Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16501 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16501 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
OGBEBOR ELLIOT N. IL 13/08/1988
avverso la sentenza n. 50658/2015 CORTE APPELLO di TORINO, del
22/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 22/4/2015 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza
del Tribunale di Torino che all’esito di giudizio abbreviato aveva condannato OGBEBOR ELLIOT
alla pena di mesi 8 di reclusione ed euro 3.000 di multa, così ridotta per il rito, per il reato di
cui agli artt. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alla detenzione al fine di
commercio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina (gr. 1,6) e marijuana (gr. 7,6).

pena comminata dal Giudice di primo grado, nonché il diniego della concessione delle
attenuanti generiche.
Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione l’ OGBEBOR, personalmente,
chiedendone l’annullamento per vizio motivazionale, essendosi la Corte territoriale limitata a
richiamare per relatíonem le ragioni della decisione del Tribunale sia in punto di responsabilità
penale, che di trattamento sanzionatorio
Il motivi di ricorso risultano fondati su censure aspecifiche, che ripropongono alquanto
genericamente tematiche già affrontate e risolte dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi
con la motivazione sintetica, ma congrua, della Corte territoriale, che appare conforme ai
principi interpretativi propri della giurisprudenza di legittimità.
Ammissibile e pertinente appare il richiamo operato alla sentenza di primo grado e sul punto
va ricordato che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme
affermazione di responsabilità – e tal è la sentenza impugnata quanto ai capi non riformati deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d’appello

per

relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la
decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di
quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima
giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non
specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia,

La Corte distrettuale confermava il giudizio di colpevolezza dell’imputato, la congruità della

Rv. 256096; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 12/4/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n.
1309 del 22/11/1993, dep. 4/2/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto, inoltre, a compiere
un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle partì e a prendere in esame dettagliatamente
tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro
valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento,
dimostrando dì aver tenuto presente ogni fatto decisivo.
Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni

decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107).
La Corte territoriale ha giustificato la affermazione di responsabilità dell’imputato evidenziando
una pluralità di elementi idonei ad escludere la destinazione all’uso personale della sostanza
stupefacente quali la non documentata prova dello stato di tossicodipendenza, la circostanza
meramente allegata, il luogo in cui il giovane si trovava al momento dell’arresto, che non era
affatto sulla “direttrice di marcia che il prevenuto avrebbe dovuto percorrere per raggiungere,
dalla sua abitazione, l’istituto scolastico asseritamente frequentato”, l’implausibilità
dell’ingresso nella tabaccheria nella asserita consapevolezza della presenza dei poliziotti, la
mancanza di fonti di reddito personale per l’acquisto dello stupefacente, la diversa tipologia
della droga detenuta.
In buona sostanza, la versione difensiva fornita dall’OGBEBOR in sede di convalida non è stata
ritenuta credibile proprio sulla base di una valutazione complessiva degli elementi indiziari con
motivazione esaustiva e del tutto logica, non sindacabile in questa sede.
Quanto al trattamento sanzionatorio, esclusa la possibilità di una mitigazione mediante il
riconoscimento delle attenuanti generiche, in assenza di elementi positivamente valutabili al
riguardo, la Corte territoriale ha confermato la pena inflitta dal Giudice di promo grado
sottolineando

“il fatto che il prevenuto deteneva sia cocaina sia marijuana (con ciò

dimostrando di essere in contatto con fornitori dell’una e dell’altra sostanza e di poter
fronteggiare la domanda degli assuntori di droghe leggere e delle droghe pesanti) e soprattutto – che gli ovuli pronti per la cessione erano, in totale, nove dunque potenzialmente
in grado di soddisfare nove clienti”, che la condotta “non minimale” denotava la “pericolosità
sociale del prevenuto”, cui era contestata la recidiva specifica e infraquinquennale.
Trattasi di motivazione del tutto sufficiente atteso che, come più volte affermato da questa
Corte, la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri
discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in
misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia
limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 c. p. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 – dep. 17/05/2013,
Serratore, Rv. 256197).

difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la

Ne discende l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di
impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

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