Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16400 del 01/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16400 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Pagan Carlo, nato a Venezia il 05/12/1960
2. Zarcone Gianpaolo, nato a Bergamo il 17/12/1962
3. Casino di Campione s.p.a.

avverso l’ordinanza in data 15/12/2017 del Tribunale di Como

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale
Antonietta Picardi, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per i ricorrenti, l’avvocato Massimo Dinoia, quale difensore di fiducia per
Pagan e Zarcone e quale sostituto processuale dell’avvocato Nicolò Pelanda per
Casinò di Campione s.p.a., che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 01/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 15 dicembre 2017, il Tribunale di Como,
pronunciando in sede di riesame, ha confermato il decreto di sequestro
probatorio emesso dal Pubblico ministero per il reato di peculato ed eseguito
presso gli edifici della società “Casinò di Campione s.p.a.”, in Campione d’Italia,
e presso le abitazioni di Gianpaolo Zarcone e di Carlo Pagan, il primo segretario
comunale dell’ente territoriale e consigliere di amministrazione della precisata
società, il secondo amministratore delegato di quest’ultima.

L’ipotesi di reato per cui si procede attiene all’appropriazione di una somma
non inferiore a 1.400.000,00 franchi svizzeri, costituita da introiti della casa da
gioco, e relativa agli importi che la società “Casinò di Campione s.p.a.”,
incaricata di gestire la casa da gioco per conto del Comune, avrebbe dovuto
versare all’ente territoriale nel mese di dicembre 2015, e di cui aveva avuto la
disponibilità e custodia a norma dell’art. 7, comma 4, della apposita Convenzione
stipulata nel dicembre 2014.
Il sequestro ha ad oggetto documentazione anche contabile e societaria,
rinvenuta su supporto cartaceo ed elettronico; della documentazione esistente
sui supporti informatici è stata acquisita copia, salvo che per un hard disk e per
un disco esterno, rinvenuti presso l’abitazione di Zarcone, materialmente
asportati per svolgere sugli stessi ulteriore attività tecnica in laboratorio.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in
epigrafe l’avvocato Massimo Dinoia, quale difensore di fiducia e procuratore
speciale di Gianpaolo Zarcone e di Carlo Pagan, e l’avvocato Nicolò Pelanda,
quale difensore di fiducia e procuratore speciale della società “Casinò di
Campione s.p.a.”.
I ricorsi sono tra loro identici, anche da un punto di vista espositivo, ed
articolano tre motivi, tutti relativi al fumus commissi delicti, i quali richiamano le
censure già proposte in sede di riesame, e ne contestano il «sostanziale
completo aggiramento».
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, avendo riguardo
all’assenza di motivazione, o ad una motivazione meramente apparente, in
ordine al requisito dell’altruità della cosa, quale elemento costitutivo della
fattispecie di peculato.
Si deduce che l’ordinanza impugnata non ha esaminato le argomentazioni
difensive in ordine alla non configurabilità di una proprietà

ab origine del

Comune sulle somme non versate, ritenendo la questione irrilevante. Si osserva
che il difetto del requisito dell’altruità del bene, da un lato, dovrebbe determinare
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l’esclusione di violazioni della legge penale, e, dall’altro, è presupposto di
qualunque appropriazione, e quindi anche del reato di peculato. Si aggiunge che
l’affermazione della irrilevanza delle argomentazioni difensive in ordine a questo
profilo, oltre a presupporre un errore nell’applicazione della legge penale
sostanziale, ha anche determinato una radicale omissione di motivazione. Si
rappresenta che, con i motivi di riesame, si era evidenziato che: -) le disposizioni
della Convenzione tra Comune e società, in particolare gli artt. 7 e 9,
contemplano, per fasi successive, dapprima l’incasso dei proventi del gioco da

dell’ente territoriale, infine il versamento di una parte di queste somme dal
Casinò al Comune; -) la previsione dell’obbligo di custodia in capo alla società da
parte dell’art. 7, comma 4, della Convenzione, si spiega perché una parte
rilevante dei proventi è raccolta in contanti o in assegni, e dunque si vuole porre
a carico dell’impresa il rischio di furti o smarrimenti prima dell’effettivo
trasferimento delle somme al Comune; -) l’obbligo di custodia non presuppone
l’altruità del bene, come si evince, tra l’altro, dall’art. 1177 cod. civ. e, ancor più,
dall’art. 1782 cod. civ. in materia di deposito irregolare; -) il Comune non può
essere proprietario ab origine degli introiti derivanti dall’attività di gioco, perché,
spettandogliene solo una quota, l’altra parte di questi proventi non gli compete e
non avrà mai; -) gli artt. 7, comma 5, e 9, comma 1, della Convenzione
dispongono, rispettivamente, che il Comune provvederà «ad incassare una quota
di introiti», e che il contributo annuo è riconosciuto al Comune «sugli importi
netti della stagione, […] detratto l’importo versato a titolo di imposta sugli
spettacoli e gli intrattenimenti», di cui è gravata la società di gestione del
Casinò; -) i proventi della gestione della casa da gioco, secondo la
giurisprudenza della Corte dei Conti, sono redditi di natura privatistica, e,
secondo la giurisprudenza civile, sono da considerarsi appartenenti alla P.A. solo
quando sono uscite dalla disponibilità del gestore (si citano Sez. U civ., n. 5492
del 06/06/1994, e Sez. 1 civ., n. 6082 del 18/03/2006).
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
agli artt. 50, 326 e 358 cod. proc. pen. e 107, 11 e 112 Cost., avendo riguardo
allo sconfinamento del giudice nel potere del Pubblico ministero di individuare i
fatti in relazione ai quali svolgere indagini.
Si deduce che, siccome i pagamenti relativi alle ultime due decadi dell’anno
2015 sono stati eseguiti nel gennaio 2016, il Tribunale ha ritenuto di estendere
la contestazione dell’illecita appropriazione oltre che alla quota fissa – da
corrispondere mediante tre “decadi” al mese, ciascuna per un importo pari a
700.000,00 franchi svizzeri – anche alla quota mensile residua. Si rileva che, in
tal modo, il giudice del riesame ha travalicato la contestazione, secondo la quale
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parte del Casinò, poi la verifica contabile degli introiti da parte di personale

la condotta illecita si è realizzata «tra il 01.12.2015 ed il 31.12.2015» ed in
relazione ad una «somma non inferiore a CHE 1.400.000,00»; del resto, l’inciso
«non inferiore» si spiega perché l’ipotesi dell’accusa ha riguardo al mancato
pagamento della seconda e della terza decade di dicembre e anche al tardivo
pagamento della prima decade. Si aggiunge che l’omesso versamento della
quota mensile residua non poteva essere oggetto di contestazione, perché
questa ha ad oggetto somme determinate «in modo elastico e sulla base delle
intese operative tra Comune e Casinò che dovevano tenere conto delle condizioni

9, punto 6, lett. b), della Convenzione. Si rappresenta che, secondo il pacifico
orientamento della giurisprudenza di legittimità, il richiamo a fatti del tutto
estranei alla contestazione del Pubblico ministero, è causa di illegittimità
dell’ordinanza.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 314 cod. pen., avendo riguardo alla mancanza di motivazione in ordine
alla sussistenza della condotta appropriativa.
Si deduce che non può ravvisarsi una condotta appropriativa nella semplice
violazione dell’obbligo di versare una somma. Si aggiunge che nessuna
indicazione è fornita in relazione a condotte di deviazione delle somme non
corrisposte, nonostante potrebbe persino difettare un oggetto materiale delle
stesse, a causa della mancanza di risorse finanziarie da poter riversare. Si
rappresenta che, secondo la stessa ordinanza impugnata, per la configurabilità
del reato di cui all’art. 314 cod. pen. è necessario che la cosa venga sottratta alla
sua funzione pubblica e messa al servizio di finalità private, e che, però, nulla di
tutto questo è evidenziato nel caso di specie: l’unica ipotesi formulabile è che il
pagamento delle due decadi sia stato posticipato per far fronte alle spese di
gestione del Casinò o ad altri pagamenti cui questo era tenuto, e quindi con una
destinazione delle risorse comunque per fini istituzionali. Del resto, il lieve
ritardo nel pagamento delle due decadi è avvenuto in pieno coordinamento con il
Comune, che non ha mai lamentato alcunché.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito precisate.

2. Fondate, precisamente, sono le censure formulate con il primo motivo, e
che attengono alla assenza di motivazione in ordine al requisito dell’altruità della
cosa che si assume oggetto di appropriazione.

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economico-finanziarie della casa da gioco», come si evince chiaramente dall’art.

2.1. Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il
giudice del riesame, se deve limitarsi a stabilire l’astratta configurabilità del reato
ipotizzato, ha comunque il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia
pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero, e, quindi,
di verificare la congruità degli elementi rappresentati, che vanno valutati così
come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi
formulata in quella tipica, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive
sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti

Bassi, Rv. 206657, nonché, sostanzialmente nello stesso senso, tra le altre, di
recente, Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi, Rv. 266896, e Sez. 6, n. 9991
del 25/01/2017, Bulgarella, Rv. 269311).
Di conseguenza, il giudice del riesame ha il dovere di esaminare e di
rappresentare se, alla luce degli elementi indicati dal pubblico ministero e
tenendo conto delle contestazioni difensive, possano dirsi sussistenti tutti gli
elementi costitutivi del fatto di reato per il quale è stato adottato il
provvedimento di vincolo finalizzato alla soddisfazione di esigenze probatorie.
Tanto premesso, deve aggiungersi che, come esattamente osservato dai
ricorrenti, l’altruità della cosa oggetto di appropriazione è elemento costitutivo
del reato di peculato, posto che l’art. 314 cod. pen., nel descrivere la fattispecie,
richiede «il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile
altrui» quale presupposto indispensabile della condotta rilevante. Dell’esistenza
di tale elemento, quindi, il Tribunale dei riesame deve dare conto.
2.2. L’ordinanza impugnata ha affermato che i limiti connaturati al sindacato
del giudice del riesame in materia di provvedimenti cautelari reali rendono «privi
di pregio i motivi di doglianza fondati sull’altruità del bene e sulla qualificazione
pubblicistica degli indagati, afferendo le predette questioni a profili giuridici che
non incidono sull’astratta configurabilità del reato, lasciando solo ipotizzare una
fattispecie criminosa diversa da quella indicata nel decreto di sequestro.».
E’ evidente, quindi, l’errore giuridico in cui è incorso il Tribunale laddove ha
ritenuto di poter “accantonare” tale questione.
Né la verifica in ordine al requisito dell’altruità della cosa mobile che si
assume oggetto di appropriazione può dirsi irrilevante perché, come invece
afferma l’ordinanza impugnata, potrebbe comunque «configurarsi, sempre in
astratto, una fattispecie criminosa diversa da quella indicata nel decreto di
sequestro». Ed infatti, da un lato, il Tribunale aveva l’onere di indicare
specificamente quale sarebbe la «fattispecie criminosa diversa»; dall’altro, poi,
se pure si volesse individuare quest’ultima nel delitto di appropriazione indebita,
il problema non sarebbe risolto, perché anche il reato di cui all’art. 646 cod. pen.
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che legittimano il sequestro (così Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997,

ha ad oggetto «il denaro o la cosa mobile altrui», e, quindi, per la sua
configurabilità, è comunque necessaria una verifica relativa al profilo dell’altruità
del bene al quale si riferisce la condotta in contestazione.

3. L’accoglimento delle censure esposte nel primo motivo, preclude, allo
stato, l’esame delle doglianze formulate con il secondo e con il terzo motivo.
3.1. Il secondo motivo deduce l’illegittimità dell’estensione della
contestazione, da parte del Tribunale, alla quota mensile ulteriore rispetto a

La questione formulata è seria, posto che la società “Casinò di Campione
s.p.a.” risulta aver omesso di corrispondere la somma di 1.400.000,00 franchi
svizzeri, da versare a titolo di quota fissa per il dicembre 2015, e precisamente
per la seconda e terza decade del mese di dicembre 2015, e che il decreto di
perquisizione e sequestro così descrive le condotte: «si appropriavano della
somma complessiva non inferiore a CHF 1.400.000 di cui avevano la disponibilità
in ragione dell’ufficio ricoperto e servizio espletato dal Casinò di Campione s.p.a.
in cui rientravano la custodia delle predette somme di denaro di proprietà del
Comune di Campione d’Italia e Casinò di Campione S.p.A.. In Campione d’Italia
nel periodo compreso tra il 01.12.2015 ed il 31.12.2015.».
Tuttavia, l’esame in ordine al profilo dell’altruità, per la persona giuridica
“Casinò di Campione s.p.a.”, delle somme che la stessa avrebbe omesso di
versare al Comune di Campione d’Italia è in ogni caso preliminare e
potenzialmente dirimente: se la somme non versate non possono qualificarsi
come “altrui” per la società incaricata della gestione della casa da gioco, deve
escludersi la configurabilità del peculato con riferimento a tutto il denaro non
corrisposto.
3.2. Il terzo motivo denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla
sussistenza della condotta appropriativa.
Anche per questo profilo, l’esame della questione relativa al profilo
dell’altruità è preliminare e potenzialmente dirimente: se la somme non versate
non possono qualificarsi come “altrui” per la società incaricata della gestione
della casa da gioco, deve escludersi che, rispetto ad esse, vi sia stata una
condotta appropriativa.

4. L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata per un nuovo
esame.
In sede di rinvio, il Tribunale accerterà, innanzitutto, se le somme non
versate dalla ditta “Casinò di Campione s.p.a.” possano dirsi “altrui” rispetto a
quest’ultima sulla base di quanto indicato, in particolare, nella Convenzione
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quella fissa, pari a 700.000,00 franchi svizzeri per ciascuna decade.

stipulata tra la stessa ed il Comune di Campione d’Italia, verificando se il denaro
incassato dalla società che gestisce la casa da gioco debba ritenersi
immediatamente acquisito nella proprietà dell’ente territoriale, ed eventualmente
valutando, a tal fine, se le relative somme costituiscano o meno entrate
tributarie.
Ovviamente, qualora ravvisi la sussistenza del profilo dell’altruità del denaro
incassato dalla ditta “Casinò di Campione s.p.a.” e non versato al Comune di
Campione d’Italia, il giudice del rinvio approfondirà, alla luce dei risultati

limiti della contestazione ed alla configurabilità della condotta appropriativa.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale
di Como.
Così deciso in data 1 marzo 2018

Il Consigliere estensore
Ant nio Corbo
Litin

Il Presidente
Giacom Paolopi

raggiunti sull’acquisizione della proprietà delle somme, le questioni attinenti ai

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