Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16495 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16495 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BACCARINI BRUNO N. IL 31/12/1955
avverso la sentenza n. 1314/2015 TRIBUNALE di RAVENNA, del
10/08/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza pronunciata il 10/8/2015, ai sensi dell’art. 444 c. p. p., il Tribunale di Ravenna
ha applicato a BACCARINI BRUNO, con attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, la pena
di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro seicento di multa per il delitto di
favoreggiamento della prostituzione altrui previsto e punito dall’art. 3, comma 8 L. n. 75 del
1958 (in Ravenna, 1’8/8/2015).

tramite difensore fiduciario, lamentando l’illegittima contestazione della recidiva, in quanto
dalla mera lettura del certificato penale emergerebbe che l’imputato ha riportato un’ unica
condanna dal momento che i fatti oggetto delle precedenti sentenze di condanna sono stati
posti in continuazione tra loro. Da ciò consegue, secondo la difesa del ricorrente, che le
concesse attenuanti generiche avrebbero dovuto comportare una congrua diminuzione del
trattamento sanzionatorio applicato.
Il motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile sostanziandosi in una sorta di recesso
dall’accordo la cui ratifica presuppone che il giudice abbia effettuato il controllo sulla
correttezza e congruità della pena definita dalle parti.
Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c. p.
p., l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie,
perché essi sono coperti dal patteggiamento.
Il Tribunale ravennate, nell’applicare la pena concordata, da un lato, si è adeguato a quanto
contenuto nell’accordo intervenuto fra le parti, apprezzando la congruità della pena pattuita, e,
dall’altro, ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui all’art.129 c. p. p., alla stregua degli
atti acquisiti e puntualmente indicati in sentenza (verbale di arresto, verbale s.i.,t. Beznea,
annotazioni di p.g.).
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale
genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Sez. U, n.
5777 del 27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv. 191134 e 191135; Sez. U, n. 10372
del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998,
dep. 03/11/1998, Verga, Rv. 211468).
Va aggiunto che, contrariamente a quanto genericamente ed apoditticamente sostenuto dal
BACCARINI, la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale fu contestata dal pubblico
ministero, come risulta dal capo d’imputazione, e considerata nell’accordo sulla
determinazione della pena raggiunto ai sensi dell’art. 444 c. p. p., ed il giudice, all’esito del
giudizio di convalida dell’arresto in flagranza, applicò al prevenuto la pena concordata nel
giudizio direttissimo successivamente instaurato, provvedendo nel contempo a revocare il
beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con due precedenti sentenze,
irrevocabili, rispettivamente, il 20/472012 ed il 2/2/2015.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte di cassazione il predetto,

E, in proposito, va affermato che la contestazione della recidiva non richiede l’adozione di
particolari formule sacramentali ma è sufficiente che la enunciazione della aggravante sia
portata a conoscenza dell’imputato a opera del Pubblico Ministero nella sede del contradditorio
procedimentale; in particolare, nel rito della applicazione su richiesta, la contestazione della
recidiva è validamente effettuata mediante l’inserimento della specifica menzione della
aggravante nella richiesta congiunta di applicazione della pena, sottoscritta dal Pubblico
Ministero e dall’imputato.

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti
ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n.
186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria, che si stima equo determinare in euro millecinquecento.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c. p. p., la

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