Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16439 del 12/05/2017
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16439 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: SARACENO ROSA ANNA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MALLARDO GIUSEPPE N. IL 07/03/1953
avverso l’ordinanza n. 42/2016 CORTE ASSISE di SANTA MARIA
CAPUA VETERE, del 23/03/2016
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA
SARACENO;
Data Udienza: 12/05/2017
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
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1. Con la decisione in epigrafe
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gIEHiIt di Santa Maria Capua Vetere,
adito quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Mallardo
Giuseppe, volta alla declaratoria della continuazione tra i reati oggetto di due
sentenze di condanna: la prima per il reato associativo di cui all’art 416 bis cod.
pen., la seconda per il reato di duplice omicidio.
l’annullamento della ordinanza impugnata. Deduce violazione di legge (in
relazione agli artt. 671 cod. proc. pen. e 81 cod. pen.), carenza e manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta estemporaneità del fatto
omicidiario consumato in danno di componenti del clan rivale e che aveva
costituito coerente e fedele esecuzione dell’originario programma criminoso, il
cui primario obiettivo era quello del conseguimento dell’egemonia sul contesto
territoriale di riferimento, anche attraverso l’eliminazione fisica degli avversari
militanti in contrapposte consorterie.
3. Il ricorso è basato su motivi manifestamente infondati.
Il provvedimento impugnato ha fatto debito uso dei principi più volte
affermati da questa Corte in tema di continuazione tra reato associativo e reati
fine, dando conto dei criteri correttamente utilizzati per effettuare il giudizio sulla
ritenuta non configurabilità dell’unitario disegno criminoso.
Ha difatti ineccepibilmente osservato che dalla lettura delle decisioni di
merito emergeva che il clan Mallardo era operante ed egemone nel territorio di
Giugliano di Campania già dalla metà degli anni ottanta, mentre il duplice
omicidio Puca-Guerra era stato consumato nel 1994 e trovava la sua causale
nella pretesa avanzata dai vertici del sodalizio Puca di Sant’Antimo di spartizione
di una cospicua tangente corrisposta da un imprenditore edile. A tale richiesta i
Mallardo si erano opposti ed avevano concordato uno scambio di favori con il
clan dei casalesi, per effetto del quale era stato pianificato ed eseguito l’omicidio
di Puca Giuseppe e del suo braccio destro, Guerra Domenico, omicidio eseguito
in Casal di Principe da esponenti apicali dei casalesi.
Ha, quindi, rimarcato come la decisione della soppressione fisica degli
avversari fosse scaturita in maniera estemporanea dalla pretesa spartitoria dei
Puca, ritenuta ingerenza ingiustificata negli affari illeciti gestiti dalla propria
consorteria.
La motivazione esibita è corretta in diritto, sorretta da puntuale esame delle
sentenze in comparazione, coerente, compiuta e non presenta vizi logici di sorta.
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2. Propone ricorso il condannato a mezzo del proprio difensore, chiedendo
Bastando qui solo ricordare, in risposta alle generiche censure mosse dal
ricorrente, che l’eliminazione fisica di avversari che ostacolino l’esistenza,
l’attività o i traffici illeciti del sodalizio criminoso costituisce una semplice mera
eventualità prevedibile, cioè possibile, ma che tuttavia raggiunge un minimo
grado di concretezza soltanto allorché divenga attuale la condotta oppositiva o si
concretizzi l’ingerenza dell’avversario e si renda, pertanto, necessario procedere
alla sua neutralizzazione.
Prima di un tale momento non può parlarsi di un reato, sia pure
alla stregua dei dati di natura storico-fattuale ben evidenziati nella decisione
impugnata, nel caso di specie, come correttamente annotato, non può in alcun
modo disquisirsi di una effettiva anticipata previsione della commissione
dell’omicidio che sia inscrivibile in una unitaria progettualità antigiuridica
sussumibile nella categoria della continuazione criminosa.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a
escludere la colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione, al versamento a
favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare in euro 2.000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 3/02/2017
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genericamente delineato, ma solo di un reato ipotetico e virtuale, di guisa che,