Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16492 del 17/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16492 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MICELI PAOLO nato il 11/01/1985 a PALERMO

avverso la sentenza del 18/01/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 17/11/2017

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 18/1/2017, la Corte di appello di Palermo confermava la
sentenza in data 8/7/2015, con cui il Tribunale di Termini Imerese aveva
ritenuto Miceli Paolo responsabile, ma non punibile per particolare tenuità del
fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., in ordine al reato previsto dall’art. 75,
comma 1, d.lgs. 159/11, contestatogli perché, mentre era sottoposto alla misura
della sorveglianza speciale, aveva violato l’obbligo di non rincasare dopo le ore

Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione con atto in
cui richiama l’art. 606, comma 1, lett. b), e), cod. proc. pen, in relazione agli
artt. 75 d.lgs. 159/11 e 530 cod. proc. pen. Deduce che la sentenza di appello è
inadeguatamente motivata e si basa su riscontri incerti. Precisamente, la Corte
di appello di Palermo, violando il principio al di là di ogni ragionevole dubbio ha
ritenuto sussistente la violazione – consistente in un ritardo di 5 minuti basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni dei carabinieri e ignorando quelle
dell’imputato, il quale afferma di essere rientrato in tempo, secondo le
indicazioni del proprio orologio. Inoltre, i giudici hanno accertato l’esistenza
dell’elemento soggettivo basandosi sulla circostanza che l’imputato rientrò
perché era stato avvertito dalla madre della presenza dei Carabinieri, mentre
sarebbe stato più logico ritenere dedurre, alla luce dell’esiguità del ritardo, che il
Miceli era già in procinto di rientrare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Il controllo del giudice di legittimità si dispiega in una valutazione
necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale

esistenza

della

motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito,
essendo preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, nonché l’autonoma adozione di diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, rispetto a quelli adottati
dal giudice del merito (ex multis: Sez. 6, Sentenza n. 22256 del 26/04/2006 dep. 23/06/2006, Rv. 234148; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep.
27/11/2015, Musso, Rv. 265482)
Nel caso ora in esame, la motivazione del provvedimento impugnato è
coerente, immune da vizi logici. Il giudice di appello ha basato la decisione sulle
dichiarazioni dei Carabinieri solo dopo un attento esame dei fatti, dal quale è
2

21,00.

emerso che: i militari dopo aver cercato inutilmente l’imputato per il paese di
Cerda, si recavano alle 21 presso la sua abitazione, nella quale era presente solo
la madre; quest’ultima avvisava il figlio, il quale, arrivato qualche minuto dopo
palesemente agitato, manifestava ai presenti i suoi propositi di vendetta nei
confronti dell’ex-cognato – con cui aveva avuto un diverbio – senza difendersi dal
contestato ritardo, come avrebbe fatto, in un secondo momento, nelle
dichiarazioni spontanee.
Con riguardo alla censura riguardante l’inesistenza dell’elemento

minima al di sotto della quale non si possa configurare l’inadempimento
dell’obbligo, quindi anche un ritardo di pochi minuti integra la violazione. Inoltre,
dallo svolgimento dei fatti emerge chiaramente che il Miceli ha fatto ritorno a
casa solo in conseguenza della chiamata da parte della madre. Egli, non tenendo
adeguatamente sotto controllo l’orario, è stato quanto meno negligente.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua
del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186
del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 17 novembre 2017.

soggettivo, deve notarsi che l’art. 75 d.lgs 159/11 non individua una soglia

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