Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16486 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16486 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MANSI CARMELA N. IL 13/08/1937
avverso la sentenza n. 637/2014 CORTE APPELLO di SALERNO, del
02/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 2/12/2014 la Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza
del Tribunale di Salerno – Sezione distaccata di Amalfi in data 20/11/2013 che aveva
condannato MANSI CARMELA alla pena di mesi 8 di reclusione perché riconosciuta colpevole
del reato di cui all’art. 181, comma 1 bis lett. a) D. Lgs. n. 42 del 2004, contestato dal P.M.,
ai sensi dell’art. 520 c.p.p., all’udienza del 30/4/2012.

immobile – ed in assenza del permesso di costruire – di un massetto e di un cordolo di
cemento, nonché l’asportazione di terreno vegetale, integrano il reato contestato alla imputata
trattandosi di “opere realizzate in assenza della prescritta autorizzazione ed in territorio
dichiarato zona di notevole interesse pubblico in virtù di d.m. 21/10/1987”.
Evidenziava inoltre la Corte distrettuale che la contestazione del P.M. non era affatto preclusa
dalla estinzione per prescrizione quinquennale del reato contravvenzionale oggetto della
originaria formulazione dell’accusa (art. 181 D. Lgs. n. 42 del 2004) e che la modesta entità
delle opere non assumeva rilievo insistendo esse in un’area dichiarata di notevole interesse
paesaggistico.
Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione, tramite difensore fiduciario, la
MANSI chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizio motivazionale, avuto
riguardo sia alla maturata prescrizione quinquennale del reato contravvenzionale, avendo il
P.M. soltanto all’udienza del 30/4/2012 contestato all’imputata la fattispecie delittuosa – il
relativo verbale era stato notificato a quest’ultima il 22/5/2012 – sia alla dubbia riferibilità alla
ricorrente dell’asportazione di terreno vegetale, attività verosimilmente riconducibile
all’ampliamento della rete stradale operato del Comune di Scala, sia all’inidoneità delle residue
opere (battuto cementizio e cordolo di recinzione) a comportare una apprezzabile alterazione
fisico-urbanistica del territorio.
Con memoria difensiva depositata il 17/2/2016, la ricorrente ha ulteriormente illustrato le
ragioni che militano a favore dell’accoglimento dell’impugnazione, evidenziando che la Corte
territoriale ha omesso ogni valutazione sulla questione concernente la dedotta violazione
dell’art. 516 c.p.p., che ha mancato di rilevare l’effetto preclusivo della nuova contestazione
stante il dovere di immediata declaratoria della prescrizione della contravvenzione, che non ha
esplicitato in sentenza la ricorrenza di tutti gli elementi caratterizzanti l’ipotesi delittuosa.
Giova preliminarmente dare atto che la Corte Costituzionale, con sentenza 11 gennaio – 23
marzo 2016, n. 56 (in G.U. la s.s. 30/3/2016, n. 13), ha dichiarato “l’illegittimità
costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.
137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro
caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito

La Corte distrettuale rilevava che l’accertata esecuzione, in adiacenza ad un preesistente

provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su
immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».
Tuttavia, ogni questione relativa alla revoca della sentenza di condanna irrevocabile o del
decreto penale esecutivo quando interviene – ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p. o dell’art. 30,
comma 4, L. n. 87 del 1957 – l’abrogazione della fattispecie incriminatrice ovvero la
declaratoria di incostituzionalità della norma contemplante l’incriminazione, che travolgono
anche il giudicato e gli effetti penali della condanna (art. 2 c.p.), rientra, ai sensi dell’art. 673

Quanto al primo profilo di doglianza, la Corte territoriale ha ritenuto che la nuova formulazione
dell’accusa comportasse soltanto una diversa descrizione dello stesso fatto e non l’introduzione
di un fatto nuovo originariamente non enunciato nel capo d’imputazione e che dunque si è
trattato di una diversa precisazione e qualificazione del medesimo addebito in rubrica.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che la facoltà del P.M. di modificare l’imputazione
non viene meno neppure per effetto della richiesta ai sensi dell’art. 129 c.p.p. di declaratoria
di immediato proscioglimento (Sez. 6, n. 33819 del 4/7/2001, P.M. in proc. Barale e altri, Rv.
220731, Sez. 6, n. 29313 del 22/01/2015, Casella, Rv. 264083).
Quanto al secondo profilo, la censura concernente la riferibilità alla ricorrente della condotta
consistita nell’ asportazione di terreno vegetale involge questioni di mero fatto e ripropone
una diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate
congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti.
E’ appena il caso di osservare che la Corte territoriale, sulla base degli accertamenti condotti
dai Carabinieri di Ravello, ha partitamente descritto le diverse opere realizzate dalla imputata,
tra cui appunto l’asportazione del terreno vegetale, ed ha ricollegato soltanto la realizzazione
di due rampe di scale, “che collegavano la proprietà della MANSI alla strada pubblica”, agli
interventi eseguiti dal Comune per consentire l’accesso all’abitazione “dato che si era creato
un dislivello rispetto alla strada pubblica”.
Quanto al terzo profilo, non v’è dubbio che la fattispecie incriminatrice descritta nel D.Lgs. n.
42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, configura, al pari di quella contravvenzionale, un reato di
pericolo e che per la configurabilità dell’illecito non è necessario un effettivo pregiudizio per
l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle
che si prospettano ictu °cui/ inidonee a compromettere i valori del paesaggio.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare il principio di offensività deve essere inteso, al
riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì
dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto (Sez. 3, n. 21029 del
3/2/2015, Dell’Utri, Rv. 263978).
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato conto dell’entità delle opere (massetto in
c.c. avente dimensioni di mt. 1,70 x 4,00 e di un massetto di mt. 17,80 x 1,40 e di un cordolo
di mt. 17,80 di lunghezza) e del fatto che le stesse sono risultate eseguite in un’area
dichiarata di notevole interesse paesaggistico.

c.p.p., nella competenza del giudice dell’esecuzione.

Pertanto i Giudici di merito, dandone congrua motivazione, hanno valutato l’intervento idoneo
a compromettere l’ambiente, pervenendo alla corretta conclusione circa la sussistenza di
un’effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso
portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una
corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.
L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo
al motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per
cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un

punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., ivi compreso l’eventuale decorso del termine di
prescrizione nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, 21/4/2006 n. 19578).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso,
l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del
procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità- al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro
1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non

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