Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16483 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16483 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
EL KHDAR ABDELADIM N. IL 18/10/1981
avverso la sentenza n. 50253/2015 CORTE APPELLO di TORINO, del
24/03/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 24/3/2015 la Corte di Appello di Torino riformava parzialmente la
sentenza del GUP presso il Tribunale di Torino del 16/7/2014 e rideterminava la pena inflitta a
EL KHDAR ABDELADIM in anni 2, mesi 6 e giorni 20 di reclusione ed euro 4.000 di multa, per
il reato di cui agli artt. 81 cpc c.p. e 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte distrettuale riteneva che non sussistesse alcun dubbio circa la colpevolezza del
predetto all’uopo richiamando le informazioni rese dai destinatari delle dosi di cocaina ceduta

la congruità della pena base comminata dal Giudice di primo grado, decisamente superiore al
minimo edittale, già comprensiva dell’aumento per la continuazione interna ed adeguata alla
condotta posta in essere dall’imputato.
Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione EL KHDAR, tramite difensore
fiduciario, chiedendone l’annullamento per vizio motivazionale, per essersi la Corte territoriale
limitata ad osservare, quanto al trattamento sanzionatorio, che vi furono plurime cessioni di
sostanza stupefacente, senza alcun richiamo ai criteri di cui all’art. 133 c.p. pure meritevoli di
qualche considerazione.
La censura, che involge soltanto la dosimetria della pena, è palesemente infondata.
La Corte territoriale ha tenuto conto, come si ricava dalla motivazione dell’impugnata
sentenza, non soltanto della oggettiva gravità del fatto, essendo stati contestati all’imputato
numerosi episodi di cessione di sostanza stupefacente, che si collocano nell’arco temporale
giugno/luglio 2012 e riguardano soggetti diversi, abendo evidenziato “la non occasionalità
della condotta ed il tipo di contatto con una clientela non esigua”, ma anche “dell’intensità del
dolo resa palese – come sottolineato dal primo giudice – dalla continuità nel tempo dell’attività
di spaccio”.
Il Giudice di appello ha applicato i parametri edittali frutto dell’intervento della

Corte

Costituzionale (n. 32/2014) e delle leggi successive (L. n. 79/2014), nonché il principio di
necessaria proporzione tra illecito e sanzione, ed ha quindi determinato il trattamento
sanzionatorio in funzione della gravità del fatto, nelle sue componenti oggettive e soggettive,
limitando il proprio intervento correttivo agli aumenti operati ex art. 81 cpv c.p. dal Tribunale
per la continuazione, rimodulati in mesi 10 di reclusione ed euro 1.000 di multa.
Non v’è dubbio che il giudice nel determinare la pena debba dare conto dell’esercizio del potere
discrezionale conferitogli dagli artt. 132 e 133 c.p. e che l’applicazione di una pena base pari o
superiore alla media edittale richieda una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi
ed oggettivi elencati dall’art. 133 c.p., da valutare ed apprezzare tenendo conto della funzione
rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. n. 10095 del 10/1/2013, Rv. 255153),
ma nella fattispecie in esame, nella forbice tra il minimo ed il massimo della pena per il reato
di cui si tratta la Corte territoriale ha confermato “la misura mediana”.

(Galuppo, Papasso, Cafora, Del Grosso), nonché le ammissioni dello stesso appellante e circa

Per quanto concerne poi l’aumento stabilito a titolo di continuazione, esso appare determinato
in misura inferiore all’aumento medio previsto dall’art. 81, comma secondo, c. p., sicché risulta
assolto, in base ai criteri di cui all’art. 133 c. p., l’obbligo della relativa motivazione
giustificativa.
Ne discende l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di
impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di euro 1.000,00 in favore della

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

Cassa delle Ammende.

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