Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16436 del 26/03/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16436 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal RM. presso il Tribunale di Ascoli Piceno

nei

confronti di
Piccioni Massimo, nato a Ascoli Piceno il 13/7/1971
avverso la ordinanza 7/11/2012 del Tribunale per il riesame di Ascoli
Piceno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Alfredo Pompeo Viola, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito l’avv. Voltattorni Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 7/11/2012, Il Tribunale di Ascoli Piceno,

accogliendo l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di Piccioni Massimo,
annullava il decreto del RM., in data 12/10/2012, con il quale era stato
disposto il sequestro probatorio di beni vari nell’ambito di un procedimento
penale a carico di Scaramucci Maria Serena e Pontani Monica, indagate per il

Data Udienza: 26/03/2013

reato di cui all’art. 648 ter cod. pen.
2.

Secondo l’imputazione, le indagate, senza concorrere nella bancarotta

fraudolenta, avevano utilizzato cambiali emesse in favore della JKP S.p.a.,
distratte dall’attivo della predetta società, investendole nella Gattopardo s.r.l.
Il Tribunale riteneva insussistente il fumus, argomentando che nella
fattispecie non sussistevano gli estremi del reato contestato non ricorrendo
l’elemento della dissimulazione in quanto il sistema di circolazione delle

3.

Avverso tale

ordinanza propone ricorso il Procuratore della

Repubblica deducendo violazione di legge ed eccependo che per integrare gli
estremi del reato di cui all’art. 648 ter cod. pen. non è richiesta una condotta
dissimulatoria bensì il semplice reimpiego di denaro o altri beni provenienti
da delitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di quanto segue.
2.

L’art. 648 ter cod. proc. pen. recita testualmente:

«Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli
648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre
utilità provenienti da delitto è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e
con la multa da €.1.032 a €.15.493».
3.

La ratio della nonna è quella di evitare l’inquinamento delle operazioni

economico-finanziarie ed il conseguente turbamento del mercato, stroncando
l’utilizzazione del denaro proveniente da reato, anche nell’ipotesi che non siano
state compiute operazioni volte a mascherare l’origine delittuosa dei capitali
(riciclaggio). Per la sua collocazione sistematica il divieto di impiego di denaro,
beni o utilità di provenienza illecita, si pone come nonna di chiusura volta a
sanzionare quelle residue condotte che siano riuscite a superare lo sbarramento
frapposto dalla punibilità del reato di ricettazione e di quello di riciclaggio.
4.

Questo carattere sussidiario risulta evidente dalla clausola che prevede la
2 e-1/

cambiali consente sempre di risalire all’origine del denaro.

non applicabilità della norma nei casi di concorso nel reato presupposto e nelle
ipotesi in cui risultano realizzate fattispecie di ricettazione o di riciclaggio. Ne
consegue che non solo il concorrente nel reato presupposto ed il ricettatore, ma
anche il riciclatore andrebbe sempre esente da pena per il successivo impiego di
denari di provenienza illecita. In sostanza, poiché la clausola di riserva fa
prevalere le disposizioni previste dagli artt. 648 e 648 bis, il delitto di reimpiego
5.

Non vi è dubbio che la clausola di sussidiarietà rispetto alla ricettazione

ed al riciclaggio finisce, in sostanza, con il privare la fattispecie, in buona parte,
di significato pratico, riducendone lo spazio applicativo. Come questa Corte ha
avuto modo di osservare (Cass. Sentenza n. 4800/2010) «risulta, infatti, molto
difficile trovare uno spazio di autonomia per l’ari 648 ter c.p., sia rispetto
all’art. 648 bis c.p., che all’art. 648 c.p.. Ed, invero, sembra alquanto difficile
impiegare denaro di provenienza illecita senza ricettarlo, poiché in questi casi il
reimpiego si atteggia come post factum non rilevante». Di conseguenza ci si
troverebbe di fronte ad una norma meramente simbolica in quanto
l’ordinamento già appresta gli strumenti per stroncare a monte quelle condotte
che possono sfociare nell’impiego di capitali illeciti nelle attività economico
finanziarie.
6.

Una soluzione a questo paradosso lo offre la sentenza citata ritenendo

«che il criterio volto a salvaguardare qualche spazio applicativo alla
fattispecie sia quello di ipotizzare che i reati di cui agli artt. 648 e 648 bis
prevalgano solo nel caso di successive azioni distinte, le prime di ricettazione o
riciclaggio, le seconde di impiego, mentre si applica solo il delitto di cui all’art.
648 ter nel caso di una serie di condotte realizzate in un contesto univoco, sin
dall’inizio finalizzato all’impiego.
In tale contesto, la soluzione ermeneutica idonea a risolvere il problema del
rapporto della fattispecie in questione con i delitti di ricettazione e/o di
riciclaggio, appare quella che si fonda sulla distinzione tra unicità o pluralità di
comportamenti e determinazioni volitive. Sono esclusi dalla punibilità ex art.
648 ter coloro che abbiano già commesso il delitto di riciclaggio (o di
ricettazione) e che, successivamente, con determinazione autonoma (al di fuori,
cioè, della iniziale ricezione o sostituzione del denaro) abbiano poi impiegato

è destinato sempre a soccombere di fronte a fatti di ricettazione o di riciclaggio.

ciò che era frutto già di delitti a loro addebitato; sono, invece, punibili coloro
che, con unicità di determinazione teleologia originaria, hanno sostituito (o
ricevuto) denaro per impiegarlo in attività economiche o finanziarie. Il
discrimine passa, dunque, attraverso il criterio della pluralità ovvero della
unicità di azioni (e delle determinazioni volitive ad esse sottese). Nel primo
caso il soggetto risponde di riciclaggio con esclusione del 648 ter, nel secondo
sostituzione o di ricezione.
In altri termini, se taluno sostituisce denaro di provenienza illecita con altro
denaro od altre unità e, poi, impieghi i proventi derivanti da tale opera di
ripulitura in attività economiche o finanziarie, risponderà del solo reato di cui
all’art. 648 bis c.p. proprio in forza della clausola “fuori dei casi previsti dagli
artt. 648 e 648 bis c.p.”.
Se, invece, il denaro di provenienza delittuosa venga direttamente impiegato in
dette attività economiche o finanziarie ed esso venga, così, ripulito, il soggetto
risponderà del reato di cui all’art. 648 ter c.p..
Solo tenendo presente tale criterio che attiene all’elemento della condotta del
reato, può condividersi il principio enunciato, con riguardo all’elemento
psicologico, da questa Corte regolatrice, richiamato nella sentenza impugnata,
secondo cui “le tre fattispecie di cui agli artt. 648, 648 bis e 648 ter c.p.
sarebbero accomunate. dalla provenienza dei beni da delitto, e si
distinguerebbero invece sotto il profilo soggettivo per il fatto che la ricettazione
richiede solo il dolo di profitto, mentre la seconda e la terza richiedono la
specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita, con l’ulteriore
peculiarità, quanto alla terza, che detta finalità dev’essere perseguita mediante
l’impiego delle risorse in attività economiche o finanziarie; di conseguenza l’art.
648 ter c.p. sarebbe in rapporto di specialità con l’ari. 648 bis e questo, a sua
volta, con l’art. 648 c.p.” (Cass. 23/3/2000 n 6534; id. 10/1/2003 n 18103).
Conclusivamente, ritiene questa Corte di legittimità che non basta, ai fini della
esatta soluzione della questione relativa al concorso tra le tre fattispecie,
richiamare il solo elemento soggettivo, ma è necessario far riferimento ed
applicare anche il criterio suindicate concernente l’elemento materiale del reato
onde evitare interpretazioni che finiscano con l’abrogare implicitamente la

soltanto di quest’ultimo, risultando in esso “assorbita” la precedente attività di

clausola di sussidiarietà espressa, contenuta nell’art. 648 ter c.p., operazione
ermeneutica evidentemente non consentita» (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4800
del 11/11/2009 Ud. (dep. 04/02/2010 ) Rv. 246276).
7.

Il Collegio condivide i principi di diritto enunciati nella sentenza di cui

sopra in quanto la clausola di sussidiarietà non può essere abrogata per via
interpretativa, né può essere interpretata in modo da elidere completamente lo
8.

A questo proposito non è risolutiva, per escludere la sussistenza del

reato, la circostanza invocata dal Tribunale del riesame che ritiene elemento
essenziale della fattispecie una condotta che abbia la finalità di far perdere le
tracce dell’origine delittuosa del denaro e delle altre utilità. La condotta
dissimulatoria è elemento imprescindibile del delitto di riciclaggio (art. 648 bis
cod. pen.) ma non è necessaria per integrare il reato di reimpiego. Poichè
nell’art. 648 ter manca ogni riferimento all’idoneità della condotta ad ostacolare
l’accertamento dell’origine delittuosa del denaro o di altre utilità, il
comportamento tipico è ridotto al mero atto di impiego in attività economiche o
finanziarie di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.
9.

Pertanto il provvedimento impugnato appare viziato per violazione di

legge laddove la motivazione esclude la sussistenza del fumus del reato di cui
all’art. 648 ter cod. pen. sulla base del mero rilievo dell’assenza di condotta
dissimulatoria. Occorre inoltre considerare il carattere di chiusura della norma
in questione che interviene a sanzionare quelle residue condotte che nonliano
inquadrabili nel reato di ricettazione o in quello di riciclaggio. Pertanto, ove si
ritengano insussistenti i presupposti applicativi per il reato ex art. 648 ter,
occorre verificare se il fatto non debba essere qualificato reato, ex art. 648 cod.
pen., ove sussista la consapevolezza da parte dell’agente della provenienza
delittuosa del denaro o delle altre utilità impiegate in attività economico
finanziarie.
Di conseguenza l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al
Tribunale di Ascoli Piceno per nuovo esame, da effettuarsi in conformità ai
principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.

5

spazio applicativo del delitto di reimpiego.

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Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Ascoli Piceno
per nuovo esame.
Così deciso, il 26 marzo 2013
Il Pre ente

Il Consigliere estensore

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