Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16421 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16421 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Zheng Lili, nata in Cina il 6/5/1977
avverso la sentenza 9/1/2012 della Corte d’appello di Lecce, Sezione
distaccata di Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato, l’avv. Giancarlo Laganà, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 9/1/2012, la Corte di appello di Lecce, Sezione

distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Taranto in data 16/11/2007, dichiarati estinti per prescrizione alcuni reati
contestati sub A) ed i reati contestati sub B), rideterminava la pena inflitta a
Zheng Lili, per il reato di ricettazione contestato sub A) in anni uno e mesi

Data Udienza: 05/04/2013

quattro di reclusione ed C. 6.000,00 di multa.
3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputata per mezzo del suo

difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione
con riferimento all’art. 4, comma 49 della L. 350/03, all’art. 521, 2°
comma cod. proc. pen. ed all’art. 648 cod. pen.
In sostanza la ricorrente contesta che il fatto contestato al capo A), con
territorio dello Stato merce munita di marchio contraffatto ed in particolare.
300 colli contenenti borse di varie dimensioni riproducenti il monogramma
XL in violazione dei diritti di proprietà intellettuale della “Luois Vuitton
Mallettier”, possa essere ricondotto nell’ipotesi di reato di cui all’art. all’art.
4, comma 49 della L. 350/03 che punisce la commercializzazione di
prodotti industriali ed agricoli con indicazione di origine o falsa provenienza
in quanto la merce in questione era di obiettiva ed ufficiale provenienza
cinese. Si duole, inoltre, che il fatto ritenuto in sentenza non
corrisponderebbe al capo di imputazione ed eccepisce che, caduta l’ipotesi
della contraffazione dei marchi, verrebbe meno anche la ricettazione per
difetto del reato presupposto.
La parte civile ha depositato memoria chiedendo l’inammissibilità o il
rigetto del ricorso dell’imputata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è infondato.

2.

Preliminarmente occorre rilevare che è manifestamente infondata

l’eccezione di violazione del principio della correlazione fra l’imputazione
contestata e la sentenza in quanto la sentenza non ha ritenuto un fatto
diverso ma ha diversamente qualificato il fatto obiettivo contestato
all’imputata, vale a dire di aver introdotto in Italia 300 colli contenenti delle
borse di varie dimensioni riproducenti il monogramma di una nota azienda
del settore.
3.

Per quanto riguarda le contestazioni circa la sussistenza degli

estremi del reato ex art. all’art. 4, comma 49 della L. 350/03, la norma in

riferimento agli art. 474 e 517 cod. pen., vale a dire di avere introdotto nel

parola testualmente recita:
«L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la
commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di
provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice
penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su
prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea
sull’origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata
l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni,
o la merce sia di origine italiana».

4.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto applicabile la

norma in parola osservando che «relativamente ai prodotti industriali per
“provenienza ed origine della merce” non deve intendersi (ad eccezione
delle specifiche ipotesi espressamente previste dalla legge) la provenienza
della stessa da un certo luogo di fabbricazione, totale o parziale, bensì la
sua provenienza da un determinato imprenditore, che si assume la
responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione e si rende
garante della qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti».

5.

Tale interpretazione non trova conferma (né smentita) nella

giurisprudenza di legittimità; si potrebbe dubitare della sua ragionevolezza
in quanto comporta una forzatura del testo, attraverso una lettura estensiva
del concetto di «provenienza». Tuttavia, ove si accedesse alla tesi del
ricorrente che il fatto non integra gli estremi del reato di cui all’art. 4,
comma 49 della L. 350/03, rimarrebbe in piedi l’ipotesi di reato di cui all’art.
517 cod. pen. dal cui orizzonte la Corte d’appello ha estratto un elemento
specializzante integrante il reato di cui all’art. 4, comma 49 L.350/03.
6.

Non può essere messa, pertanto in discussione la provenienza da

delitto (o art. 517 cod. pen. o art. 4 L.350/03) della merce sequestrata
all’imputata. Di conseguenza sussistono gli estremi del reato di ricettazione
contestato alla ricorrente, il cui ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
7.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso, il 5 aprile 2013

residente

Il Consigliere estensore

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