Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16469 del 27/10/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16469 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FERRARA ANTONIO nato il 21/07/1963 a NOCERA INFERIORE

avverso la sentenza del 08/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;

Data Udienza: 27/10/2017

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello ha confermato, quanto alla responsabilità penale e alla pena,

la sentenza di primo grado, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui
all’art.

10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, nella sua qualità di legale

rappresentante di una società, omesso di versare le somme dovute per l’anno di imposta
2010, utilizzando indebitamente in compensazione crediti Ires inesistenti, riferibili all’anno
2009, superando la soglia di punibilità. La Corte ha subordinato l’esecuzione della disposta

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, lamentando: 1) vizi della motivazione in relazione all’elemento soggettivo, per
la mancata considerazione del fatto che l’imputato non era conoscenza delle condotte
fraudolente oggetto dell’imputazione, avendo egli rivestito la carica di amministratore della
società senza esserne socio, essendosi occupato solo di profili commerciali ed essendo stato
presentato il modello unico dopo le sue dimissioni; 2) la manifesta illogicità della
motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la
contraddittorietà della motivazione quanto al diniego della sospensione condizionale.
In prossimità della camera di consiglio davanti a questa Corte, la difesa ha depositato
una memoria, con la quale afferma che i motivi di ricorso non sarebbero privi di specificità,
né manifestamente infondati, e che rientrerebbero, comunque, nel novero di quelli
consentiti nel giudizio di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso, con cui non si contesta la sussistenza del reato sul piano oggettivo, è
inammissibile, perché basato su censure formulate in modo non specifico con le quali non
si denunciano, neanche in via di mera prospettazione, vizi riconducibili alle categorie di cui
all’art. 606 cod. proc. pen.
3.1. – Quanto all’elemento soggettivo del reato, la difesa si limita a reiterare le mere
asserzioni già formulate nel corso del giudizio d’appello, secondo cui l’imputato non sarebbe
stato a conoscenza dei fatti, perché non svolgeva funzioni di contabilità. Si tratta di
affermazioni che, a prescindere dalla loro genericità, risultano puntualmente smentite dalla
Corte distrettuale, la quale evidenzia come l’obbligo fiscale incombesse direttamente
sull’imputato e non potesse comunque essere trasferito a professionisti esterni
all’organizzazione aziendale; e dagli atti emerge, del resto, che l’imputato era pienamente
a conoscenza della situazione contabile e fiscale della società (pagine 5-6 della sentenza
impugnata).
3.2. – Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo di doglianza, perché la
difesa non considera la corretta motivazione della sentenza d’appello, secondo cui la
connotazione fraudolenta della condotta, l’entità del danno prodotto, i plurimi e specifici
2

confisca per equivalente alla previa verifica della disponibilità delle relative somme.

precedenti penali per reati strettamente collegati a quello oggetto del precedente del
presente giudizio, nonché la mancanza di elementi positivi di giudizio precludono il
riconoscimento sia delle circostanze attenuanti generiche sia della sospensione condizionale
della pena
4. – Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di

616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento
della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2017.

inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art.

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