Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16435 del 06/04/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16435 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VALLONE UMBERTO N. IL 02/02/1984
avverso la sentenza n. 2124/2010 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 14/03/2016
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 06/04/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 marzo 2016 la Corte di appello di Catanzaro ha
confermato la sentenza del 9 giugno 2010 dl Giudice della udienza preliminare
del Tribunale di Vibo Valentia, che, in esito al giudizio abbreviato, aveva
condannato Vallone Umberto alla pena di anni due di reclusione ed euro seicento
di multa, già ridotta per il rito, per il reato di rissa (in concorso con altri, per i

di arma comune da sparo.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
difensore avv. Salvatore Gigliotti, l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento
sulla base di tre motivi, denunciando:
– con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 187 e segg.,
438 e segg. cod. proc. pen., e dell’art. 588 cod. pen., e mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 606,
comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., con riguardo alla contestata
sussistenza del reato di rissa;
– con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 187 e
segg., 438 e segg. cod. proc. pen., e degli artt. 2 e 4 legge n. 895 del 1967, 110
e 116 cod. pen., e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc.
pen., con riguardo alla contestata sussistenza della sua responsabilità per il reato
di detenzione e porto abusivo di arma;
– con il terzo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 187 e segg.,
438 e segg., 530, comma 2, cod. proc. pen., e degli artt. 62, 62-bis, 52, 54, 55 e
133 cod. pen., e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc.
pen., con riguardo alla non ritenuta sussistenza della legittima difesa e dello
stato di necessità e al diniego della attenuanti generiche.
3. In esito al preliminare esame presidenziale il ricorso è stato rimesso a
questa sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Le deduzioni svolte dal ricorrente in punto di responsabilità, ampiamente
articolate nei suddetti motivi, riproducono, infatti, gli argomenti prospettati nel
gravame, ai quali la Corte di appello ha dato adeguate risposte, esaustive in
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quali si era proceduto separatamente) e per detenzione e porto in luogo pubblico

fatto, per la loro logica congruenza alle risultanze del quadro probatorio,
specificamente ripercorso e ragionevolmente apprezzato alla luce dei rilievi
difensivi espressi con l’atto di appello, e corrette in diritto, per la esatta
interpretazione e applicazione dei principi che presiedono alla valutazione della
prova e agli istituti di diritto sostanziale rilevanti nella specie.
La Corte, che ha condiviso, richiamandola, l’analitica disamina della
sentenza impugnata, ha evidenziato, in particolare, sia le ragioni della
confermata sussistenza del reato di rissa, della correlata reciprocità delle azioni

responsabilità concorsuale dell’imputato e del correo Vacatello quanto alla
detenzione e al porto della pistola (a prescindere dalla prearessa appartenenza
dell’arma a uno solo di essi), e ha rimarcato, dandone ragionevole
giustificazione, le ragioni della soccombenza della tesi difensiva circa la casuale
presenza dell’imputato sul luogo della rissa e la sua condotta limitata alla
prestazione di aiuto a Vacatello e alla presa dell’arma allo stesso caduta di mano,
anche apprezzandone la infondatezza alla luce della documentazione esibita in
giudizio e delle opposte risultanze dello STUB.
Il ricorrente ha mirato, invece, a provocare -esprimendo un diffuso dissenso
di merito rispetto alla ricostruzione della vicenda e alle risposte ricevute e
opponendo la sua analisi del materiale probatorio, che, richiamato nel contesto
del ricorso, ha assunto essere stato travisato ovvero non apprezzato- una nuova
lettura degli aspetti attinenti alle circostanze fattuali e alla valutazione dei dati
probatori al fine di conseguire un diverso risultato in diritto.
Una tale prospettazione, che si traduce nella rivisitazione di apprezzamenti
di merito senza neppure l’allegazione degli atti che si assumono travisati -e il cui
mero richiamo, non essendo possibile per questa Corte l’accesso diretto agli atti
per il loro esame, non conferisce autosufficienza al ricorso-, non è consentita in
sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, non
viziato da alcun profilo di manifesta illogicità e ragionevolmente riferito alle
emergenze processuali in coerenza con l’analisi delle obiezioni difensive, tale da
rendere soccombenti diverse prospettazioni (quale quella relativa al concorso
anomalo ovvero a ipotizzate cause di giustificazione), e si sostanzia, pertanto, in
censura diversa da quella esperibile per legge con il ricorso per cassazione,
inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
3. Né introducono ragioni di riflessione, traducendosi al contrario in ulteriore
sollecito di rinnovate valutazioni di merito non consentite in sede di legittimità, i
rilievi pertinenti alla disposta conferma della esclusione delle attenuanti
generiche, avendo la Corte logicamente rappresentato che ai fini del loro
riconoscimento, motivatamente negato nella sentenza di primo grado in ragione
della estrema gravità del fatto, non era sufficiente l’assenza di precedenti né
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offensive e del ruolo attivo svolto dall’imputato nella vicenda, sia le ragioni della

erano valorizzabili altri elementi, come quello dedotto afferente al contegno
processuale dell’imputato, che né era stato particolarmente collaborativo né
aveva dato significativo contributo per l’accertamento del fatto.
4. Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché -valutato il contenuto del ricorso e in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
d’inammissibilità- al versamento della somma, ritenuta congrua, di duemila euro

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 06/04/2017

alla cassa delle ammende.

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