incasso di vendite di
bovini consentite solamente grazie alla corruzione del Pubblico ufficiale e che
avrebbero dovuto invece essere abbattuti.
6.3 Anche la seconda prospettazione critica sopra accennata è
manifestamente infondata; lo stesso ricorrente ha infatti ricordato il costante
insegnamento di legittimità a mente del quale il sequestro preventivo finalizzato
alla confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter cod. pn ., e quindi la confisca
stessa, può essere disposto indifferentemente a carico di ciascuno dei
concorrenti nel reato per l’intera entità del profitto accertato (così, da ultimo,
Cass. Sez. 2 del 15/7/2016 n. 33755, Nardecchia, Rv 267576); la fondata
preoccupazione, manifestata dal ricorrente, che l’espropriazione effettiva non
possa essere duplicata o eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo del
profitto confiscato resterà quindi affidata alle cure del Giudice dell’esecuzione che
provvederà, nella sede opportuna, così come disposto dall’art. 676 cod. proc.
pen., a dirimere e decidere ogni conseguente questione.

6

reato di corruzione attiva commesso dal Peracchione, facendo corretta

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di PERACCHIONE Ivo,

estinta per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione.
Rettifica il dispositivo della sentenza impugnata, disponendo la revoca delle pene
accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese e dall’esercizio della attività di allevatore applicate al
PERACCHIONE. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di PERACCHIONE.
Dichiara inammissibile il ricorso di GRAGLIA Claudio Andrea che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 28 marzo 2018.
Il Consigli re estensore
Maurizio

IANESINI

Il Presidente
anna PETRI ZELLIS

limitatamente ala contravvenzione di cui all’art. 5 L.n. 283 del 1962 perché

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