Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16482 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16482 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MASCELLARO PAOLO N. IL 05/06/1981
rfr°
avverso la sentenza n. 328/2009 TRIB\WE—Z—.DIST. di GINOSA, del
01/04/2010
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

Data Udienza: 04/03/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza emessa in data 1/4/2010 il Tribunale di Taranto — Sezione Distaccata di Ginosa
Marina condannava MASCELLARO PAOLO alla pena di euro 750 di ammenda per il mancato
rispetto delle regole antinfortunistiche (art. 36 D.Lgs. n. 626 del 1994, D.P.R. n. 164 del
1956, art. 267 D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 374, 68 D.P.R. n. 547 del 1955).
Avverso la sentenza ha proposto appello alla Corte di Appello di Lecce che, investita

ricorso per cassazione.
Il Tribunale ha ritenuto che non sussiste alcun dubbio circa la colpevolezza dell’imputato in
ordine ai contestati inadempimenti delle disposizioni relative alla salvaguardia del personale
dipendente, in base a quanto riferito dal teste del P.M. Severini Fernando, il quale aveva
confermato il contenuto del verbale dell’ispezione eseguita il 24/4/2008 presso il cantiere sito
in Castellaneta Marina.
Il MASCELLARO, tramite difensore fiduciario, si duole del mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche e dunque la mancata applicazione dei criteri di cui agli artt. 132 e 133
c.p. che avrebbero consentito di meglio adeguare la pena al fatto, tenuto anche conto
dell’assenza di precedenti penali.
In tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte
interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice
che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva
impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una

“voluntas impugnationis”,

consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi
trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice
competente, al quale è riservato, in via esclusiva, il potere di valutare sia l’ammissibilità che la
fondatezza dell’impugnazione (Cass. Sez. Un. n. 45371 del 31-10-2001;
Sez. 3, n. 2469 del 30/11/2007, Rv. 220221; Sez. 5, n. 21581 del 28/4/2009, Rv. 243888).
Il principio contenuto nell’art. 568 c.p.p., comma 5 – secondo cui l’impugnazione è ammissibile
indipendentemente dalla qualificazione attribuitale dalla parte, per cui, ove sia stata proposta a
giudice incompetente, lo stesso trasmette gli atti a quello competente – non consente, infatti,
al giudice incompetente, investito del gravame erroneamente proposto, di emettere pronuncia
dichiarativa di inammissibilità della impugnazione, non rientrando tale pronuncia nella sfera dei
poteri attribuiti dalla menzionata norma alla cognizione di detto giudice, dovendosi il medesimo
limitare a procedere alla esatta qualificazione del mezzo di impugnazione proposto ed alla
conseguente trasmissione degli atti al giudice competente (Cass. Sez. 1, 10/1/1994 n. 3769;
Sez. 3, 24/3/2009 n. 19980).
Nel caso di specie, correttamente la Corte territoriale, stante l’inappellabilità della sentenza, in
ossequio alla regola innanzi enunciata ha trasmesso gli atti, per competenza, alla Corte di
Cassazione.

dell’impugnazione, ha trasmesso gli atti a questa Corte qualificando l’atto di appello come

Ciò posto, si rileva che l’impugnazione è stata proposta per violazione di legge e vizio di
motivazione, investendo la censura il profilo della sussistenza delle condizioni di applicabilità
delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., e quindi alla luce dell’art. 606, c.1, lett. b) ed e),
c.p.p. è ammissibile.
Ciò non di meno va dichiarata inammissibile perché manifestamente infondata.
Questa Corte ha avuto modo di affermare, in tema di irrogazione del trattamento
sanzionatorio, che quando – come nel caso in esame – per la violazione ascritta all’imputato
sia prevista alternativamente la pena dell’arresto e quella dell’ammenda, il giudice non è

della sanzione pecuniaria, perché, avendo l’imputato beneficiato di un trattamento
obiettivamente più favorevole rispetto all’altra più rigorosa indicazione della norma, è
sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante
in base a cui è stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell’accenno
alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente (Sez. 3, n. 37867 del 18/6/2015, Rv.
264726).
Il Tribunale ha ritenuto, in relazione ai reati contestati nel capo d’imputazione, di irrogare la
pena pecuniaria, sia pure quantificandola in misura superiore al minimo edittale, in quanto,
come si ricava dalla motivazione della impugnata sentenza, il MASCELLARO “non ha mai
adempiuto a tali disposizioni normative relative alla salvaguardia dei personale dipendente”
che in tal modo ha esposto al concreto rischio di infortuni.
E non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento
a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da
tale valutazione.
Le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per l’incensuratezza
dell’imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 c. p. ed è
appunto a tale principio che il Giudice di merito ha inteso fare riferimento, sia pure con
motivazione che si ricava dal contesto argonnentativo della sentenza
(Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, dep. 23/10/2014, Rv. 260610, Sez. 5, n. 4033 del
4/12/2013, dep. 29/01/2014, Rv. 258747).
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili
di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa
di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2016.

tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato la misura massima

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