Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16481 del 17/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16481 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TRAORE ISSA nato il 21/05/1969

avverso l’ordinanza del 17/02/2017 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 17/11/2017

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 17/2/2017, la Corte dì appello di Napoli respingeva
l’istanza presentata da Traore Issa, volta ad ottenere l’applicazione dell’indulto
sulla pena, di 15 anni e 6 mesi dì reclusione, irrogata dalla medesima Corte con
sentenza del 15/4/2010, in relazione ai delitti non colposi di cui all’art. 73 d.P.R.
309/90, commessi nel gennaio 2002.
Il rigetto era basato sul rilievo della condizione ostativa prevista dall’art.

applicazione del beneficio cominciava a decorrere dal giorno 11/6/2008, data
della sentenza di primo grado, e si poteva ragionevolmente presumere che il
condannato avesse continuato a delinquere fino a tale data, poiché era rimasto
latitante fino al 17/7/2008, data dell’arresto.
Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’avv.
Giacomo Pace, difensore dell’istante, deducendo erronea applicazione della legge
penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. Il ricorrente lamenta che il
meccanismo presuntivo, su cui si basa la motivazione dell’ordinanza, avrebbe
invertito l’onere della prova, addossando al condannato il compito di dimostrare
la cessazione della condotta illecita prima del 11/6/2008. Inoltre, la fictio iuris
utilizzata dai giudici, avrebbe disatteso il criterio della verifica in concreto della
permanenza della condotta illecita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
L’art. 1, comma 3, I. 241/2006 prevede che il beneficio dell’indulto sia
revocato di diritto se chi ne ha usufruito commetta, entro cinque anni
dall’entrata in vigore della suddetta legge (1/8/2006), un delitto non colposo per
il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
Quando il reato permanente è contestato nella forma aperta e si vuole far
derivare qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della condotta
criminosa, il giudice dell’esecuzione deve compiere un’analisi accurata degli
elementi a sua disposizione, non essendo al riguardo sufficiente il mero richiamo
alla data della sentenza di primo grado (ex multis: Sez. 2, Sentenza n. 23343
del 01/03/2016 Ud. (dep. 06/06/2016 – Rv. 267080; Sez. 1, Sentenza n. 45295

del 24/10/2013, dep. 08/11/2013 – Rv. 257725; Sez. 1, Sentenza n. 33053 del
12/07/2011, dep. 02/09/2011- Rv. 250828).
Con riferimento al caso di specie, dunque, occorre verificare se il
meccanismo presuntivo, su cui si basa l’ordinanza impugnata, fosse idoneo a
2

1, comma 3, I. 241/06: essendo il reato de quo permanente, il momento di

permettere a verificare, in concreto la cessazione della condotta dopo l’entrata in
vigore della legge citata. Ciò posto, è pacifico che: in mancanza di prove dirette,
il giudice può desumere l’esistenza di un fatto anche da circostanze certe,
attraverso le quali, sulla base dell’ id quod plerumque accidit, può risalire alla
dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del sillogismo
giudiziario previsto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, Sentenza n.
1718 del 21/12/1999 Ud., dep. 14/02/2000 – Rv. 215343); che la latitanza può,
con altri elementi, essere tenuta presente nella formazione del convincimento del

201337).
Nel caso in esame, questa Corte ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia
applicato correttamente i principi summenzionati, e non abbia operato alcuna
indebita inversione dell’onere della prova. La permanenza della condotta illecita fatto incerto – è stata dedotta dallo stato di latitanza – fatto certo – protrattosi
fino al 17/7/2008, data dell’arresto del condannato. In secondo luogo, la
latitanza è stata considerata indice necessario ma non sufficiente, come si evince
chiaramente dal provvedimento impugnato: ai fini del rigetto della richiesta de
qua, la Corte d’appello di Napoli ha tenuto conto anche del fatto che l’arresto
avvenne ìn Italia. Questo elemento ha permesso ai giudici di merito di evincere,
applicando le regole comuni dì esperienza, la persistenza del vincolo associativo
previsto dall’art. 74 DPR 309/90. Infatti, il giudice dell’esecuzione ha affermato
plausibilmente che il Traore non sarebbe mai potuto restare latitante senza forti
aiuti economici e pratici, i quali, come si desume dal luogo dell’arresto, non
potevano che provenire dall’organizzazione di appartenenza.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la parte ricorrente deve essere condannata al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua
del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186
del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

3

giudice (Sez. 2, Sentenza n. 5890 del 27/04/1995, dep. 22/05/1995 -Rv.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna Traore Issa al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma dì euro 2.000,00 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, 17 novembre 2017.

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