Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16407 del 13/01/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16407 Anno 2016
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RUSSI GIOVANNI N. IL 15/01/1993
avverso la sentenza n.665 2014 TRIBUNALE di FOGGIA, del
17/03/2014
G -99
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

Data Udienza: 13/01/2016

OSSERVA

2. Il ricorso è inammissibile, ex articolo 606, comma 3, c.p.p., perché proposto
per motivi manifestamente infondati.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27
settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della
medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché
succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti
(la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del
fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la
congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena
ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che
non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo
129 c.p.p.).
Richiamandosi la ferma giurisprudenza di questa Corte, devesi affermare che
fatta eccezione dell’ipotesi di pena illegale – ipotesi che nella fattispecie non
ricorre -, l’accordo raggiunto tra le parti e recepito dal Giudice nella conseguente
sentenza, ex art.444 c.p.p. preclude alle parti stesse, nonché al PG, la
proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione, di eccezioni o censure
attinenti al merito delle valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti
medesime (Giurisprudenza di legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n.
20165 del 29/04/04, rv 228567; Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv
210639; Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898 del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent.
n. 8060 del 20/08/96, rv 205835; Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/20111;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 e ss.
c.p.p.), le parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso
per cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti
(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento alla qualificazione giuridica, all’applicazione delle
circostanze e alla entità della pena, che non sia illegale. Né tale doglianza può
essere formulata prospettando il difetto di motivazione, in quanto, con l’accordo
intervenuto tra loro, le parti hanno implicitamente esonerato il giudice
dell’obbligo di rendere conto (almeno “inter partes”) dei punti non controversi
della decisione, non potendosi pretendere l’esposizione dei motivi di un
convincimento che le parti stesse hanno già fatto proprio.
Pur vero che questa Corte ha anche affermato che il procedimento di
applicazione della pena su richiesta delle parti non impedisce l’azionabilità del
ricorso per cassazione quando il vizio di violazione di legge attenga alla
qualificazione giuridica del fatto (S.U., n. 5 del 19/1/2000; conformi, Cass.
1341/2000; 2083/2000; 39526/2006). Tuttavia, ove il giudice abbia effettuato la
verifica delibativa che la legge gli assegna non è più consentito alle parti e allo
stesso P.G. di dolersi della qualificazione, dell’individuazione delle circostanze,
del bilanciamento e del computo della pena, in quanto si tratterebbe di doglianze

1. A Russi Giovanni con la sentenza di cui in epigrafe è stata applicata la pena
dalle parti concordata, in relazione al reato guida senza patente. L’imputato
propone ricorso adducendo violazione dell’art. 129, cod. proc. pen., in quanto
entrata successivamente in vigore la legge n. 67/2014, la quale aveva introdotto
il probation per gli adulti, un tale istituto avrebbe avuto effetto estintivo del
reato.

inammissibili perché dirette a ricostruire i fatti, sul punto, in modo diverso da
quanto concordato.
Nello specifico è appena il caso di chiarire che l’istituto della messa alla prova,
introdotto successivamente alla sentenza impugnata, per ovvie ragioni non opera
una primigenia ed istantanea consumazione del reato (cioè una di quelle cause
estintive alle quali fa riferimento l’invocato art. 129, cod. proc. pen.), ma, ben
diversamente, solo una volta esperita positivamente la prova, può condurre
all’effetto estintivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di rnillecinquecento euro alla
Cassa delle ammende.

Così deciso in R a il 13 gennaio 2016
Il C

estensore

Il Presi

3. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e al pagamento a favore della Cassa
delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1.500,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

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