Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16419 del 06/04/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16419 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CUOZZO NASTI MARIO N. IL 08/11/1986
avverso l’ordinanza n. 1974/2015 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
25/03/2016
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 06/04/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25 marzo 2016 la Corte di appello di Napoli, in funzione
di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata nell’interesse di Cuozzo
Nasti Mario, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati
giudicati con le due sentenze indicate nella richiesta ed emesse dallo stesso
Ufficio il 23 giugno 2014 e il 27 marzo 2015, irrevocabili rispettivamente in data
19 giugno 2015 e 10 settembre 2015, avuto riguardo alla mancanza di elementi

2.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, con atto

personale, l’interessato, che ne ha chiesto l’annullamento, denunciando, ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale quanto alla ritenuta insussistenza dei requisiti di
cui all’art. 81 cod. pen., e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione in ordine al rigetto della istanza ex art. 671 cod. proc. pen.
3. In esito al preliminare esame presidenziale il ricorso è stato rimesso a
questa sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
4. Il 29 marzo 2017 è pervenuta, trasmessa dalla Procura generale presso
questa Corte, nota del ricorrente, che, rappresentando le sue condizioni di vita e
le sue aspettative familiari e lavorative, ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, secondo comma, cod.
pen., richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario,
disegno criminoso. Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della
continuazione in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con
la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una
scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose.
Occorre, invece, che si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di
compiere una pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente
ab origine progettati e organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti
in funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al
conseguimento di un unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
secondo comma, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo
2

probativi della riconducibilità dei detti reati a un medesimo disegno criminoso.

di commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
costituisca di per sé indizio necessario dell’esistenza del medesimo disegno
criminoso, né escludersi che la distanza temporale possa costituire in concreto un
limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione per le difficoltà di
programmazione e deliberazione a lunga scadenza dei singoli episodi criminosi.
1.2. Nella specie, il Giudice dell’esecuzione, che ha preso in considerazione i
reati, cui il ricorrente ha riferito la sua richiesta, e i dati di fatto tratti dalle
sentenze in atti, ha plausibilmente ritenuto, seguendo linee argomentative

all’evidenza privi di alcun pregio, oltre ad essere estranei al sindacato di
legittimità, nell’espresso dissenso di merito-, la non riconducibilità delle condotte
illecite a un medesimo disegno criminoso esistente sin dal momento in cui è stato
commesso il primo reato, annotando la mancanza di elementi probativi in tal
senso; valorizzando, posta la non sufficienza della mera omogeneità delle norme
violate (rapine e ricettazione), la distanza temporale tra gli illeciti; sottolineando
la genericità del programma delinquenziale perseguito, e rilevando che con lo
stesso, idoneo a integrare gli estremi dell’abitualità e della professionalità nel
reato, non poteva identificarsi -in mancanza di positiva prova- il disegno
criminoso, unitario e originario, su cui poggia l’istituto della continuazione.
2.

Tale valutazione resiste alle censure difensive, che, alla luce della

motivazione del provvedimento impugnato, sono prive di alcuna fondatezza, oltre
a essere nella sostanza generiche, non opponendo il ricorrente elementi specifici
di valutazione in ordine all’affermata esistenza di un originario disegno delittuoso
e svolgendo -nell’espresso – considerazioni non correlate agli argomenti ritenuti
di assorbente valenza nella decisione.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché -valutato il contenuto del
ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione
della causa d’inammissibilità- al versamento della somma, ritenuta congrua, di
duemila euro alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 06/04/2017

congrue sul piano logico e corrette in diritto -che resistono ai rilievi difensivi,

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