Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16485 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16485 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PICCOLO GIUSEPPE N. IL 02/08/1972
avverso la sentenza n. 1341/2014 CORTE APPELLO di MESSINA, del
20/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 20/4/2015 la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza
del GIP presso il Tribunale di Messina del 25/6/2014 che aveva condannato PICCOLO
GIUSEPPE alla pena di anni 6 dì reclusione ed euro 24.000 di multa, così ridotta per il rito, per
il reato di cui agli artt. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alla detenzione di sostanze
stupefacenti, di cui agli artt. 2 e 7 L. n. 895 del 1967, in relazione alla detenzione di un fucile
a canne mozze ed a una canna di pistola, ed agli artt. 21 L. n. 895 del 1967 e 697 c.p., in

La Corte distrettuale confermava il giudizio di

congruità della pena base comminata dal

Giudice di primo grado, ancorché superiore al minimo edittale e dell’aumento per la
continuazione nonché il diniego della concessione delle attenuanti generiche all’imputato,
anche se incensurato.
Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione il PICCOLO, tramite difensore
fiduciario, chiedendone l’annullamento per vizio motivazionale, per essersi la Corte territoriale
limitata a richiamare per relationem le ragioni della decisione del Tribunale e per non aver
dato conto della mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., nonostante
l’incensuratezza dell’imputato.
Il primo motivo di ricorso risulta fondato su censure aspecifiche, che ripropongono alquanto
genericamente tematiche già affrontate e risolte dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi
con la motivazione sintetica, ma congrua, della Corte territoriale, che appare conforme ai
principi interpretativi propri della giurisprudenza di legittimità.
Ammissibile e pertinente appare il richiamo operato alla sentenza di primo grado e sul punto
va ricordato che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme
affermazione di responsabilità – e tal è la sentenza impugnata quanto ai capi non riformati deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d’appello

per

relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la
decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di
quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima
giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non
specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai

relazione alla detenzione di cartucce di vario tipo.

passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia,
Rv. 256096; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 12/4/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n.
1309 del 22/11/1993, dep. 4/2/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a
compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche
attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo

Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107).
La Corte territoriale ha giustificato la pena inflitta avuto “riguardo alla gravità ed al numero dei
reati contestati (detenzione, ai fini di spaccio, di notevole quantitativo di sostanze stupefacenti
di diversa tipologia, anche cocaina ed eroina, detenzione di armi e numerose cartucce), pur
unificati dal vincolo della continuazione” – che ha determinato un contenuto inasprimento del
trattamento sanzionatorio – “in considerazione anche della pena edittale prevista per il reato
più grave contestato di detenzione, ai fini di spaccio, di cocaina (da sei a venti anni di
reclusione e la multa da 26.000 a 260.000)”.
Trattasi di motivazione del tutto sufficiente atteso che, come più volte affermato da questa
Corte, la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri
discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in
misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia
limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 c. p. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 – dep. 17/05/2013,
Serratore, Rv. 256197).
Anche il secondo motivo di ricorso deve essere disatteso per manifesta infondatezza.
La Corte territoriale ha richiamato “la gravità dei fatti contesti, che denotano, anche in
considerazione dei rapporti chiaramente intrattenuti con ambienti

criminali di notevole

spessore, la notevole pericolosità del medesimo”, nonché la mancata collaborazione
dell’imputato, arrestato in flagranza di reato, in tal modo facendo leva sulla gravità oggettiva e
soggettiva dei reati di cui all’imputazione e segnatamente sulla pericolosità del PICCOLO,
l’elementi utilizzati per giustificare il diniego delle circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. secondo
il consolidato indirizzo giurisprudenziale in forza del quale il giudice può limitarsi a prendere
in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a
determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente
alla personalità del colpevole, all’entità del reato, alle modalità di esecuzione di esso, può
essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone e altri, Rv. 249163).

convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo.

E’ appena il caso di ricordare che le circostanze attenuanti generiche non possono essere
riconosciute solo per l’incensuratezza dell’imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici
desumibili dall’art. 133 c. p., a maggior ragione se difettano elementi o circostanze di segno
positivo (Sez. 3, n. 44071 del 25/9/2014, Papini e altri, Rv. 260610).
Ne discende l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di
impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

Cassa delle Ammende.

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