Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16495 del 17/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16495 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
POMPEO ROSARIO nato il 29/01/1968 a AGRIGENTO

avverso l’ordinanza del 09/03/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 17/11/2017

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 9/3/2017, il Tribunale di sorveglianza di Perugia rigettava
il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen., dal detenuto Pompeo
Rosario, avverso il provvedimento del 13/12/2016 con il quale il Magistrato di
sorveglianza di Spoleto aveva riconosciuto il risarcimento per inumana
detenzione con riferimento al tempo trascorso presso gli istituti penitenziari di
Palermo Ucciardone e Agrigento, ma non per il periodo espiato presso quelli di

Avverso il provvedimento del Tribunale di sorveglianza l’interessato ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione dell’art. 3 CEDU nonché
grave travisamento dei dati da parte del Tribunale di sorveglianza di Perugia, che
non avrebbe tenuto in debita considerazione la circostanza che il ricorrente è
stato sempre ristretto con un altro detenuto e in regime di celle chiuse. Per
quanto concerne la casa di custodia di Viterbo, il ricorrente ricorda: che la cella
misurava 8,50 mq quindi circa 2,58 mq per detenuto; che da tale superficie va
ulteriormente sottratto lo spazio occupato dai due scrittoi ancorati al muro,
aventi dimensione cm 90 x 50; che il bagno – sprovvisto di acqua calda, finestra,
bidet e doccia – non era separato dal resto della cella, con conseguentemente
contaminazione dei locali adibiti alla vita quotidiana. Osservazioni simili sono
riproposte anche con riferimento all’istituto di Terni, nel quale il ricorrente è
ancora detenuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha adeguatamente e congruamente esaminato le doglianze
formulate con il reclamo, giungendo alla conclusione che esse sono del tutto
prive di riscontro e smentite dalla compiuta istruttoria.
La Corte EDU ha affermato, nella sentenza Sulejmanovic, che nonostante il
o
Comitato Eurpeo per la Tortura abbia fissato la superfice minima desiderabile per
ciascuna unità detentiva, la Corte non è in grado di fornire una misura definitiva
dello spazio personale che deve essere concesso a ciascun detenuto in base ai
dettami della Convenzione, potendo dipendere la questione da numerosi fattori,
quali la durata della detenzione, la possibilità di passeggiare all’aperto, la
condizione fisica e mentale del prigioniero etc… (Trepachkine c. Russie, no
36898/03, § 92, 19 juillet 2007). Il giudice non può stabilire in assoluto quale sia
lo spazio vivibile ex art. 3 CEDU, dovendo il criterio spaziale integrarsi con altri

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Viterbo e Trani.

fattori come la possibilità di utilizzare servizi igienici riservati, godere di luce ed
aria naturali, etc.
Alla luce dell’interpretazione dell’art. 3 CEDU fornita dalla Corte di
Strasburgo e sulla base della nota informativa degli istituti di Viterbo e Terni, il
giudice del merito ha concluso che, sebbene la superficie pro capite fosse di 3-4
mq, le complessive condizioni detentive erano capaci di compensare il

deficit

spaziale. Inoltre, poiché il Pompeo non si trovava in una cella di esclusivo
pernottamento e lo spazio disponibile doveva coincidere con quello

degli arredi stabili dalla superficie complessiva, così come effettuata dal
Magistrato di sorveglianza. Infine, essendo il bagno separato, benché attiguo, la
sua superficie non veniva computata in quanto neutra.
A fronte di tale esauriente motivazione dell’ordinanza impugnata, il
ricorrente si è limitato a riproporre circostanze fattuali già oggetto di valutazione
in sede di reclamo, senza prospettare ragioni da sottoporre a verifica, tendendo
così a provocare una nuova – e a lui favorevole – valutazione dei fatti e delle
evidenze probatorie.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua
del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186
del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 17 novembre 2017.

effettivamente utilizzabile, appariva corretta al Tribunale di Perugia la detrazione

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