Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16472 del 27/10/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16472 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MANGINI MICHELE nato il 20/04/1940 a VIESTE

avverso la sentenza del 17/10/2016 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;

Data Udienza: 27/10/2017

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale
l’imputato era stato condannato per I reati di cui agli artt. 44, comma 1, lettera c), del
d.P.R. n. 380 del 2001, e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 (commessi il 13 marzo 2012).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo vizi della motivazione circa il fatto che le opere realizzate
avrebbero dovuto essere considerate di scarsa consistenza, non avendo comportato

prima della pronuncia della Corte d’appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su una censura che consiste in mere
affermazioni, del tutto sganciate da puntuali rilievi critici alla motivazione della sentenza
impugnata, la quale risulta, in ogni caso, del tutto logica e coerente.
È sufficiente qui rilevare che la difesa non fornisce alcun elemento concreto a
sostegno della sua ricostruzione meramente alternativa dei fatti e che la Corte d’appello
ha correttamente valorizzato – in totale continuità con il Tribunale – la deposizione del
funzionario accertatore, dalla quale era emersa la consistenza delle opere
effettivamente realizzate, in totale difformità dal permesso di costruire e
dall’autorizzazione paesaggistica; opere che erano consistite nella realizzazione di un
fabbricato dotato di copertura con tegole, di pavimentazione, di impianto idrico, di
impianto fognario.
4. – Non può essere dichiarata la prescrizione del reato (commesso il 13 marzo
2012), per il quale il relativo termine di cinque anni sarebbe scaduto alla data del 13
marzo 2017, successiva alla pronuncia della sentenza impugnata: 17 ottobre 2016. A
fronte di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova infatti applicazione il
principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la

alcun aumento volumetrico. Si sostiene, inoltre, che I reati sarebbero già stati prescritti

possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod.
proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso per
cessazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che
non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8
ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n.
4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di

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inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2017.

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