Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16504 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16504 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RILLO IVANO N. IL 29/04/1970
avverso la sentenza n. 1275/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
12/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 12/12/2014 la Corte di Appello di Lecce in parziale riforma della
sentenzev eipt,GUP presso il Tribunale di Brindisi del 28/2/2013 ha condannato – tra gli altri RILLOInVAND.. alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed euro 2.000 di multa, così ridotta
quella inflitta in primo grado con la sole diminuente del rito, per il reato di cui all’ art. 73,
comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, in relaziona alla detenzione per uso non esclusivamente

49 del 2006.
La Corte distrettuale confermava il giudizio di responsabilità dell’imputato e riduceva la pena
comminata dal Giudice di primo grado, alla luce delle intervenute modifiche legislative che
hanno fissato la pena edittale da mesi 6 ad anni 4 di reclusione e da euro 1.032 ad euro
10.329 di multa, fermo il diniego delle attenuanti generiche.
Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione il RILLO, tramite difensore fiduciario,
chiedendone l’annullamento per vizio motivazionale, per essersi la Corte territoriale limitata a
richiamare per relationem le ragioni della decisione del Tribunale di Brindisi e per non aver
dato conto del percorso logico seguito nella commisurazione della pena.
Il ricorso risulta fondato su censure aspecifiche, che ripropongono alquanto genericamente
tematiche già affrontate e risolte dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi con la
motivazione sintetica, ma congrua, della Corte territoriale, che appare conforme ai principi
interpretativi propri della giurisprudenza di legittimità.
Ammissibile e pertinente appare il richiamo operato alla sentenza di primo grado e sul punto
va ricordato che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme
affermazione di responsabilità – e tal è la sentenza impugnata quanto ai capi non riformati deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d’appello

per

relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la
decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di
quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima
giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non
specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai

personale di sostanza stupefacente del tipo FENMETRAZINA, inserita nella Tabella I della L. n.

passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia,
Rv. 256096; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 12/4/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n.
1309 del 22/11/1993, dep. 4/2/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a
compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche
attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo

considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del
19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107).
La Corte territoriale ha giustificato la pena inflitta con riferimento al “quantitativo di gr. 34,713
di FENMETRAZINA (seppure non allo stato puro) non particolarmente modesto”, nonché alle
“modalità di confezionamento e frazionato della sostanza in n. 3 involucri” ed alla disponibilità
di un “bilancino di precisione”, circostanze peraltro tutte sintomatiche della destinazione allo
spaccio della droga rinvenuta all’interno di un armadio, nell’abitazione condotta in locazione dal
RILLO e dunque nella sua esclusiva disponibilità.
Trattasi di motivazione del tutto sufficiente atteso che, come più volte affermato da questa
Corte, la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri
discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in
misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia
limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 c. p. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 – dep. 17/05/2013,
Serratore, Rv. 256197).
La Corte territoriale ha inoltre richiamato i criteri di cui all’art. 133 c.p. e segnatamente i
“numerosi precedenti penali” dell’imputato, “di cui alcuni anche specifici”, in tal modo facendo
leva sulla gravità oggettiva e soggettiva dei reati di cui all’imputazione, elementi giustificanti il
diniego delle circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. secondo il consolidato indirizzo
giurisprudenziale in forza del quale il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno
il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del
colpevole, all’entità del reato, alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente in tal
senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone e altri, Rv. 249163).
Ne discende l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di
impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; in tal caso debbono

A
A’

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

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